Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13347 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 13347 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 36088/2019 proposto da:
NOME COGNOME , nata ad Apricena (FG) l’8. 2.1960 (C.F.: CODICE_FISCALE, residente in San Cesareo (RM), alla INDIRIZZO, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE) del foro di Foggia, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME in Apricena (FG), alla INDIRIZZO (fax: NUMERO_TELEFONO; posta Elettronica Certificata: EMAIL);
-ricorrente –
contro
AGENZIA RAGIONE_SOCIALE RISCOSSIONE (C.F.: P_IVA), in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato (C.F.: 80224030587; fax: NUMERO_TELEFONO; PEC: EMAIL) presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO
Comunicazione preventiva iscrizione ipotecaria – Notificazione – Irreperibilità relativa – Raccomandata informativa
-controricorrente –
-avverso la sentenza n. 322/2019 emessa dalla CTR Molise in data 24/04/2019 e non notificata;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Rilevato che
NOME COGNOME impugnava dinanzi alla CTP di Campobasso una comunicazione preventiva di iscrizione ipotecaria emessa da Equitalia s.p.a. per la riscossione di diciotto cartelle di pagamento, deducendo di non aver mai ricevuto la notificazione di queste ultime ed eccependo la intervenuta prescrizione dei crediti tributari.
L’adìta CTP accoglieva parzialmente il ricorso, riconoscendo il debito erariale limitatamente a sei cartelle per le quali riteneva fornita la prova della regolare notificazione, e non maturata ancora la prescrizione.
Sull’impugnazione della contribuente, la CTR del Molise rigettava l’appello, confermando che l’Ufficio aveva fornito la prova della notifica di sei delle cartelle, per le quali non poteva altresì ritenersi ancora decorso il termine prescrizionale.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione COGNOME sulla base di tre motivi. L’Agenzia delle Entrate -Riscossione ha resistito con controricorso.
Considerato che
Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 1) e 4), c.p.c., per non aver la CTR rilevato il difetto di giurisdizione del giudice tributario con riferimento alle cartelle relative alle multe stradali.
1.1. Il motivo è inammissibile e, comunque, infondato.
In primo luogo, è inammissibile l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata per la prima volta, in sede di legittimità, dalla parte che, soccombente nel merito in primo grado, abbia appellato la sentenza del giudice tributario senza formulare alcuna eccezione sulla giurisdizione, così ponendo in essere un comportamento incompatibile con la volontà di eccepire il difetto di giurisdizione e prestando acquiescenza
al capo implicito sulla giurisdizione della sentenza di primo grado, ai sensi dell’art. 329, secondo comma, c.p.c. (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 17056 del 10/07/2013).
Invero, le Sezioni Unite di questa Corte (Cass., Sez. U, Sentenza n. 24883 del 09/10/2008) hanno chiarito che l’interpretazione dell’art. 37 c.p.c., secondo cui il difetto di giurisdizione “è rilevato, anche d’ufficio, in qualunque stato e grado del processo”, deve tenere conto dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo (“asse portante della nuova lettura della norma”), della progressiva forte assimilazione delle questioni di giurisdizione a quelle di competenza e dell’affievolirsi dell’idea di giurisdizione intesa come espressione della sovranità statale, essendo essa un servizio reso alla collettività con effettività e tempestività, per la realizzazione del diritto della parte ad avere una valida decisione nel merito in tempi ragionevoli. All’esito della nuova interpretazione della predetta disposizione, volta a delinearne l’ambito applicativo in senso restrittivo e residuale, ne consegue che: 1) il difetto di giurisdizione può essere eccepito dalle parti anche dopo la scadenza del termine previsto dall’art. 38 c.p.c. (non oltre la prima udienza di trattazione), fino a quando la causa non sia stata decisa nel merito in primo grado; 2) la sentenza di primo grado di merito può sempre essere impugnata per difetto di giurisdizione; 3) le sentenze di appello sono impugnabili per difetto di giurisdizione soltanto se sul punto non si sia formato il giudicato esplicito o implicito, operando la relativa preclusione anche per il giudice di legittimità; 4) il giudice può rilevare anche d’ufficio il difetto di giurisdizione fino a quando sul punto non si sia formato il giudicato esplicito o implicito. In particolare, il giudicato implicito sulla giurisdizione può formarsi tutte le volte che la causa sia stata decisa nel merito, con esclusione per le sole decisioni che non contengano statuizioni che implicano l’affermazione della giurisdizione, come nel caso in cui l’unico tema dibattuto sia stato quello relativo all’ammissibilità della domanda o quando dalla motivazione della sentenza risulti che l’evidenza di una soluzione abbia assorbito ogni altra valutazione (ad es., per manifesta infondatezza della pretesa) ed abbia indotto il giudice a decidere
il merito per saltum , non rispettando la progressione logica stabilita dal legislatore per la trattazione delle questioni di rito rispetto a quelle di merito.
In secondo luogo, l’Agenzia ha dedotto che proprio le tre cartelle di pagamento aventi ad oggetto sanzioni per violazioni del Codice della Strada sono state annullate dall’amministrazione finanziaria in ottemperanza alle previsioni di cui al d.l. 23.10.2018, n. 119 (conv. In l. 17.12.2018, n. 136), siccome di importo inferiore ai mille euro, sicchè in ordine a tali cartelle la contribuente difetta altresì di interesse ad agire.
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione ‘di norme di diritto’, la nullità della sentenza e l’omesso esame circa un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3), 4) e 5), c.p.c., per non aver la CTR rilevato la nullità delle notificazioni delle cartelle di pagamento, siccome effettuate ai sensi dell’art. 140 c.p.c. senza operare l’affissione sulla porta di abitazione del destinatario dell’avviso di deposito dell’atto alla casa comunale e senza invia re le successive raccomandate informative.
2.1. Il motivo è fondato nei termini che seguono.
Non è configurabile il vizio motivazionale, atteso che, alla luce dell’attuale formulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5), c.p.c., non è più denunciabile il vizio di insufficienza o di contraddittorietà della motivazione; si è in presenza di una cd. doppia conforme (né la ricorrente ha dedotto che le due decisioni di merito si fondassero su differenti ragioni inerenti ai fatti); la motivazione resa dalla CTR, per quanto sintetica, non si pone al di sotto del cd. minimo costituzionale.
Avuto riguardo alla denunciata violazione di legge, in tema di notifica della cartella di pagamento, nei casi di “irreperibilità cd. relativa” del destinatario, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 258 del 22 novembre 2012, va applicato l’art. 140 c.p.c., in virtù del combinato disposto dell’art. 26, ultimo comma, del d.P.R. n. 602 del 1973 e dell’art. 60, comma 1, lett. e), del d.P.R. n. 600 del 1973, sicché è necessario, ai fini del suo perfezionamento, che siano effettuati tutti gli adempimenti ivi prescritti,
incluso l’inoltro al destinatario e l’effettiva ricezione della raccomandata informativa del deposito dell’atto presso la casa comunale, non essendone sufficiente la sola spedizione (Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 9782 del 19/04/2018; conf. Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 27825 del 31/10/2018).
Orbene, nel caso di dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma processuale, fin quando la validità ed efficacia degli atti disciplinati da detta norma sono sub judice , il rapporto processuale non può considerarsi esaurito, sicché, nel momento in cui viene in discussione la ritualità dell’atto, la valutazione della sua conformità alla disposizione va valutata avendo riguardo alla modificazione conseguita dalla sentenza di illegittimità costituzionale, indipendentemente dal tempo in cui l’atto è stato compiuto (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 33610 del 18/12/2019).
In particolare, l’efficacia delle sentenze dichiarative della illegittimità costituzionale di una norma incontra il limite dei rapporti esauriti in modo definitivo ed irrevocabile per avvenuta formazione del giudicato o per essersi comunque verificato altro evento cui l’ordinamento ricollega il consolidamento del rapporto, mentre si estende a tutti gli altri rapporti. Pertanto, la inoperatività della norma processuale dichiarata incostituzionale, a partire dal giorno successivo alla pubblicazione della relativa sentenza della Corte costituzionale nella Gazzetta Ufficiale, va affermata con riguardo sia ad atti processuali successivi, sia ad atti processuali compiuti in precedenza, ma la cui validità ed efficacia sia ancora oggetto di sindacato dopo la predetta sentenza (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 9329 del 20/04/2010). Conseguentemente, nel momento in cui viene in discussione la ritualità di un atto o di una serie causale di atti del procedimento, il criterio valutativo di corrispondenza alle norme di legge deve avere riguardo alla modificazione della disciplina conseguita all’intervento del giudice delle leggi (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 18847 del 09/07/2008).
Le pronunce di accoglimento del giudice delle leggi – dichiarative di illegittimità costituzionale -eliminano, dunque, la norma con effetto ex tunc , con la conseguenza che essa non è più applicabile, indipendentemente
dalla circostanza che la fattispecie sia sorta in epoca anteriore alla pubblicazione della decisione, perché l’illegittimità costituzionale ha per presupposto l’invalidità originaria della legge -sia essa di natura sostanziale, procedimentale o processuale – per contrasto con un precetto costituzionale, fermo restando il principio che gli effetti dell’incostituzionalità non si estendono esclusivamente ai rapporti ormai esauriti in modo definitivo, per avvenuta formazione del giudicato o per essersi verificato altro evento cui l’ordinamento collega il consolidamento del rapporto medesimo, ovvero per essersi verificate preclusioni processuali, o decadenze e prescrizioni non direttamente investite, nei loro presupposti normativi, dalla pronuncia d’incostituzionalità (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 16450 del 18/07/2006; conf. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 20381 del 20/11/2012).
Nel caso di specie, la preclusione processuale che deriverebbe dal non aver la contribuente impugnato tempestivamente le cartelle di pagamento (avendo impugnato la successiva comunicazione preventiva di iscrizione ipotecaria) è strettamente connessa proprio alla pronuncia di incostituzionalità della notifica delle stesse avvenuta ai sensi dell’art. 140 c.p.c.
Invero, il principio tempus regit actum , regolante la successione nel tempo delle leggi processuali, non è riferibile alla dichiarazione di illegittimità costituzionale, che, non essendo una forma di abrogazione della legge, ma una conseguenza della sua invalidità originaria, ha efficacia retroattiva, nel senso che investe anche situazioni processuali precedenti alla sentenza di abrogazione – salve l’avvenuta formazione del giudicato e la presenza di preclusioni processuali già verificatesi – in omaggio al principio enunciato dagli artt. 136 Cost. e 30 della legge 11 marzo 1957, n. 87 (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 10761 del 10/05/2006).
3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 2953 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., per aver la CTR ritenuto erroneamente, a suo dire, che trovasse applicazione la prescrizione decennale, anziché quella quinquennale.
3.1. Il motivo è assorbito nell’accoglimento parziale del precedente .
Alla stregua delle considerazioni che precedono, in accoglimento, per quanto di ragione, del secondo motivo, la sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel senso di dichiarare cessata la materia del contendere con riferimento alle tre cartelle di pagamento concernenti contravvenzioni al codice della strada e di accogliere, per il resto (avuto riguardo alle restanti tre cartelle aventi ad oggetto Irpef), la domanda originaria della contribuente.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, laddove sussistono giusti motivi, anche in considerazione della pronuncia in punto giurisdizione, per compensare quelle relative ai gradi di merito.
P.Q.M.
accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il secondo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il primo ed assorbito il terzo; cassa con riferimento al motivo accolto la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara cessata la materia del contendere con riferimento alle tre cartelle di pagamento concernenti contravvenzioni al codice della strada ed accoglie, avuto riguardo alle restanti cartelle aventi ad oggetto Irpef, la domanda originaria della contribuente;
compensa le spese relative ai gradi di merito e condanna la controricorrente al rimborso di quelle relative al presente giudizio, che si liquidano in € 2.400,00, oltre euro 200,00 per esposti, rimborso forfettario ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio tenutasi in data 29.4.2025.