Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20372 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20372 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: LIBERATI NOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6703/2018 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dal l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO);
-ricorrente-
contro
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE;
-controricorrente-
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, sezione di SALERNO n. 7312/2017 depositata il 05/09/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La contribuente, unitamente ad altri assegnatari, è stata parte in un procedimento di attribuzione e assegnazione di quote (ereditarie) mediante sorteggio, celebratosi avanti il Tribunale di Avellino, concluso con verbale di attribuzione ed assegnazione in data 23.12.2009. A seguito del verbale, la Cancelleria del Tribunale ha trasmesso il
provvedimento all’ufficio tributario per la registrazione e la riscossione dell’imposta di registro e l’ufficio ha emesso avvisi di liquidazione, notificati a tutti i soggetti, inclusa la odierna controricorrente (in data 14.5.2012). In seguito al mancato pagamento dell’imposta, sono stati notificati a tutti i coobbligati il ruolo e le relative cartelle di pagamento. La contribuente ha presentato ricorso contro la cartella di pagamento, sostenendo la violazione di diverse norme tributarie e la prescrizione della pretesa impositiva: l’Agenzia si è costituita in giudizio eccependo l’inammissibilità del ricorso per tardività e contestando le eccezioni della contribuente ed ha richiesto la chiamata in causa di Equitalia Sud spa per fornire la prova della notifica della cartella.
La Commissione Tributaria Provinciale di Avellino ha accolto il ricorso della contribuente.
A seguito di appello dell’Agenzia delle entrate, la Commissione Tributaria Regionale di Napoli ha rigettato l’appello dell’Ufficio, confermando la sentenza di primo grado. In particolare ha ritenuto che la cartella di pagamento fosse stata notificata il 17/01/2014, data indicata dalla contribuente sulla busta, e non il 29/11/2013 come sostenuto dall’Agenzia delle Entrate, e che quindi il ricorso, spedito il 18/03/2014, fosse tempestivo, ritenendo inutilizzabile la stampa prodotta dall’Agenzia delle Entrate a dimostrazione della data di notifica, in quanto priva della sottoscrizione del destinatario. Ha inoltre stabilito che l’onere di chiamare in causa il concessionario alla riscossione spettasse all’Agenzia delle Entrate e non al giudice e che la cartella di pagamento fosse priva di motivazione, violando il diritto di difesa della contribuente. Infine, la CTR ha ritenuto prescritto il credito tributario, in quanto l’Agenzia delle Entrate non ha fornito la prova della notifica di atti interruttivi della prescrizione: trattandosi di imposta di registro ha definito il termine di prescrizione in 10 anni, ritenendo che fossero decorsi.
Avverso la suddetta sentenza di gravame l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a n. 4 motivi, cui ha resistito con controricorso la contribuente.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.., la Agenzia delle Entrate deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 21 del D.lgs. n. 546/92 e degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 4 della legge 890/1982 in relazione all’art 360 n. 3 c.p.c. La CTR avrebbe erroneamente ritenuto tempestivo il ricorso della contribuente, ignorando la data di notifica effettiva della cartella di pagamento e attribuendo valore ad una semplice annotazione sulla busta.
1.1. La questione riguarda una valutazione della prova e la rilevanza che è stata data alla apposizione della scritta da parte della contribuente rispetto alla copia a stampa, ritenuta inutilizzabile, che nello specifico assumono rilievo per verificare se la cartella di pagamento fosse stata notificata il 17/01/2014, data indicata dalla contribuente sulla busta, o il 29/11/2013, come sostenuto dall’Agenzia delle Entrate, con conseguente tempestività o tardività del ricorso, spedito dalla ricorrente il 18/03/2014.
1.2. Ritiene questa Corte che, per quanto le modalità espositive della sentenza non siano particolarmente perspicue, può desumersi dalla gravata sentenza che la prova del perfezionamento della notifica andava offerta con la produzione dell’avviso di ricevimento della raccomandata postale e che tale prova gravava sull’amministrazione. Così intesa la sentenza, non si è trattato di far prevalere un’annotazione di parte quanto piuttosto di negare piena prova ad una mera annotazione in difetto di un avviso di ricevimento (v. Cass. Sez. U., 15 aprile 2021, n. 10012).
1.3. Assume dunque rilievo la mancata produzione probatoria della parte onerata, sicché, in difetto della stessa, il giudice del
gravame non ha accolto la eccezione di tardività, non essendo stata validamente contraddetta la replica della parte contribuente circa la tempestività del ricorso.
1.4. La censura va dunque respinta.
Con il secondo motivo di ricorso, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 269 c.p.c.: sarebbe stato erroneamente ritenuto che l’onere di chiamare in causa il concessionario spettasse all’Ente impositore, nonostante l’Ufficio avesse espressamente richiesto la chiamata in causa di Equitalia.
2.1. La tesi del ricorrente è erronea, atteso che non si verte in ipotesi di litisconsorzio necessario.
2.2. Occorre premettere che a seguito della sentenza Cass. SS.UU. 16412/07 è andato consolidandosi l’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale il contribuente che impugni una cartella esattoriale emessa dal concessionario della riscossione per motivi che attengono alla mancata notificazione, ovvero anche alla invalidità degli atti impositivi presupposti, può agire indifferentemente nei confronti tanto dell’ente impositore quanto del concessionario; senza che sia tra i due soggetti configurabile alcun litisconsorzio necessario.
2.3. Deve, quindi, rilevarsi che nel processo tributario il dovere del concessionario del servizio di riscossione di chiamare in causa l’ente impositore nelle controversie che non riguardano solo la regolarità o la validità degli atti esecutivi, ai sensi dell’art. 39 del d.lgs. n. 112 del 1999, ha natura di ” litis denuntiatio ” sicché non è a tal fine necessaria alcuna autorizzazione da parte dell’autorità giudiziaria. (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 16685 del 21/06/2019, Rv. 654727 – 01).
2.4. Non vi è stato dunque alcun errore procedurale che ha determinato conseguenze sul pieno diritto di difesa.
2.5. La censura va anch’essa respinta.
3. Con il terzo motivo di ricorso, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.., si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 25, comma 2 e comma 2 bis del DPR n. 602/73, nonché degli artt. 10 e 11 del D.P.R. n. 602 del 1973: erroneamente la CTR avrebbe accolto l’eccezione di mancanza di motivazione della cartella, ignorando che il contenuto della cartella è vincolato dalla legge e non può contenere elementi diversi da quelli previsti. Assume in proposito la parte ricorrente che la cartella era stata redatta secondo il modello previsto nel decreto ministeriale e che non andava specificata la modalità di calcolo degli interessi.
3.1. Il motivo risulta inammissibile perché la ricorrente non dà alcun conto del contenuto della cartella, mentre la CTR riproduce un siffatto contenuto rilevando che la causale esposta in cartella recava: <>.
3.2. Le stesse censure proposte nel motivo di ricorso, per come prospettate, violano dunque l’onere di specificità e di autosufficienza del ricorso, di cui agli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 c.p.c., pur nella versione dell’onere di specificazione modulata in conformità alle indicazioni della sentenza CEDU del 28 ottobre 2021 (causa COGNOME ed altri c/Italia), secondo i criteri di sinteticità e chiarezza, realizzati dalla trascrizione essenziale degli atti per la parte d’interesse in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l’attività del giudice di legittimità e garantire al tempo stesso la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo
giudiziario in misura tale da non inciderne la stessa sostanza (cfr. Cass. 04/02/2022 n. 3612).
3.3. Il motivo in analisi non può dunque essere accolto.
Con il quarto motivo di ricorso, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., si deduce la violazione e falsa applicazione degli art 10, comma 1, dell’art. 76 e 78 del D.P.R. n.131/86, la pretesa tributaria non sarebbe prescritta: la CTR avrebbe errato nel considerare che per l’imposta di registro vige la prescrizione decennale e che il termine decorre dalla data di definitività del credito, non dall’anno in cui si è instaurata la procedura di divisione Il diritto di credito della amministrazion e sarebbe divento ‘definitivo’, infatti, solo alla data del 23.12.2009, (ricevuto in data 13.4.2010), quando, cioè, era stato emanato il provvedimento giudiziario di attribuzione e assegnazione delle quote, che, essendo sottoposto a registrazione e alla relativa tassazione, determinava anche il dies a quo del diritto dell’amministrazione di autorizzare il concessionario a notificare apposita cartella di pagamento al debitore.
4.1. Va osservato che il quarto motivo di ricorso fa riferimento ad atti presupposti (un verbale divisionale del Tribunale ed un avviso di liquidazione) dei quali non si offre alcuna indicazione processuale in ordine al come ed al quando della loro deduzione nei gradi di merito, sicché la censura difetta di autosufficienza.
Il ricorso deve dunque essere rigettato.
La condanna al pagamento delle spese di legittimità segue la soccombenza ed è liquidata nella misura indicata in dispositivo.
Non vi è luogo a pronuncia sul raddoppio del contributo unificato, perché il provvedimento con cui il giudice dell’impugnazione disponga, a carico della parte che l’abbia proposta, l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello
dovuto ai sensi del comma 1 bis del medesimo art. 13, non può aver luogo nei confronti delle Amministrazioni dello Stato, istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (Cass., Sez. U., 25 novembre 2013, n. 26280; Cass., 14 marzo 2014, n. 5955).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.500,00 per compensi ed € 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 13/02/2025.