Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3738 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 3738 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16203/2021 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
nonchè
AGENZIA DELLE ENTRATE -RISCOSSIONE
-intimata- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. LAZIO n. 4108/2020 depositata il 17/12/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30/01/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con ricorso notificato, RAGIONE_SOCIALE impugnava le cartelle di pagamento n. NUMERO_CARTA notificate per il recupero di importi dovuti a titolo di II.DD. e IVA in relazione agli anni 2006 e 2007. Si costituiva in giudizio Agenzia delle Entrate -Direzione Provinciale I di Roma, contestando le avverse deduzioni e chiedendo il rigetto del ricorso. Con la sentenza n. 8365/2018, la Commissione Tributaria Provinciale di Roma ha dichiarato inammissibile il ricorso, in quanto a fronte della regolare notifica delle cartelle, le stesse non sono state tempestivamente impugnate. Il successivo appello di RAGIONE_SOCIALE è stato respinto, con la condanna dell’appellante al pagamento delle spese.
Il ricorso della contribuente è affidato a sei motivi, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate; l’ADER non ha svolto difese .
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si assume il difetto di motivazione e l’apodittica declaratoria della regolarità della notificazione delle cartelle di pagamento, con correlato omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, comma, 1, n. 5 c.p.c.)
Con il secondo motivo si contesta l” erronea qualificazione della normativa in materia di disconoscimento della copia degli avvisi di ricevimento delle raccomandate con le quali sarebbero state
notificate le cartelle di pagamento, con conseguente onere di produrre l’originale ‘, adducendo la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2719 c.c., art. 60 del D.P.R. n. 600 del 29/09/1973 e art. 26, comma 4 del DPR n. 602/73 (art. 360, comma, 1, n. 3 c.p.c.); in particolare, la contribuente evidenzia di aver disconosciuto le copie degli avvisi di ricevimento delle raccomandate ‘ con le quali sarebbero state notificate le summenzionate cartelle di pagamento ‘, mettendo in luce la mancata produzione degli originali.
Con il terzo motivo si assume l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto regolarmente notificate le cartelle di pagamento impugnate, stigmatizzando l’avvenuta violazione e falsa applicazione dell’articolo 140 cpc (art. 360, comma 1, n.3), dal momento che il giudice anziché soffermarsi sui presupposti contemplati dal richiamato art. 140 cpc, si è limitato a valorizzare la circostanza dell’eseguita produzione di copia degli avvisi di ricevimento delle raccomandate.
Con il quarto motivo si adduce l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto regolare la notifica a mezzo del servizio postale, contestando l’avvenuta violazione e falsa applicazione dell’articolo 26 D.P.R. 602/1973 (art. 360, comma 1, n. 3 cpc), essendosi il giudice d’appello limitato semplicemente a riportare una pronuncia della Corte di Cassazione in ordine alla ‘ questione relativa alla regolarità della notifica delle cartelle opposte’ eseguita ‘ a mezzo posta dall’Agenzia ‘.
Con il quinto motivo di ricorso si contesta l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha respinto l’eccezione di prescrizione della pretesa erariale, così determinando la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2948 cc (art. 360, comma 1, n.3).
Con il sesto motivo di ricorso si lamenta l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha disposto la condanna alle spese in favore della PA assistita in giudizio da funzionario Violazione e falsa
applicazione dell’articolo 91 cpc (art. 360, comma 1, n.3), sottolineando che detta condanna ‘ è oltremodo punitiva per la ricorrente e comunque illegittima ‘, dal momento che, ‘ l’amministrazione si è difesa con un funzionario delegato e non con un avvocato, pertanto la liquidazione delle spese effettuata tenendo conto dei parametri liquidativi di cui al DM 55/2014, non è applicabile ‘.
Il primo motivo è infondato e va respinto.
La CTR ha accertato in fatto che sono stati ‘ prodotti estratti di ruolo e cartoline di ricevimento, nonché gli atti comportanti la rituale notifica delle due cartelle nelle date del 23.11.2011 e del 30.12.2011 ‘. Pertanto, il giudice d’appello ha valorizzato la produzione documentale, rendendo una motivazione utile a far cogliere la ratio decidendi in punto di affermata regolarità delle contestate notificazioni. Mette in conto evidenziare che ‘ in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali ‘ (Cass. n. 7090 del 2022; Cass. n. 22598 del 2018).
Il secondo motivo è infondato ed esige il rigetto.
Necessita richiamare il principio affermato condivisibilmente da questa Corte, alla stregua del quale ‘ In tema di notifica della cartella esattoriale ai sensi dell’art. 26 del d.P.R. n.
602 del 1973, ai fini della prova del perfezionamento del procedimento notificatorio non è necessaria la produzione in giudizio dell’originale o della copia autentica della cartella, essendo invece sufficiente la produzione della matrice o della copia della cartella con la relativa relazione di notifica ‘ (Cass. n. 20769 del 2021).
Dalla previsione del quarto comma dell’art.26 del d.P.R. 29 settembre 1973, n.602, secondo cui ” l’esattore deve conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o l’avviso di ricevimento ed ha l’obbligo di farne esibizione su richiesta del contribuente o dell’amministrazione “, si desume che, al contrario di quanto ritenuto della CTR, ai fini della prova della notifica della cartella non è necessaria la produzione in giudizio dell’originale o della copia autentica della cartella essendo invece sufficiente la produzione o della matrice o della copia della cartella con la relativa relazione di notifica. Nel caso di specie, la CTR dà conto della avvenuta produzione, da parte dell’agente della riscossione, di copie fotostatiche delle relate di notifica. è privo di efficacia il generico disconoscimento della conformità tra l’originale e la copia fotostatica prodotta in giudizio. Giova evidenziare, tra l’altro, che perché possa aversi disconoscimento idoneo è necessario che la parte, nei modi e termini di legge, renda una dichiarazione che evidenzi in modo chiaro ed ínequivoco gli elementi differenziali del documento prodotto rispetto all’originale di cui si assume sia copia, ‘ senza che possano considerarsi sufficienti, ai fini del ridimensionamento dell’efficacia probatoria, contestazioni generiche o onnicomprensive ‘ (cfr. in tal senso Cass. n. 28096 del 2009; v. anche Cass. n. 23426 del 2020).
Il terzo motivo non coglie nel segno e va disatteso.
Come evidenziato in sede d’esame dei primi due motivi di ricorso, il giudice d’appello ha valorizzato l’avvenuta produzione documentale
delle copie degli avvisi di ricevimento. In tal modo, ha compiuto un accertamento di fatto in punto di ritualità della notifica delle cartelle, esprimendo il sindacato di merito ad esso istituzionalmente riservato. Detto accertamento è genericamente contestato dalla contribuente, che deduce una difformità rispetto al paradigma dell’art. 140 c.p.c., senza peritarsi di precisare in ossequio ad un principio di autosufficienza del ricorso -in cosa si sarebbe sostanziata, nella specie, la violazione dei presupposti contemplati dall’art. 140 c.p.c. Pertanto, la censura, oltre che difettosa sul piano della specificità, finisce per invocare un’interdetta rivisitazione del merito della controversia in punto di affermata regolarità delle contestate notificazioni.
Il quarto motivo è infondato.
La censura s’infrange, infatti, nel consolidato principio alla luce del quale ‘ In tema di riscossione delle imposte, la notifica della cartella esattoriale può avvenire anche mediante invio diretto, da parte del concessionario, di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, in quanto la seconda parte del comma 1 dell’art. 26 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, prevede una modalità di notifica, integralmente affidata al concessionario stesso ed all’ufficiale postale, alternativa rispetto a quella della prima parte della medesima disposizione e di competenza esclusiva dei soggetti ivi indicati. In tal caso, la notifica si perfeziona con la ricezione del destinatario, alla data risultante dall’avviso di ricevimento, senza necessità di un’apposita relata, visto che è l’ufficiale postale a garantirne, nel menzionato avviso, l’esecuzione effettuata su istanza del soggetto legittimato e l’effettiva coincidenza tra destinatario e consegnatario della cartella, come confermato implicitamente dal penultimo comma del citato art. 26, secondo cui il concessionario è obbligato a conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o con l’avviso di ricevimento, in ragione
della forma di notificazione prescelta, al fine di esibirla su richiesta del contribuente o dell’amministrazione ‘ (Cass. n. 6395 del 2014; Cass. n. 4567 del 2015; Cass. n. 20918 del 2016).
Il quinto motivo è infondato.
È sedimentato nella giurisprudenza nomofilattica il principio al lume del quale ‘ Il diritto alla riscossione dei tributi erariali (IRPEF, IRES, IRAP ed IVA), in mancanza di un’espressa disposizione di legge, si prescrive nel termine ordinario di dieci anni e non nel più breve termine quinquennale, non costituendo detti crediti erariali prestazioni periodiche, ma dovendo la sussistenza dei relativi presupposti valutarsi in relazione a ciascun anno d’imposta ‘ (Cass. 32308 del 2019).
Per quanto concerne le II.DD. e l’IVA, dunque, come insegna questa Corte (cfr. anche Cass. n. 6069 del 2003, Cass. n. 2941/2007 e Cass. n. 19969 del 2019), in assenza di una espressa previsione, esse si prescrivono nel termine ordinario decennale ex art 2946 c.c., non potendosi applicare la disciplina dell’estinzione per decorso quinquennale prevista dall’art. 2948, co. 1, n. 4, c.c.. Invero, l’obbligazione avente ad oggetto il tributo, pur consistendo in una prestazione a cadenza annuale ha carattere autonomo ed unitario ed un pagamento non è mai legato ai precedenti e risente di nuove ed autonome valutazioni in ordine al presupposti ben potendo anche non essere effettuato se per quell’anno al contribuente non sia ascrivibile alcun fatto generatore di imposizione fiscale.
Il sesto motivo è infondato.
La censura aggredisce la statuizione in punto di liquidazione delle spese reputandola genericamente ‘ punitiva ‘ e sommariamente adducendo la violazione ‘ parametri liquidativi di cui al DM 55/2014’ , quindi richiamando una pronuncia di questa Corte che limita la liquidazione delle spese in favore dell’Agenzia rappresentata (Cass. n. 8413 del 2016).
Osserva, tuttavia, questa Corte che in tema di contenzioso tributario, all’Amministrazione finanziaria assistita in giudizio dai propri funzionari, in caso di vittoria nella lite, spetta, ai sensi del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art.15, comma 2 bis, , la liquidazione delle spese che va effettuata applicandosi la tariffa vigente per gli avvocati e procuratori, con la riduzione del venti per cento degli onorari di avvocato, quale rimborso per la sottrazione di attività lavorativa dei funzionali medesimi, utilizzabile altrimenti in compiti interni di ufficio e tenuto conto dell’identità della prestazione professionale profusa dal funzionario rispetto a quella del difensore abilitato” (Cass. 24675 del 2011; più di recente v. Cass. n. 27634 del 2021; Cass. n. 1019 del 2024). La determinazione degli onorari di avvocato e degli (onorari) e diritti di procuratore costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice che, qualora sia contenuto tra il minimo ed il massimo della tariffa, non richiede una specifica motivazione e non può formare oggetto di sindacato in sede di legittimità, se non quando sia stato l’interessato stesso a specificare le singole voci della tariffa che assume essere state violate (v. Cass. n. 18238 del 2015; Cass. n. 10350 del 1993).
Nel caso di specie, se, da un lato, manca la puntualizzazione, a cura della ricorrente, del preciso contenuto della violazione adombrata; dall’altro lato, emerge l’ancoraggio al principio della soccombenza della statuizione contemplata in sentenza contenente la liquidazione per ‘ 1000 euro onnicomprensive ‘.
È noto, peraltro, che, alla luce della giurisprudenza nomofilattica, in tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza vada inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non possa essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse e che il
sindacato della Corte di Cassazione sia limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa (Cass., Sez. Un., n. 11453 del 2022; Cass. n. 18128 del 2020; Cass. n. 19613 del 2017).
Il ricorso va, in ultima analisi, rigettato. Le spese sono regolate dalla soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 1.800,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento con onere della parte ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 30/01/2025.