Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33870 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33870 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/12/2024
Oggetto: Tributi
Irap e Iva 2006-2008
società di persone – Responsabilità del s Notifica della cartella di pagamento alla s società al fine di evitare la decadenza –
Sufficienza – Fondamento.
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al numero 18274 del ruolo generale dell’anno 2020, proposto
Da
NOME COGNOME rappresentato e difeso, giusta procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv.to NOME COGNOME elettivamente domiciliato presso l’indirizzo di posta elettronica (PEC) del difensore: EMAIL;
-ricorrente –
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, e Agenzia delle entrate-Riscossione, in persona del Presidente pro tempore , domiciliate in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato che le rappresenta e difende;
-controricorrenti – per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del l’Umbria , n. 423/01/2019, depositata in data 23 dicembre 2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 4 dicembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME di Nocera;
RILEVATO CHE
1.Con sentenza n. 423/01/2019, depositata in data 23 dicembre 20190, la Commissione tributaria regionale dell’Umbria rigettava l’appello proposto da NOME COGNOME nei confronti Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore e dell’ Agenzia delle entrate-Riscossione, in persona del Presidente pro tempore , avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Terni n. 234/01/2018 che aveva rigettato il ricorso proposto dal suddetto contribuente avverso avviso di intimazione di pagamento relativo a tre presupposte cartelle di pagamento emesse per debiti tributari (Irap e Iva), per le annualità 20062008, di RAGIONE_SOCIALE di COGNOME RAGIONE_SOCIALE, di cui COGNOME, assunto quale responsabile in solido, era stato socio e amministratore fino al 20.3.2008.
2.In punto di diritto, per quanto di interesse, la CTR ha osservato che: 1) avendo l’Ufficio notificato a RAGIONE_SOCIALEnRAGIONE_SOCIALE le presupposte cartelle di pagamento prima del decorso del termine di prescrizione decennale applicabile ai tributi erariali, era legittima l’escussione di NOME COGNOME quale socio illimitatamente responsabile, essendosi le obbligazioni tributarie cristallizzate prima del suo recesso nel 2008 ed essendo, comunque, individuabile nello scioglimento della società il limite temporale oltre il quale non era dato escutere il socio medesimo; 2) trattandosi di una responsabilità sussidiaria di COGNOME non era necessario emettere un autonomo avviso di accertamento nei confronti del coobbligato ai
fini della sua escussione, purchè fosse constatato l’inadempimento del debitore principale (nella specie, la società non aveva contestato le cartelle né pagato i relativi importi) ; 3) nella specie, quanto all’eccezione relativa al beneficium excussionis , COGNOME non aveva dimostrato la capienza del patrimonio della società rispetto al carico tributario.
Avverso la sentenza di appello, il contribuente propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
4.Resistono, con controricorso, l’Agenzia delle entrate e l’Agenzia delle entrate -Riscossione.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. per non avere la CTR pronunciato sull’eccezione – riproposta dal contribuente in sede di appello relativa all’intervenuta decadenza ad agire del concessionario ex art. 25 del DPR n. 602/73, non essendo state notificate a quest’ultimo le presupposte cartelle di pagamento e non potendo applicarsi alla decadenza il principio dell’interruzione del termine di prescrizione mediante la notifica delle cartelle (e comunque degli atti impositivi prodromici ad esse) ad uno dei condebitori in solido.
1.1.Invero, il vizio di omessa pronuncia lamentato dal ricorrente finisce per attenere, propriamente, ad una questione strettamente giuridica, concernente l’applicabilità alla decadenza ex art. 25 del DPR n.602/73 delle norme in tema di interruzione della prescrizione, e in particolare del l’art. 1310 c.c.
1.2.In tale prospettiva, va ricordato che è sempre consentito alla Corte decidere nel merito, ai sensi dell’art. 384, comma 2, cod. proc. civ., una questione di diritto che non richieda nuovi accertamenti di fatto, anche quando essa ritualmente prospettata sia in primo che in secondo grado – sia stata ignorata dai giudici di merito, posto che, in tale eventualità, non solo non vi è stata alcuna limitazione al contraddittorio ed al diritto di difesa, ma la perdita per le parti di un grado di merito è compensata dalla realizzazione del principio costituzionale
di speditezza, di cui all’art. 111 Cost. (Cass. Sez. 5, n. 8622 del 30/05/2012; nello stesso senso, ex multis , Cass. n. 9487 del 2017; 28/10/2015, n. 21968; Cass. 08/10/2014, n. 21257). Invero, va fatta qui applicazione del principio più volte affermato (da ultimo: Cass. n. 2248 del 2018; n. 16171/17) secondo cui: “alla luce dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111, comma 2, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c. ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di gravame, la Suprema Corte può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con quel motivo risulti infondata, di modo che la statuizione da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto”; ora, nel caso di specie, la questione (pretermessa), riproposta in appello, concernente l’assunta intervenuta decadenza ad agire del concessionario ex art. 25 cit ., non poteva trovare comunque accoglimento; e ciò sulla base di un ragionamento in puro diritto di seguito indicato.
1.3.Va, innanzitutto, premesso che l’art. 25, d.P.R. n. 602 del 1973, nel prevedere, alla lettera a) del primo comma, il termine di decadenza «del terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, ovvero a quello di scadenza del versamento dell’unica o ultima rata se il termine per il versamento delle somme risultanti dalla dichiarazione scade oltre il 31 dicembre dell’anno in cui la dichiarazione è presentata, per le somme che risultano dovute a seguito dell’attività di liquidazione prevista dall’articolo 36-bis d.P.R. n. 600 del 1973 », ne stabilisce la decorrenza dalla notifica della cartella di pagamento «al debitore iscritto a ruolo o al coobbligato nei confronti deLqua4 procede», il quale, nelle società di persone, va individuato nel socio, alla stregua del consolidato principio secondo cui, in tema di riscossione delle imposte nei confronti delle società di persone, la responsabilità solidale e illimitata dei soci per i debiti della società di persone, prevista dall’art. 2291 cod. civ., è operante anche nei rapporti
tributari (Cass., Sez. 5, 1/10/2014, n. 20704; Cass., Sez. 5, 22/12/2014, n. 27189; Cass., Sez. 5, 4/3/2020, n. 6020), sicché essi possono essere destinatari della pretesa tributaria anche quando questa si riferisca alla società, unico soggetto di imposta secondo le norme tributarie, e restare sottoposti, in seguito all’iscrizione a ruolo a carico della società, 3 all’esazione del debito, alla condizione, posta dall’art. 2304 cod. civ., che il creditore non abbia potuto soddisfarsi sul patrimonio della società medesima (in tal senso Cass., Sez. 5, 9/5/2007, n. 10584; Cass., Sez. 5, 21/4/2008, n. 10267; Cass., Sez. 5, 6/9/2006, n. 19188).
1.4. Orbene, secondo un orientamento minoritario la necessità di rispettare i termini fissati dall’art. 25 per la notifica della cartella di pagamento vale anche quando si procede nei confronti del coobbligato, sia per esigenze di certezza dei rapporti giuridici, sia per la necessità di circoscrivere temporalmente le richieste degli uffici finanziari, come affermato dalla sentenza n. 280 del 2005 della Corte costituzionale (in tal senso Cass., Sez. 5, 13/12/2017, n. 29845). E’ stato, inoltre, sostenuto che i termini, aventi natura decadenziale, entro i quali, ai sensi dell’art. 12, secondo comma, del d.lgs. n. 504 del 1992, il ruolo deve essere formato e reso esecutivo sono sottratti alle norme interruttive o sospensive della prescrizione (vedi Cass., Sez. 5, 18/11/2009, n. 24301). Secondo l’orientamento maggioritario, invece, l’avviso di accertamento (ovvero l’atto impositivo) validamente notificato solo ad alcuni condebitori spiega, nei loro confronti, tutti gli effetti che gli sono propri, mentre, nei rapporti tra l’Amministrazione finanziaria e gli altri condebitori, cui non sia stato notificato o sia stato invalidamente notificato, determina pur sempre l’effetto conservativo d’impedire la decadenza per l’Amministrazione dal diritto all’accertamento, consentendole di procedere alla notifica, o alla sua rinnovazione, anche dopo lo spirare del termine all’uopo stabilito, ferma restando la sua inidoneità a produrre effetti che possano comportare pregiudizio di posizioni soggettive dei contribuenti, quali il decorso dei termini di decadenza per insorgere avverso l’accertamento medesimo (in questi termini, da ultimo, Cass., Sez. 5, 21/07/2021, n. 20766; anche C:ass., Sez. 6-5 1/2/2018, n. 2545; Cass., Sez. 6-5, 25/5/2017, n.
13248; Cass., Sez. 5, 27/1/2016, n. 1463), rispetto al quale vige il principio, affermato dalla Corte costituzionale, secondo cui «la pluralità dei debitori di una medesima prestazione, determinando la contemporanea incidenza dell’obbligazione nella sfera di più soggetti, fa sì che ciascuno sia abilitato ad esperire un’azione o una difesa processualmente autonoma, per la tutela contro le pretese del creditore che eccedano l’ambito del dovuto», essendo l’ipotesi contraria contrastante con la regola inderogabile di cui all’art. 24 Cost. (in tal senso, Corte cost. 16/5/1968, n. 48). Tale principio, come pure sostenuto, non si riferisce soltanto all’emanazione di un atto impositivo, ma deve essere riferito anche alla diversa ipotesi del termine decadenziale previsto dall’emissione della cartella esattoriale di cui all’art. 25 d.P.R. n. 602 del 1973, stante l’ eadem ratio legis e la chiara espressione disgiuntiva della legge (“o” ex art. 25, primo comma, d.P.R. n. 602 del 1973), sicché resta irrilevante che la notifica ad uno dei coobbligati, avvenga successivamente al termine decadenziale previsto dalla norma, trovando applicazione l’art. 1310, primo comma, cod. civ., ancorché si tratti di decadenza e non di prescrizione (Cass., Sez. 5, 21/07/2021, n. 20766; anche Cass., Sez. 6-5 1/2/2018, n. 2545).
1.5. Quest’ultimo orientamento è stato confermato da questa Corte, sezione tributaria, nella sentenza n. 26020 del 2022, sia pure con qualche precisazione. Va innanzitutto ricordato il principio generale secondo cui, mentre il fondamento della prescrizione sta nell’estinzione di un diritto che, per inerzia del suo titolare protrattasi per un certo tempo, si presume abbandonato, a base della decadenza sta la necessità obiettiva che particolari atti siano compiuti entro un termine perentorio, senza riguardo alle circostanze soggettive che abbiano comportato l’inutile decorso del termine di decadenza (in tal senso, Cass., Sez. 1, 14/3/1968, n. 819, in tema di beneficio fiscale di cui all’art. 8, legge 17/7/1910, n. 491; Sez. U, 21/8/1972, n. 2690), determinando l’infruttuoso decorso del termine la consumazione della possibilità di esercitare un potere idoneo a far acquistare un diritto.
Può allora valere anche per la decadenza quanto sostenuto dalla Corte costituzionale con riguardo alla prescrizione nelle obbligazioni solidali, allorché si è detto che, in materia di solidarietà passiva, la regola dettata dall’art. 1310 cod. civ., che estende, nei confronti degli altri condebitori, l’effetto interruttivo della prescrizione derivante da atto realizzato contro uno dei condebitori, ancorché da essi non conosciuto, produce non solo effetti giuridici essenziali, ma anche un effetto confermativo che incide « direttamente sulla posizione del creditore nell’obbligazione solidale, su! diritto cioè del creditore ad una prestazione nei confronti di tutti i condebitori solidali, e che si riflette automaticamente ed inevitabilmente sulla posizione di tutti i condebitori solidali e di ciascuno di essi », coinvolgendo, data la sua natura, l’intero rapporto obbligatorio, senza che sia necessaria, a differenza degli altri effetti, la conoscenza che di esso abbia il destinatario (in tal senso, Corte cost. 9/1/1975, n. 8). E questo effetto confermativo si ritiene sia proprio, a maggior ragione, anche della decadenza, al pari dell’esigenza, comune ad entrambi gli istituti (decadenza e prescrizione), di non lasciare il contribuente assoggettato all’azione esecutiva del fisco per un tempo indeterminato (in tal senso Corte cost. 2005, n. 280, che ha, in ragione di ciò, dichiarato l’illegittimità costituzionale proprio dell’art. 25, d.P.R. n. 602 del 1973, come modificato dal d.lgs. n. 193 del 2001, nella parte in cui non prevedeva un termine, fissato a pena di decadenza, entro il quale il concessionario debba notificare al contribuente la cartella di pagamento delle imposte liquidate ai sensi dell’art. 36-bis, d.P.R. n. 600 del 1973), posto che, mentre la prescrizione incide sul diritto in ragione della inerzia protrattasi per un certo tempo, la decadenza incide sul rapporto, allorché impone il compimento di un determinato atto perché si cristallizzi l’effettività del relativo diritto e del suo esercizio. Il principio della conservazione dell’atto ha trovato spazio, ad esempio, nella materia della prescrizione in sede di esecuzione concorsuale, allorché le Sezioni unite di questa Corte hanno sostenuto che l’insinuazione al passivo della procedura, compiuta dal creditore nei confronti di uno dei soggetti obbligati, interrompe la prescrizione anche nei confronti degli altri condebitori solidali, indipendentemente dalla conoscenza da parte loro di
tale atto, atteso che gli effetti conservativi da esso prodotti incidono sul rapporto da cui origina l’obbligazione e non sulla sfera giuridica del singolo, senza che questi perda alcun diritto (Cass., Sez. U, 27/4/2022, n. 13143).
1.6 Va peraltro osservato come la concezione dell’istituto della decadenza nell’ambito del diritto pubblico, rispetto al quale il diritto tributario si pone in rapporto di species a genus , vada tenuta distinta da quella civilistica, comportando esso, nel primo caso, l’arresto dell’espansione della posizione del privato, che viene fatta rifluire nella posizione iniziale, ed essendo diretto, nel secondo caso, « a regolare un conflitto di interessi tra le parti sulla base dell’esigenza di certezza dei rapporti giuridici » (in questi termini, Cass., Sez. U, 23/4/2020, n. 8094, in tema di agevolazione “prima casa”). Tale specialità, rispetto al sistema civilistico, riverbera i suoi effetti in vari campi del diritto tributario, come in materia di sanzioni, allorché l’art. 20, comma 2, d.lgs. n. 472 del 1997, con riferimento al termine di decadenza per l’atto di contestazione, stabilisce che «Se la notificazione è stata eseguita nei termini previsti dal comma 1 ad almeno uno degli autori dell’infrazione o obbligati in solido il termine è prorogato di un anno», o in materia doganale, modellata sulla disciplina unionale, che non distingue tra decadenza e prescrizione, consentendo di estendere gli effetti degli atti interruttivi della prescrizione o della decadenza contro uno dei debitori in solido anche nei confronti degli altri condebitori (in tal senso, Cass., Sez. 5, 12/9/2019, n. 22748). Nel campo della riscossione, tale specialità trova ulteriore sostegno nell’esigenza superiore, di rilievo costituzionale, oltreché unionale, di regolare l’adempimento delle obbligazioni tributarie, sul quale deve poter fare affidamento l’amministrazione finanziaria al fine di conseguire l’equilibrio di bilancio e rispettare i parametri europei del debito pubblico, in virtù della quale non è possibile una totale equiparazione tra l’inadempimento delle obbligazioni civili e tributarie, essendo queste ultime oggetto di diversa disciplina rispetto alle prime in ragione della particolarità dei presupposti e dei fini perseguiti (in tal senso, Corte Cost., 19/10/2018, n. 190, secondo cui proprio detta specialità consente che, in caso di scissione societaria, vi sia una disciplina differenziata quanto al regime della solidarietà per i debiti
sociali, più favorevole per l’amministrazione finanziaria, secondo un canone di adeguatezza e proporzionalità di tale più estesa tutela; vedi anche Corte Cost. 28/10/2011, n. 281, con riguardo all’art. 85, comma 1, d.P.R. n. 602 del 1973). Ciò comporta che, essendo la materia tributaria connotata dalla specialità della relativa disciplina, siccome costituente attività di diritto pubblico regolata da sue proprie norme (dunque ben diversa da quella di diritto privato sicuramente deprocedimentalizzata) (Cass., Sez. 6-5, 1/2/2018, n. 2545; Cass., Sez. 5, 21/07/2021, n. 20766), non è necessario ricorrere all’art. 1310 cod. civ. per affermare che la notifica al debitore principale espanda i suoi effetti anche sul coobbligato, emergendo tale regola direttamente dall’art. 25 del d.P.R. n. 602 del 1973, il quale, nel riferirsi ad entrambi i soggetti (debitore principale e coobbligato) attraverso l’uso della disgiuntiva “o”, intende concedere all’agente della riscossione la facoltà di notificare la cartella alternativamente all’uno o all’altro, ancorando il rispetto del termine decadenziale, in esso fissato, all’assolvimento di questo incombente e rendendo ciò sufficiente ad assicurare l’effetto conservativo del potere di riscossione. Costituisce riprova della correttezza di una siffatta interpretazione il beneficium excussionis spettante al socio, il quale non potrebbe essere osservato se l’agente per la riscossione, onde evitare di incorrere nella decadenza, fosse tenuto a provvedere alla notificazione all’obbligato principale e ai coobbligati nel rispetto del medesimo termine (vedi sul punto Cass., Sez. U, 2020, n. 28709; nello stesso senso, Cass. n. 27713 del 2022).
1.7. Se così fosse, infatti, all’Amministrazione sarebbe tenuta ad anticipare la notifica dell’atto al debitore principale, senza poter utilizzare l’intero lasso temporale concessole per l’esercizio del suo potere autoritativo, in contrasto col principio secondo cui, a garanzia costituzionale del diritto di difesa, gli interessati devono poter utilizzare, nella loro interezza, i termini di decadenza (Corte cost. 8/10/2015, n. 3, in merito all’esperimento del gravame), o, in alternativa, a notificare nello stesso momento l’atto anche al condebitore, responsabile in via sussidiaria, imprimendo così all’istituto una funzione cautelativa che non gli appartiene, stante la funzione sua propria di precetto di pagamento, oltre a
favorire l’insorgenza di un contenzioso, volto a eccepire il mancato rispetto del suddetto beneficio, che si sarebbe potuto evitare in caso di capienza del debitore iscritto a ruolo. Va, infine, escluso che una tale interpretazione violi il principio della certezza dei rapporti giuridici, in quanto lascerebbe il contribuente assoggettato sine die all’azione dell’Amministrazione finanziaria, o il suo diritto di difesa. Quanto al primo punto, deve osservarsi come operi comunque il termine di prescrizione decorrente dalla notificazione ad uno degli obbligati, ritenuto congruo dalla stessa Corte costituzionale con la sentenza n. 247 del 2011. Quanto al secondo, si rileva come il socio risponda ex lege delle obbligazioni tributare della società in quanto tale e non quale soggetto passivo ed è destinatario dell’azione dell’agente della riscossione in base al medesimo titolo del soggetto passivo, ancorché su diversi presupposti. In ragione di ciò, è sufficiente la notificazione al predetto dell’avviso di mora, il quale svolge, in tal caso, una funzione secondaria di atto equivalente a quello di imposizione, oltre a quella primaria di atto equivalente al precetto nell’esecuzione forzata (Cass., Sez. 5, 9/5/2007, n. 10584; Cass., Sez. 5, 6/9/2006, n. 19188; Cass., Sez. 5, 22/01/2020, n. 1281), con funzione succedanea, al pari di quanto accade per la cartella di pagamento, di tutti gli atti presupposti eventualmente non notificati. Si è sostenuto, infatti, che, così come questi possono divenire inoppugnabili allorché non siano fatti oggetto di opposizione, sì da rendere definitiva, nei suoi termini costitutivi, la pretesa tributaria portata a conoscenza del socio con la sola notifica di tale atto, per le medesime ragioni, ma all’inverso, l’impugnazione della cartella di pagamento (o dell’avviso di mora), ai sensi dell’art. 19, comma 3, ultimo periodo, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, possa divenire anche lo strumento per contestare la pretesa originaria, la cui notificazione sia stata omessa o sia irregolare (Cass., Sez. 5, 22/01/2020, n. 1281), e l’esistenza e l’ammontare del debito di imposta (Cass., Sez. 5, 6/9/2006, n. 19188; Cass., Sez. 5, 01/10/2014, n. 20704; Cass., Sez. 5 – , 11/05/2017, n. 11615; Cass., Sez. 5, 22/01/2020, n. 1281), anche attraverso l’impugnazione congiuntamente degli atti presupposti (Cass., Sez. 5, 9/5/2007, n. 10584; Cass., Sez. 5, 05/12/2014, n. 25765; Cass., Sez. 5 – , 16/03/2018, n. 6531), senza che possa,
dunque, ravvisarsi la violazione del suo diritto di difesa. Peraltro, il socio, in caso di suo recesso prima della notifica dell’atto impositivo alla società, ha diritto ad ottenere dall’Ufficio la notifica dell’atto presupposto ovvero, in mancanza, di una cartella contenente l’illustrazione degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto posti a fondamento della pretesa, atteso che diversamente, non avendo egli il potere di consultare i documenti relativi alla società a norma dell’art. 2261 cod. civ., si determinerebbe un’inaccettabile compressione del suo diritto di difesa (in questi termini, Cass., Sez. 5, 22/01/2020, n. 1281).
Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 25 del DPR n. 602/73, 1310, 2290, 2291, 2943 e segg. e 2964 c.c. per avere la CTR nell’ipotesi si ritenga un rigetto implicito sulla eccezione di decadenza -erroneamente applicato all’istituto della decadenza le norme in tema di prescrizione e i principi previsti per quest’ultima in tema di atti interruttivi. In particolare, ad avviso del ricorrente, la decadenza sancita d all’art. 25 cit. muoverebbe dall’esigenza di garantire l’interesse del contribuente alla conoscenza, in termini certi, della pretesa tributaria derivante dalla liquidazione delle dichiarazioni (come affermato dalla richiamata Cass. n. 29845 del 2017 sebbene in contrasto con Cass. n. 2545 del 2018) per cui, nella specie, la notificazione delle presupposte cartelle esclusivamente alla società nei termini di cui all’art. 25 cit., avrebbe potuto interrompere la prescrizione confronti degli altri coobbligati ma non già la decadenza, non essendo, ai sensi dell’art. 2964 c.c., applicabili a quest’ultima le norme in tema di interruzione della prescrizione (compreso l’art. 1310 c.c.).
2.1. L’infondatezza del primo motivo nei termini sopra indicati rende inutile la trattazione del secondo con assorbimento dello stesso.
Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c. per avere la CTR erroneamente condannato il contribuente al pagamento delle spese di lite in luogo di compensarle considerato che il giudice di appello non si era pronunciato sulla eccezione di decadenza e che comunque -anche nell’ipotesi di ritenuta
applicabilità della disciplina dell’interruzione della prescrizione alla decadenza -si tratterebbe di un mutamento giurisprudenziale.
3.1. Il motivo si profila inammissibile.
3.2.Invero, in tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Cass. sez. 6-5, n. 18299/2022; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 11329 del 26/04/2019; Sez. U, Sentenza n. 14989 del 15/07/2005).
5.In conclusione, il ricorso va rigettato.
Il consolidamento successivamente alla proposizione del ricorso della giurisprudenza di legittimità in materia applicabilità alla decadenza ex art. 25 cit. della regola dettata dall’art. 1310 cod. civ. sulla interruzione della prescrizione contro uno dei condebitori in solido, induce questo Collegio a ravvisare giusti motivi per la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di legittimità;
P.Q. M.
La Corte rigetta il ricorso; compensa le spese del giudizio di legittimità.
Dà atto, ai sensi dell’art.13 comma 1 quater D.P.R. n.115/2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 4 dicembre 2024