Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16821 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16821 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/06/2025
Oggetto: accertamento – indagini finanziarie
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3219/2024 R.G. proposto da NOME COGNOME rappresentata e difesa in forza di procura speciale in atti dall’avv. NOME COGNOMEcon indirizzo PEC: EMAIL
-ricorrente – contro
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore r appresentata e difesa come per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato (con indirizzo PEC: EMAILavvocaturastatoEMAIL)
-controricorrente – per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, n. 4881/16/22 depositata in data 04/11/2022, non notificata;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere NOME COGNOME all’adunanza camerale dell’11/04/2025;
Rilevato che:
–NOME COGNOME impugnava l’avviso di accertamento notificatole con il quale l’Ufficio rettificava il reddito dichiarato per il periodo di imposta 2011 sulla base di un processo di constatazione redatto dalla Guardia di finanza riportante anche le risultanze delle indagini finanziarie svolte;
-il giudice di primo grado rigettava il ricorso;
-appellava la contribuente;
-con la sentenza impugnata la CTR ha confermato la statuizione di primo grado ritenendo in primo luogo correttamente notificato e privo da vizi l’atto impugnato; la stessa ha poi ritenuto altrettanto correttamente svoltasi tutta l’attività di verifica e controllo sia con riferimento ai termini sia con riferimento alla prova dei maggiori redditi ottenuta per mezzo delle risultanze delle indagini finanziarie , concernenti ‘maggiori ricavi desunti da versamenti non giustificati, alla luce del raffronto tra le movimentazioni bancarie e la documentazione contabile esaminata’ ;
-ricorre a questa Corte COGNOME NOME con atto affidato a quattro motivi di doglianza, illustrato da memoria;
-l’Agenzia delle Entrate ha replicato con controricorso.
Considerato che:
-il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 29 del d. L. n. 78 del 2010 come convertito in L. n. 122 del 2010 e dell’art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973 in relazione all’art. 360 c.1 n. 3 c.p.c. per avere la CTR erroneamente ritenuto sanato il vizio di notifica dell’avviso di accertamento ‘impoesattivo’, vizio consistente nell’esser stato lo stesso notificato direttamente dall’Agenzia delle Entrate che lo emise e non per mezzo di un soggetto agente della notificazione;
-il motivo è infondato;
-questa Corte ha già avuto modo di chiarire (vedi, da ultimo, Cass., Sez. Trib., Sentenza n. 21936 del 02/08/2024) che l’art.
29, comma 1, lett. a), del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 122 del 2010 e succ. modific., nulla ha innovato riguardo alla notifica dell’atto impositivo, limitandosi a prevedere, in considerazione della necessità di operare la “concentrazione della riscossione nell’accertamento”, come espressamente recita la rubrica della disposizione in esame, che l’avviso di accertamento rechi anche l’intimazione ad adempiere agli obblighi di pagamento contenuti nell’atto c.d. impoesattivo;
-nessuna modifica è stata apportata alla L. n. 890 del 1982, art. 14, che continua a prevedere “la notificazione degli avvisi (…) che per legge devono essere notificati al contribuente”, “a mezzo della posta direttamente dagli uffici finanziari”, senza alcuna distinzione tra i vari tipi di atti, impositivi o impoesattivi;
-in mancanza di espressa modifica legislativa e di ragioni sistematiche che giustifichino una diversa interpretazione, ed anche alla stregua di quanto affermato dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 175 del 2018 e n. 104 del 2019 (rispettivamente in materia di notifica diretta della cartella di pagamento e dell’avviso di accertamento), secondo cui, “nella fattispecie della notificazione ‘diretta’, vi è un sufficiente livello di conoscibilità’ – ossia di possibilità che si raggiunga, per il notificatario, l’effettiva conoscenza dell’atto – “stante l’avvenuta consegna del plico (oltre che allo stesso destinatario, anche alternativamente) a chi sia legittimato a riceverlo’, sicché il “limite inderogabile” della discrezionalità del legislatore non è superato e non è compromesso il diritto di difesa del destinatario della notifica, deve ritenersi possibile e legittima la notifica diretta a mezzo posta degli avvisi di accertamento impoesattivi, previsti dal citato art. 29 del d.L. n. 78 del 2010, come convertito;
-né a diversa conclusione può pervenirsi desumendo , dalla precisazione contenuta nell’art. 29 citato circa la facoltà di
Cons. Est. NOME COGNOME
notificare “mediante raccomandata con avviso di ricevimento” gli atti “successivi” all’avviso di accertamento in tutti i casi in cui siano rideterminati gli importi dovuti in base a questi ultimi, una implicita abrogazione della facoltà riconosciuta all’amministrazione finanziaria di procedere alla notifica diretta a mezzo posta degli avvisi di accertamento, prevista dall’art. 14 della l. n. 890 del 1982. Invero, il citato art. 29, comma 1, lett. a), non si pone affatto su un piano di incompatibilità logica o di implicita contraddizione con la più generale previsione di cui al citato art. 14 (riferito agli “avvisi” e agli “altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente”) e nemmeno prevede che la notificazione a mezzo posta è consentita “solo” per gli atti successivi all’avviso di accertamento , ma, al contrario, disponendo che la notificazione di tali atti può essere effettuata “anche mediante raccomandata con avviso di ricevimento”, rende evidente l’intento del Legislatore di specificare che anche per queste nuove tipologie di atti, ovvero i c.d. “atti successivi” (non è più prevista infatti l’emissione della cartella di pagamento la cui modalità di notifica è prevista dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26), è attribuita all’amministrazione fiscale la facoltà di procedere alla loro notificazione mediante l’utilizzo della più snella modalità costituita dall’invio diretto a mezzo raccomandata postale con avviso di ricevimento (Cass. sez. 5 n. 10109 del 2023);
-nella specie, la CTR si è attenuta ai suddetti principi nel ritenere rituale la notifica dell’avviso di accertamento impoesattivoprevisto dall’art. 29 del d. L. n. 78 del 2010, come convertitoeffettuata direttamente dall’Ufficio finanziario ex art. 14 della legge n. 890/1982, a mezzo servizio postale ordinario, senza necessità di redazione di alcuna relata di notifica (sul punto vedi, da ultimo, Cass. n. 6702 del 13/3/2025);
-il secondo motivo deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 42, comma 3, del d.P.R. 600 del 1973 ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.) per non avere la sentenza di merito ritenuto nullo l’avviso di accertamento, sottoscritto con firma digitale e notificato in cartaceo con modalità ordinaria prima del 27 gennaio 2018, ai sensi del terzo comma dell’art. 42 D.P.R. n. 600/1973 in quanto sprovvisto di firma autografa;
-il motivo è inammissibile;
-invero, a fronte dell’accertamento in fatto operato dalla sentenza di merito secondo la quale si è da un lato ritenuta necessaria l’attestazione di conformità e dall’altro si è verificata la sussistenza di ‘…tutti gli elementi identificativi richiesti dalla normativa citata…’ (pag. 3 terzultimo periodo della sentenza impugnata), era onere di parte ricorrente produrre a questa Corte la copia notificata dell’avviso di accertamento, che invece non è né prodotto in atti, né trascritto in ricorso per cassazione;
-in ogni caso, la questione di cui al motivo sopra riportato risulta infondata;
-questa Corte ha chiarito (tra le più recenti, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 13995 del 20/05/2024) che « l’ ‘avviso di accertamento firmato digitalmente nel regime di cui all’art. 2, comma 6, d.lgs. n. 82 del 2005 (ratione temporis applicabile dal 14 settembre 2016 fino al 26 gennaio 2018), non è nullo per difetto di sottoscrizione, posto che l’esclusione dell’utilizzo di strumenti informatici prevista per l’esercizio delle attività e funzioni ispettive fino all’entrata in vigore del d.lgs. n. 217 del 2017 riguarda la sola attività di controllo fiscale e non può estendersi agli avvisi di accertamento ed in genere agli atti impositivi»; ha quindi aggiunto che copia analogica dell’avviso di accertamento, sottoscritta digitalmente dal funzionario incaricato e dichiarata conforme all’originale informatico nel rispetto della previsione dell’art. 23 del d. Lgs. n. 82 del 2005 (c.d. codice
dell’Amministrazione digitale o CAD), tiene luogo del menzionato originale ed è validamente notificata al contribuente oltre che a mezzo posta elettronica certificata, anche a mezzo del servizio postale;
-il terzo motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 32 c. 1 del d.P.R. n. 600 del 1973 ex art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. e omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti consistente nell’inizio delle operazioni di verifiche fiscali in data 17 febbraio 2016 e non in data 19 settembre 2016 come rilevata dalla sentenza impugnata;
-con riguardo alla violazione dell’art. 32 c. 1 del d.P.R. n. 600 del 1973 al n. 3) il motivo è infondato;
-la disposizione invocata prevede che l’Ufficio possa ‘invitare i contribuenti, indicandone il motivo, a esibire o trasmettere atti e documenti rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti, compresi i documenti di cui al successivo art. 34. Ai soggetti obbligati alla tenuta di scritture contabili secondo le disposizioni del titolo III può essere richiesta anche l’esibizione dei bilanci o rendiconti e dei libri o registri previsti dalle disposizioni tributarie. L’ufficio può estrarne copia ovvero trattenerli, rilasciandone ricevuta, per un periodo non superiore a sessanta giorni dalla ricezione’;
-nella presente fattispecie, a fronte dell’accertamento di fatto operato dalla CTR secondo la quale ‘… dalla verbalizzazione in atti risulta la richiesta di esibizione delle scritture contabili, in coerenza con la circostanza per la quale le attività di verifica fiscale si sono concluse nella stessa data, a dispetto di quanto invece lamentato dalla parte che ha inteso far risalire l’avvio della verifica fiscale per cui è causa ad una data precedente, riferita invece a controllo preventivo diffuso su una molteplicità di anni di imposta’, non si evince, come dovrebbe secondo la
Cons. Est. NOME COGNOME
prospettazione di parte ricorrente, la sussistenza -dal trattenimento della documentazione contestato nel motivo -di un concreto pregiudizio alla contribuente;
-per valutare la sussistenza o meno della violazione dedotta è infatti necessario (e dall’accertamento sopra riportato ciò non emerge) sia riscontrato non solo il mero venir meno degli operanti all’obbligo di restituzione della documentazione nei termini, ma anche la sussistenza di una ingiusta compressione del diritto di difesa, causalmente collegato con il lamentato ingiusto spossessamento dei documenti;
-il profilo assume rilevanza dirimente, poiché presupposto logico e giuridico della censura proposta è che la documentazione contabile sia stata trattenuta dagli operanti, dal momento che solo l’effettivo spossessamento di essa in danno del contribuente – unitamente alla prova di aver subito una concreta lesione del proprio diritto alla difesa -costituisce elemento essenziale della doglianza;
-invero, la denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali, come di quelle procedimentali non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria o amministrativa, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione. Con la conseguenza che risulta inammissibile l’impugnazione con la quale si lamenti un mero vizio del processo -così enunciandosi un principio applicabile anche al procedimento, fase che logicamente e cronologicamente precede il processo – senza prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale o procedimentale abbia comportato, per la parte, una effettiva e concreta lesione del diritto di difesa o altro pregiudizio per la decisione di merito (Cfr. quanto al processo, Cass. Civ. Sez. 1, nn. 27394 -2638/2016; Cass. Civ. Sez. Trib. n. 26831/2014);
-in massima sintesi, non si evince qui dalla sentenza di merito che il trattenimento della documentazione abbia, ad esempio, impedito alla contribuente la sua utilizzazione in giudizio, il che avrebbe reso certo più ardua la sua difesa;
-con riguardo al profilo che denuncia l’omesso esame, il motivo è sotto un primo profilo inammissibile;
-invero, si verte nell’ipotesi di “doppia conforme” ex art. 348 ter, comma 5, c.p.c. era quindi onere della ricorrente indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e del rigetto dell’appello, dimostrando che sono tra loro diverse (Cass., Sez. 3, 20 settembre 2023, n. 26934; Cass. Sez. 3 Ordinanza n. 5947 del 28/02/2023); nel caso di specie, parte ricorrente non ha dedotto alcuna diversità tra le pronunce dei due gradi di merito;
-comunque, il motivo si rivela anche infondato; dalla lettura della pronuncia impugnata è evidente come la questione relativa all’inizio della verifica e alle operazioni durante essa compiute sia stata -correttamente o meno -nel concreto debitamente presa in esame dalla sentenza di merito, che si è espressa sul punto;
-il quarto motivo lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 in relazione all’art. 360 c.1 n. 3 c.p.c. per avere la sentenza di merito ritenuto che la natura di presunzione legale relativa prevista dalla disposizione in oggetto preferita la disponibilità di maggior reddito desumibile dalle risultanze dei conti bancari si estenda al contribuente che opera in regime di contabilità semplificata in assenza di una norma che imponga la riconciliazione analitica di tutti i versamenti;
-il motivo è infondato;
-ritiene il Collegio debba sul punto darsi continuità all’orientamento già espresso da questa Corte secondo il quale (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 40221 del 15/12/2021) in tema di accertamento delle imposte sui redditi, il dato normativo non
opera distinzione alcuna tra contribuenti in regime di contabilità ordinaria e contribuenti in regime di contabilità semplificata;
-d’altronde, anche con la sentenza n. 228 del 2014 la Corte costituzionale ha valorizzato il sistema di contabilità semplificata di cui generalmente e legittimamente si avvale la categoria dei lavoratori autonomi, da cui deriva la fisiologica promiscuità delle entrate e delle spese professionali e personali, con riguardo alla sola presunzione in base alla quale il prelevamento dal conto bancario corrisponderebbe ad un costo a sua volta produttivo di un ricavo;
-sul punto, si è da tempo chiarito che, in tema d’imposte sui redditi, all’esito della sentenza della Corte cost. n. 228 del 2014, le operazioni bancarie di prelevamento hanno valore presuntivo nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa, mentre quelle di versamento nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono contrastarne l’efficacia dimostrando che le stesse sono già incluse nel reddito soggetto ad imposta o sono irrilevanti (tra le più recenti, Cass. n. 9403 dell’8/3/2024);
-anche da ultimo, la Corte costituzionale ha escluso la rilevanza dirimente del regime di contabilità semplificata: v. Corte cost. n. 10/23 secondo la quale ‘non è possibile, in ragione del solo regime di contabilità in concreto adottato dal contribuente, assumere un’equiparazione tra la situazione dei lavoratori autonomi e professionisti e quello degli imprenditori commerciali ‘;
-conclusivamente, il ricorso è rigettato;
-le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo;
p.q.m.
rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore di parte controricorrente che liquida in euro 4.300,00 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 dei 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, in data 11 aprile 2025.