Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7720 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 7720 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 23/03/2025
Indagini bancarie -Avviso di accertamento Sottoscrizione-Delega di firma al funzionario sottoscrittore dell’accertamento Firma digitale-Notifica-Modalità
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28837/2019 R.G. proposto da:
NOMECOGNOME quale procuratore di se stesso, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME, in INDIRIZZO, in Roma;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato;
-controricorrente – avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. DELLA CAMPANIA n. 1747/25/2019, depositata in data 25/02/2019, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21 febbraio 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Commissione tributaria regionale della Campania (C.T.R.) rigettò l’appello proposto dal contribuente NOME COGNOME contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Napoli (C.T.P.) la quale aveva parzialmente accolto il ricorso da lui proposto avverso l’avviso di accertamento TF501AH04661 /2016, emesso all’ esito di indagini bancarie che accertavano, ex art. 32 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e art. 51, comma 2, n. 2 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, maggiori compensi per un importo pari al totale dei versamenti e prelevamenti rilevati sul conto corrente proprio e della coniuge, conducendo pertanto a recupero di maggiore Irpef e relative addizionali nonché maggiore Iva per anno di imposta 2012.
In particolare, i giudici di appello, rigettando le eccezioni del contribuente, concludevano per la piena legittimità dell’operato dell’Amministrazione finanziaria nelle operazioni di verifica e contestazione.
Avverso la sentenza della C.T.R. NOME COGNOME propone ricorso affidato a tre motivi, illustrati da successiva memoria.
L ‘Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 21 febbraio 2025.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente deduce violazione dell’art. 42, commi 1 e 3, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.
In particolare, il contribuente deduce l’illegittimità dell’avviso di accertamento per essere stato sottoscritto da soggetto privo di idonea delega da parte del direttore dell’Ufficio e per l’ avvenuta notifica in
copia cartacea e non a mezzo p.e.c., nonostante l’atto fosse stato formato e firmato digitalmente, e censura la decisione nella parte in cui ha dichiarato infondate le relative eccezioni, sul presupposto che il provvedimento di delega della firma al funzionario sottoscrittore dell’avviso fosse stato allegato all’atto di contestazione in appello, e che la validità della firma digitale, prevista espressamente dall’art. 1, comma 87, della legge n. 549 del 28 dicembre 1995, non sia condizionata dalle modalità della notifica.
1.1. La prima censura è infondata.
La quaestio iuris posta dal motivo è stata ripetutamente risolta in senso favorevole alla tesi erariale, condivisa dalla C.T.R. impugnata, per cui nell’avviso di accertamento di cui all’art. 42 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, che dispone che «Gli accertamenti in rettifica e gli accertamenti d’ufficio sono portati a conoscenza dei contribuenti mediante la notificazione di avvisi sottoscritti dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato», la delega è delega di firma e non di funzioni e quindi non richiede indicazione espressa della durata né delle ragioni, poiché con essa il delegato non esercita alcun potere o competenza riservata al delegante, trovando titolo il suo agire nei poteri di ordine e direzione, coordinamento e controllo attribuiti al dirigente preposto all’ufficio (art. 11, comma 1, lett. c e 4, Statuto Agenzia delle entrate, approvato con delibera n. 6 del 2000; art. 14, comma 2, reg. amm. n. 4/2000) (cfr. Cass. n. 28850/2019; Cass. n. 11013/2019; Cass. n. 8814/2019, superando l’originaria impostazione di Cass. n. 22803/2015; ancora Cass. n. 23433/2019; Cass. n. 18675/2020; Cass. n. 28393/2021).
Questa Corte, infatti, nelle predette decisioni rese in fattispecie analoghe, ha evidenziato che, in primo luogo, non è richiesta alcuna indicazione nominativa della delega, né la sua temporaneità, apparendo conforme alle esigenze di buon andamento e della legalità
della pubblica amministrazione ritenere che, nell’ambito dell’organizzazione interna dell’ufficio, l’attuazione della c.d. delega di firma possa avvenire anche attraverso l’emanazione di ordini di servizio che abbiano valore di delega e che individuino il soggetto delegato attraverso l’indicazione della qualifica rivestita dall’impiegato delegato.
Pertanto, non è applicabile la disciplina dettata per la delega di funzioni, e cioè l’art. 17, comma 1bis , del d.lgs. n. 165 del 2001 laddove prescrive che i dirigenti, per specifiche e comprovate ragioni di servizio, possono delegare per un periodo di tempo determinato, con atto scritto e motivato, alcune delle competenze ad essi riservate, a dipendenti che ricoprono le posizioni funzionali più elevate nell’ambito degli uffici ad essi affidate.
Di conseguenza, esclusa l’applicabilità della disciplina in tema di delega di funzioni, non è necessaria alcuna indicazione neanche del termine di validità (esplicitamente in tal senso Cass. n. 8814/2019; Cass. n. 21972/2024) né della motivazione della delega di firma (esplicitamente in tal senso cfr. Cass. n. 8814/2019; Cass. n. 15122/2024).
Peraltro, occorre evidenziare che nel caso di specie, come evidenziato dall’amministrazione, la delega reca il nominativo del delegato, indica le ragioni e il termine di validità, il che esclude in fatto la rilevanza delle doglianze del contribuente.
1.2. La seconda censura attiene all’avvenuta notifica dell’avviso di accertamento in copia cartacea e non a mezzo p.e.c., nonostante l’atto fosse stato formato e firmato digitalmente; la notifica cartacea, infatti, secondo l’assunto del ricorrente, impedir ebbe la verifica della firma digitale.
La censura è infondata, anche se sul punto deve essere parzialmente integrata e precisata la motivazione della CTR, che ha fatto riferimento alla previsione dell’art. 1, comma 87, della l. n.
549/1995, applicabile agli avvisi di accertamento e liquidazione dei tributi locali che siano emessi tramite sistemi automatizzati.
Questa Corte ha già ritenuto infatti che, posta l’applicabilità dell’art. 2, comma 6, del CAD al caso di specie, la copia analogica dell’avviso di accertamento, sottoscritta digitalmente dal funzionario incaricato e dichiarata conforme all’originale informatico nel rispetto della previsione dell’art. 23 del d.lgs. n. 82 del 2005, tiene luogo del menzionato originale ed è validamente notificata al contribuente oltre che a mezzo posta elettronica certificata, anche a mezzo del servizio postale (Cass. n. 13995/2024; Cass. n. 16293/2024; Cass. n. 17475/2024).
Invero, ai sensi dell’art. 23 del CAD «Le copie su supporto analogico di documento informatico, anche sottoscritto con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale hanno la stessa efficacia probatoria dell’originale da cui sono tratte se la loro conformità all’originale in tutte le sue componenti è attestata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato».
Nella specie il ricorrente si limita invece a dedurre che la mancata notifica a mezzo p.e.c. renderebbe impossibile la verifica della sottoscrizione digitale mentre l’Agenzia ha invece incontestatamente evidenziato che l’atto impositivo notificato in copia cartacea presenta l’attestazione di conformità all’originale, che è sufficiente a dimostrare l’avvenuta sottoscrizione dell’atto formato digitalmente ed a conferirgli un valore probatorio equiparato all’originale informatico, essendo l’attestazione di conformità riferita al contenuto integrale del documento originale informatico e quindi anche alla sottoscrizione apposta in formato digitale.
A ciò si aggiunge che il ricorrente non ha neanche dedotto di aver disconosciuto espressamente la conformità del documento analogico a quello digitale, ai sensi del comma 2, prima parte, del citato art. 23 del
CAD, che prevede che «Le copie e gli estratti su supporto analogico del documento informatico, conformi alle vigenti regole tecniche, hanno la stessa efficacia probatoria dell’originale se la loro conformità non è espressamente disconosciuta».
Si aggiunga, infine, che risulta agli atti che l’avviso di accertamento sia comunque giunto della sfera di conoscibilità del destinatario che, infatti, l’ha tempestivamente impugnato. Trova pertanto applicazione il principio consolidato secondo cui, ai sensi dell’art. 156, terzo comma, cod. proc. civ., ove l’atto, malgrado l’irritualità della notifica, sia venuto a conoscenza del destinatario, la nullità non può essere dichiarata per il raggiungimento dello scopo (cfr., tra le tante, Cass. S.U. n. 7665/2016; Cass. n. 20625/2017; Cass. n. 27561/2018; Cass. n. 24568/2018).
Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere i giudici del gravame erroneamente valutato la validità della sottoscrizione degli atti impugnati sulla base della documentazione prodotta in giudizio dalla difesa erariale, che, concretandosi in una serie incompleta di documenti, non era idonea a dare prova del corretto esercizio del potere sostitutivo.
2.1. Il motivo è inammissibile e comunque infondato.
In primo luogo, infatti, la sentenza della CTR non evidenzia che fosse oggetto di contestazione (ed in particolare dei motivi di appello) la completezza della documentazione depositata dall’ufficio (in base alla quale anzi accertava la conformità al prospetto delle deleghe di firma) né tale contestazione risulta indicata nella pur ampia trascrizione del motivo di appello, tutto rivolto a contestare la validità della delega impersonale o in bianco e a dedurre circa la firma digitale.
In secondo luogo, il motivo non evidenzia le ragioni per le quali l’allegato a) non sarebbe idoneo a indicare la posizione funzionale
idonea alla sottoscrizione dell’avviso nel caso concreto, e per quali motivi la CTR avrebbe errato sul punto, laddove l’avviso impugnato è stato emesso dall’ufficio controlli della Direzione provinciale II di Napoli per cui era sufficiente l’esibizione della delega relativa all’articolazione interna di quest’ultimo ufficio, contenuta appunto nell’allegato a, in atti.
Con il terzo motivo, il ricorrente deduce la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., e censura l’illegittimità della sentenza per travisamento della prova in quanto i giudici di secondo grado avrebbero ne gato l’avvenuta violazione del contraddittorio con riferimento ai recuperi ai fini Iva, non rilevati, per anno di imposta 2012, per i quali tale obbligo sussiste, non rilevando che l’accertamento aveva ad oggetto anche l’IVA; inoltre egli av rebbe dato prova che l’attivazione del contraddittorio avrebbe determinato una pretesa impositiva più bassa avendo giustificato alcuni versamenti in sede di procedura di adesione.
3.1. Il motivo è infondato e in parte inammissibile.
Esso, assumendo un travisamento del fatto consistente nella circostanza che la CTR avrebbe erratamente ritenuto che l’accertamento non aveva oggetto l’IVA, assume un dato processuale non veritiero e finisce pertanto per non confrontarsi con la ratio decidendi della CTR, che non censura esplicitamente.
Nulla, quindi, autorizza l’interpretazione offerta dal ricorrente e secondo la quale la CTR non avrebbe compreso che l’accertamento aveva oggetto anche l’IVA (imposta peraltro espressamente citata sia nella intestazione che nello svolgimento del processo).
I giudici d’appello, infatti, hanno invece evidenziato che il contraddittorio era garantito dall’accertamento in adesione e dalla possibilità di offrire le proprie osservazioni a seguito della conclusione delle operazioni di accesso della Guardia di finanza, con statuizione rimasta incensurata.
4. Concludendo, il ricorso deve essere respinto.
Alla soccombenza segue condanna al pagamento delle spese di lite in favore dell’Agenzia delle entrate.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, spese che liquida in euro 2.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 21/02/2025.