Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19223 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 19223 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31365/2020 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE RAGIONE_SOCIALE RISCOSSIONE, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO è domiciliata;
-ricorrente –
CONTRO
NOME COGNOME rappresentata e difesa, giusta procura speciale in atti, dall’avv. NOME COGNOME del foro di Campobasso, giusta procura speciale in atti
-controricorrente – avverso la sentenza n. 122/02/2020 della Commissione tributaria regionale del Molise, depositata in data 25.2.2020, non notificata; udita la relazione svolta all’udienza camerale dell’8.5.2025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME NOME impugnava il preavviso di fermo amministrativo n. NUMERO_CARTA scaturente dal mancato pagamento delle somme portate da due avvisi di accertamento esecutivi emessi dall’Agenzia delle Entrate, assumendo il difetto di notifica, la
carenza di motivazione e l’omessa notifica dell’avviso di accertamento n. NUMERO_CARTA
La CTP di Campobasso ccoglieva il ricorso, ritenendo che il preavviso di fermo era nullo sia perché la notifica era avvenuta a mezzo raccomandata diretta, senza il rispetto delle norme di cui alla legge n. 890/1982, sia in quanto la pretesa derivava da un accertamento esecutivo di minimo importo e di altro avviso non notificato alla contribuente in data 20.12.2014.
La C.T.R. del Molise, adita dall’Agenzia delle Entrate, respingeva l’appello, affermando che uno dei due avvisi di accertamento risultava pagato e l’altro non notificato, tanto era vero che era stato dichiarato nullo dalla C.T.P. di Campobasso e l’appello era stato respinto. Anche la notifica del preavviso di fermo era nulla, in quanto non vi era prova dell’invio della C.A.D. e dell’avviso di ricevimento, né la relata di notifica. L’atto impugnato era di natura amministrativa e pertanto non poteva applicarsi la sanatoria di cui all’art. 156 c.p.c., prevista solo per gli atti processuali.
Avverso la precitata sentenza ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate, affidato a tre motivi.
NOME resiste con controricorso.
E’ stata fissata l’udienza camerale dell’8.5.2025.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Preliminarmente, si dà atto che non è possibile aderire alla richiesta di trattazione congiunta del presente procedimento e di quello iscritto al n. 12315/2020, in quanto quest’ultimo è stato definito con decreto di estinzione n. 14608/2024, emesso dalla Prima Presidente di questa Corte, a seguito dell’adesione della controricorrente alla definizione agevolata ex art. 1, comma 186 della legge n. 197/2022.
Con il primo motivo di ricorso -rubricato «violazione e falsa applicazione dell’art. 156 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c..» l’Agenzia delle Entrate censura l’operato della C.T.R.
per aver ritenuto che l’istituto della sanatoria per raggiungimento dello scopo ex art. 156 c.p.c. non è applicabile agli atti amministrativi di natura tributaria e che alla nullità della notifica consegue l’annullamento dell’atto tributario, in contrasto con la consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo cui è applicabile l’istituto della sanatoria per raggiungimento dello scopo anche agli atti amministrativi tributari, mentre l’eventuale nullità della notifica non incide sull’esistenza e sulla validità dell’atto impugnato, trattandosi di condizione integrativa di efficacia e non di elemento costitutivo dell’atto impositivo o riscossivo.
Con il secondo motivo, rubricato ‘ violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.’ , l’Ufficio lamenta che la C.T.R. abbia erroneamente ritenuto passata in giudicato la sentenza della C.T.R. del Molise n. 606/2019, priva del relativo, che era stata invece oggetto di ricorso per cassazione iscritto al n. 12315/2020 R.G.
4.Con il terzo motivo, rubricato: «nullità della sentenza per violazione degli articoli 295 e 337 c.p.c. e dell’art. 39 del decreto legislativo n. 546/92, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.», l’Ufficio lamenta che la C.T.R., avendo ritenuto sussistere un rapporto di pregiudizialità necessaria tra il giudizio avente ad oggetto l’impugnazione dell’intimazione di pagamento e quello avente ad oggetto l’impugnazione dell’avviso di accertamento in relazione al quale era stata emessa sentenza di secondo grado non ancora passata in giudicato, avrebbe dovuto sospendere il giudizio ai sensi dell’art. 295 c.p.c. ovvero 337 c.p.c..
Questa Corte ha costantemente affermato che la tempestiva proposizione del ricorso del contribuente avverso gli atti impositivi o riscossivi produce l’effetto di sanare ex tunc la nullità della relativa notificazione, per raggiungimento dello scopo dell’atto ex artt. 156 e 160 c.p.c. (vedasi, in tema di cartella di pagamento, da ultimo, Cass. n. 27326/2024), atteso che il principio generale
enunciato espressamente per gli atti processuali dall’art. 156, terzo comma, cod. proc. civ., è applicabile per analogia a tutti gli atti amministrativi, dunque anche agli atti di imposizione tributaria e l’invalidità sanabile si estende anche ai vizi attinenti all’atto in senso stretto (Cass. n. 6347/2008 e successive conformi).
5.1. Inoltre, è orientamento consolidato di questa Corte quello per cui in tema di atti d’imposizione o riscossione tributaria, la notificazione non è un requisito di giuridica esistenza e perfezionamento dell’atto, ma una condizione integrativa d’efficacia, sicché la sua inesistenza o invalidità non determina in via automatica l’inesistenza dell’atto, quando ne risulti inequivocamente la piena conoscenza da parte del contribuente entro il termine di decadenza concesso per l’esercizio del potere all’Amministrazione finanziaria, su cui grava il relativo onere probatorio ( ex multis, Cass. n. 654/2014, Cass. n. 8374/2015, Cass. n. 21071/2018, Cass. n. 26310/2021).
Senonchè, l’astratta fondatezza del primo motivo, non conduce all’accoglimento del ricorso, attesa l’infondatezza dei restanti due motivi, da esaminare congiuntamente in quanto connessi.
La seconda doglianza non coglie infatti la ratio decidendi della statuizione.
Vero è che l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della C.T.R. n. 606/2019 che ha respinto il gravame dell’Agenzia delle Entrate relativo all’impugnazione del predetto avviso di accertamento esecutivo, ricorso iscritto al n. 12315/2020, che, come sopra precisato, è stato dichiarato estinto per avere la controricorrente NOME aderito alla definizione agevolata ex art. 1, comma 186, della legge n. 197/2022. Va tuttavia osservato che, come si desume dalla motivazione della sentenza qui impugnata, la C.T.R., con concorrente ratio decidendi , ha ritenuto nullo il preavviso di fermo (anche) per difetto di prova della notifica dell’atto presupposto,
costituito appunto dall’avviso di accertamento esecutivo in questione, circostanza (l’omessa notifica) che, secondo il giudice del gravame, era avvalorata dal fatto che proprio per tale motivo l’avviso di accertamento era stato annullato dalla medesima C.T.P. con sentenza poi confermata in grado di appello. Non risulta pertanto che la C.T.R. abbia deciso la causa sulla base di un giudicato esterno, neppure affermato, né che abbia ritenuto sussistere un rapporto di pregiudizialità necessaria tra i due procedimenti.
7.1. Anche il terzo motivo è pertanto infondato. Peraltro, dalla sentenza della C.T.R. si evince che l’intimazione di pagamento è stata impugnata per vizi propri (nullità della notifica ed omessa notifica di uno degli atti presupposti), il che esclude in radice il dedotto rapporto di pregiudizialità necessaria.
Il ricorso va conclusivamente respinto.
Sussistono giusti motivi per compensare integralmente le spese processuali tra le parti.
Poiché risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13 comma 1-quater, d.P.R., 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell’8.5.2025.