Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22616 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22616 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 05/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 7655/2022, proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso, per procura speciale allegata al ricorso, dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME, presso i quali ha eletto domicilio in ROMA, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Presidente pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso la quale è domiciliata in ROMA, INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 4015/2021 della Commissione tributaria regionale del Lazio, depositata il 10 settembre 2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 4 luglio 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
NOME COGNOME impugnò la cartella di pagamento n. NUMERO_CARTA notificatagli il 7 maggio 2018 dall’agente per la riscossione in seguito a mancati versamenti Irpef per l’anno 2006.
All’esito del giudizio, svoltosi nel contraddittorio con Agenzia delle entrate -Riscossione e con l’intervento volontario dell’Agenzia delle entrate, il ricorso fu respinto.
Il successivo appello del contribuente fu anch’esso rigettato con la sentenza indicata in epigrafe.
Per quanto ancora di rilievo in questa sede, la C.T.R. del Lazio rilevò anzitutto che, contrariamente a quanto sostenuto dal contribuente, la cartella esattoriale in discussione non era stata annullata all’esito di un diverso giudizio.
Inoltre, e quanto all’eccepito difetto di notifica della cartella e degli atti ad essa presupposti (invocato per ulteriormente eccepire il decorso del termine di decadenza e prescrizione della pretesa creditoria), osservò che risultava invece perfezionata la procedura di notificazione nelle forme di cui all’art. 140 cod. proc. civ., mediante deposito nella casa comunale, affissione del relativo avviso sulla porta dell’abitazione del destinatario e invio della prescritta raccomandata informativa.
Rilevò infine, con riferimento alla medesima circostanza, che il giudizio sull’atto impositivo presupposto dalla cartella di pagamento si era concluso con sentenza che aveva respinto l’appello del contribuente.
La sentenza d’appello è stata impugnata dal COGNOME con ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrati da successiva memoria.
RAGIONE_SOCIALE -Agenzia delle entrate Riscossione ha resistito con controricorso.
Considerato che:
Il primo motivo è rubricato «violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e art. 67 bis del d.lgs. n. 546/1992 in relazione all’art. 360 comma I, n. 3 e 5 c.p.c.».
La sentenza impugnata è censurata nella parte in cui ha escluso la circostanza secondo la quale la cartella impugnata era stata, in realtà, annullata all’esito di un diverso giudizio.
Il ricorrente afferma infatti di aver impugnato, con separato ricorso innanzi alla C.T.P. di Roma, gli estratti di ruolo inerenti alla propria posizione con l’agente per la riscossione e le tre cartelle di pagamento presupposte, fra le quali quella oggetto del presente giudizio; dal ricorso era esitato un giudizio conclusosi con l’annullamento della cartella in questione, in difetto di prova della relativa notifica.
La C.T.R. avrebbe dunque errato nel non ritenere provato l’avvenuto annullamento della cartella, ovvero nel non esaminare la relativa circostanza, quale fatto controverso e decisivo per il giudizio.
1.1. La censura è infondata sotto entrambi i profili.
Quanto, infatti, alla doglianza ex art. 360, comma primo, num. 5), cod. proc. civ., la C.T.R. ha preso in considerazione il rilievo del contribuente secondo cui la cartella era stata medio tempore caducata per effetto di pronunzia giudiziale, ma lo ha ritenuto non provato.
La circostanza, dunque, risulta essere stata oggetto di esame, ancorché conclusosi in termini diversi da quelli auspicati dal ricorrente.
In ogni caso, e in senso risolutivo, quanto alla lamentata violazione di legge, la controricorrente ha allegato e documentato il fatto che la sentenza della C.T.P. di Roma che, nel diverso giudizio promosso dal COGNOME aveva annullato la stessa cartella oggetto del presente accertamento, è stata integralmente riformata in appello.
In seguito a tale circostanza, dev’essere condiviso il rilievo dei giudici regionali in base al quale la stessa cartella «non risulta annullata risultando ancora pendente il diverso giudizio tributario»; né il ricorrente, a ciò evidentemente interessato, ha dato prova del fatto che tale giudizio è stato definito con esito diverso.
Il secondo motivo è rubricato «violazione e falsa applicazione dell’art. 140 c.p.c., art. 2946 c.c., in relazione all’art. 360, comma I, n. 3 e 5 c.p.c.».
Il ricorrente assume, anzitutto, che l’agente per la riscossione non avrebbe mai prodotto in giudizio alcun documento idoneo a dimostrare l’avvenuta notifica dell’atto impositivo presupposto dalla cartella; né di tale circostanza sussisterebbe prova aliunde , essendo stata prodotta solo la documentazione relativa alla notifica della cartella di pagamento.
Quest’ultima, in ogni caso, non poteva ritenersi validamente perfezionata, poiché eseguita nelle forme di cui all’art. 140 cod. proc. civ. ma non corredata della necessaria produzione della raccomandata contenente la CAD.
2.1. Il motivo è inammissibile.
Quanto alla circostanza della conoscenza, da parte del COGNOME, della cartella di pagamento e degli atti ad essa presupposti, la sentenza impugnata poggia su due concorrenti rationes decidendi , poiché, come si è detto, per un verso ha dato atto dell’avvenuta notifica di tali atti ai sensi dell’art. 140 cod. proc. civ. e, per altro verso, ha rilevato che comunque l’avviso di accertamento presupposto era conosciuto dal ricorrente (il quale perciò non poteva eccepirne la prescrizione), in quanto oggetto di autonomo ricorso tributario conclusosi con sentenza n. 1825/15/17 della stessa C.T.R.
Quest’ultima ratio decidendi non è scalfita dal motivo in esame, che, pertanto, non è idoneo, in sé, a far caducare la decisione impugnata.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater d.P.R. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in € 4.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte Suprema