Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33670 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 33670 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/12/2024
SENTENZA
sul ricorso n. 21027/2017 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE nella persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dal Prof. Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME presso il cui studio è elettivamente domiciliata, in Roma, alla INDIRIZZO giusta procura a margine del ricorso per cassazione.
–
ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO
– controricorrente e ricorrente in via incidentale –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del LAZIO, n. 577/14/17, depositata in data 14 febbraio 2017, non notificata; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 6 novembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale, dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito per la società ricorrente l’Avv. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale e per il rigetto del ricorso incidentale; udito per l’Agenzia controricorrente e ricorrente in via incidentale l’Avv. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso
incidentale e per il rigetto del ricorso principale;
FATTI DI CAUSA
La società RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso avverso l’avviso di accertamento con il quale era stato ricostruito induttivamente il reddito e il valore della produzione netta dichiarati dalla società in relazione al periodo d’imposta 2006 ed era stato disconosciuto il diritto alla detrazione dell’IVA relativa alle operazioni passive dichiarate nel medesimo anno.
La Commissione tributaria provinciale, riunito il ricorso con altro avente ad oggetto la conseguenziale cartella di pagamento, con sentenza n. 21570/2015, del 21 ottobre 2015, aveva confermato la pretesa erariale, ritenendo che la parte ricorrente non aveva contrapposto, nemmeno nel giudizio, argomenti idonei a confutare gli elementi presuntivi indicati nel provvedimento impugnato o circostanze di fatto adeguate a smentirli.
La Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello della società contribuente sulla base delle seguenti argomentazioni:
-) la notifica dell’invito dell’Ufficio rivolto alla società contribuente, nella persona dell’Amministratrice, NOME COGNOME a produrre documentazione contabile in relazione al periodo di imposta di riferimento, era regolare, posto che, come riportato nell’avviso di ricevimento depositato dall’Ufficio in primo grado, attesa l’assenza temporanea della destinataria, l’agente postale aveva lasciato l’avviso di deposito dell’invito presso l’Ufficio postale, dandone contestualmente ulteriore notizia tramite raccomandata, il tutto con esito di compiuta giacenza per decorso del termine di dieci giorni dalla spedizione della missiva senza che il destinatario abbia provveduto al ritiro della stessa;
-) circa, poi, le indicazioni apposte dall’agente postale sulla ricevuta di ritorno la relazione di notificazione era assistita da un’efficacia probatoria privilegiata circa le attività direttamente svolte dall’agente notificatore, in qualità di pubblico ufficiale, di quanto avvenuto in sua presenza e dallo stesso direttamente percepito, contestabile solo con querela di falso;
-) le notizie e i dati non addotti e gli atti, documenti, i libri ed i registri non esibiti e non trasmessi in risposta agli inviti dell’Ufficio non potevano essere presi in considerazione a favore del contribuente ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa ai sensi dell’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, alla luce degli atti depositati dall’Ufficio e in assenza di una causa non imputabile alla contribuente che giustificasse il suo inadempimento alle richieste dell’Ufficio;
-) sussisteva, invero, una presunzione di conoscenza legale dell’invito in questione, stante la regolarità della sua notifica e la circostanza che lo stesso conteneva al proprio interno l’avvertenza di cui al ricordato art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973;
-) non era inconferente il richiamo operato in sentenza all’art. 39, comma 2, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973 e il riferimento alla lettera d) del medesimo comma, relativo alle irregolarità riscontrate nelle scritture contabili, era da ricondursi al fatto che queste, esibite nel
ricorso di primo grado, erano state riscontrate dai primi giudici ma ritenute carenti, come espressamente affermato nel corpo della decisione, mentre era irrilevante il richiamo, contenuto in sentenza, alle disposizioni in materia di accertamento basato sugli studi di settore;
-) la dedotta erroneità della sentenza di primo grado (che aveva fatto erroneo riferimento ad un rimborso IVA erogato nel corso del 2009, che non afferiva all’annualità 2006, bensì all’annualità 2008), non incideva sulla correttezza dell’operato dell’Ufficio, che aveva agito espungendo dalla dichiarazione del contribuente i costi d’impresa non documentati, ivi compresa l’indebita detrazione ai fini IVA dell’importo di euro 280.393,00 per mancanza assoluta di documentazione rilevante, recuperata a tassazione ai sensi dell’art. 54 del d.P.R. n. 633 del 1972;
-) era pure infondata la doglianza sulla ricostruzione presuntiva del reddito fondata su una percentuale di redditività del 7% della quale non era specificata in alcun modo la fonte avendo l’Ufficio nell’avviso di accertamento impugnato esposto con puntualità le modalità di determinazione della redditività del settore di appartenenza della società, con argomentazioni che le censure della contribuente non erano state idonee a contrastare.
I giudici di secondo grado hanno, invece, ritenuto fondata la richiesta di riconoscimento dell’agevolazione concessa alle società cooperative relativa alla tassazione ridotta dell’utile come previsto dall’art. 12 della legge n. 904 del 1977 e dall’art. 21, comma 10, della legge n. 449 del 1997, applicabile in ragione della natura di cooperativa a mutualità prevalente della società RAGIONE_SOCIALE e della sussistenza dei presupposti di legge, quali risultavano dagli artt. 15 e 27 dello Statuto e come evidenziati dalla perizia di parte depositata nel giudizio di primo grado.
La società RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a nove motivi.
L’Agenzia delle Entrate r esiste con controricorso e ricorso in via incidentale e memoria.
La Procura Generale ha depositato requisitoria scritta con la quale ha chiesto il rigetto del ricorso principale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo motivo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 7, terzo comma, della legge n. 890 del 1982 e 145 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 2697 e 2729 cod. civ., nonché degli artt. 32, commi quarto e quinto, e 39, secondo comma, lett. dbis, del d.P.R. n. 600 del 1973, nonché 51, quarto comma, del d.P.R. n. 633 del 1972. La Commissione tributaria regionale aveva erroneamente reputato, agli effetti della preclusione all’utilizzo dei documenti non prodotti e dell’impiego del metodo di accertamento induttivo/extracontabile, perfezionata la notifica d ell’ invito a produrre documenti indirizzato alla sede legale della società contribuente, valorizzando però, nel sindacato sulla prova dei relativi presupposti legali, elementi indiziari in realtà privi dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, pur a fronte della prova fornita dalla contribuente circa il fatto che il plico contenente l’invito in questione era stato consegnato ad un soggetto, che oltre a non essere né dipendente né addetto alla sede, non era stato autorizzato a qualsiasi titolo a ricevere la posta destinata alla società e, soprattutto, che aveva dichiarato di non avere mai consegnato, nello specifico, l’invito in questione per mero errore.
Il secondo motivo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 36, secondo comma, n. 4, del decreto legislativo n. 546 del 1992, dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. e dell’art. 118, primo comma, disp. att., cod. proc. civ., alla luce dell’apparenza della motivazione, con la quale i Giudici hanno ritenuto che l’avere «in più
occasioni ritirato gli atti destinati alla società senza peraltro consegnarglieli» costituirebbe circostanza idonea a far ritenere perfezionata la notifica pur a fronte delle plurime circostanze, per converso, dedotte e documentate dalla ricorrente per dimostrare l’assenza di qualsiasi collegamento tra la stessa e chi si era reso solo indebitamente consegnatario del plico.
3. Il terzo motivo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 e 2700 cod. civ., in relazione agli artt. 8, secondo comma, della legge n. 890 del 1982, nonché 32 e 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 e 54 del d.P.R. n. 633 del 1972. La sentenza impugnata era errata laddove aveva ritenuto che per il perfezionamento della notifica dell’invito istruttorio n. I01929/2011 fosse sufficiente la dichiarazione resa dall’agente notificatore, ancorché pubblico ufficiale, di avere comunicato alla destinataria, il tentativo di notifica del piego, sebbene, a fronte della contestazione di mancata ricezione della suddetta comunicazione, spettasse all’Agenzia delle Entrate dimostrare il perfezionamento del procedimento notificatorio esibendo in giudizio l’avviso di ricevimento, o quantomeno quello di spedizione, della C.A.D., documento che, nel caso di specie, non era mai stato prodotto. 4. Il quarto motivo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 32, quarto comma e 39, secondo comma, lett. d-bis), del d.P.R. n. 600 del 19873 e 51, ultimo comma, e 54 del d.P.R. n. 633 del 1972. La sentenza era illegittima nella misura in cui aveva ritenuto operante la preclusione all’utilizzo dei documenti non prodotti dalla San Nilo in risposta all’invito trasmesso dall’Ufficio, posto che nel caso di specie la richiesta istruttoria non era neppure materialmente pervenuta alla destinataria.
Il quinto motivo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 32,
quarto comma, e 39, secondo comma, lett. d-bis), del d.P.R. n. 600 del 19873 e 51, ultimo comma, e 54 del d.P.R. n. 633 del 1972. La sentenza era illegittima nella misura in cui aveva reputato che la mancata risposta allo stesso era idonea a determinare la preclusione all’utilizzo dei documenti non prodotti e a legittimare il ricorso al metodo di accertamento induttivo/extracontabile, pure emergendo dagli atti che l’invito istruttorio era privo dell’avvertimento circa le conseguenze della mancata ottemperanza alla richiesta istruttoria.
Il sesto comma deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 115, primo comma, cod. proc. civ., in quanto i giudici di secondo grado avrebbero dovuto accertare la mancanza dell’avvertimento trattandosi di un fatto non contestato tra le parti del giudizio e, comunque, emergente ictu oculi dall’invito prodotto dalla stessa Agenzia delle Entrate nel corso del giudizio di primo grado.
Il settimo motivo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, ossia del fatto che un invito istruttorio era relativo ad un’annualità differente (2008) rispetto a quella formante oggetto dell’accertamento (2006) e, dunque, che la sua inottemperanza comunque non avrebbe mai potuto comportare una preclusione all’utilizzo, in relazione all’annualità accertata, dei documenti non prodotti né avrebbe potuto legittimare l’utilizzo del metodo induttivo/extracontabile.
L’ottavo motivo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 2697 cod. civ. anche in relazione all’art. 53 Cost., avendo la Commissione tributaria regionale ritenuto che l’applicazione di una percentuale di redditività riferita unicamente al medesimo settore merceologico di appartenenza della società contribuente accertato fosse sufficiente ai fini della ricostruzione
induttiva del reddito, senza però che fosse al contempo considerata anche la particolare natura di cooperativa a mutualità prevalente della medesima, alla luce della quale non avrebbero potuto essere pedissequamente applicate le medie di redditività riferite a soggetti che svolgevano attività commerciali a fini di lucro.
Il nono motivo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione degli artt. 36, secondo comma, n. 4 del decreto legislativo n. 546 del 1992, 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. e 118, primo comma, disp. att. cod. proc. civ., non avendo i giudici di secondo grado spiegato come sarebbe stato possibile desumere dall’avviso di accertamento che l’Ufficio, nell’individuare l’indice di redditività applicato, avesse tenuto conto anche della natura mutualistica della San Nilo, posto che l’atto impositivo non conteneva alcun riferimento a detto elemento, ma si limitava ad un generico riferimento al medesimo settore merceologico di attività (lavori generali di costruzione di edifici, settore identificato con codice 4211).
Il primo ed unico motivo del ricorso incidentale deduce la violazione e falsa applicazione dell’articolo 145 cod. proc. civ., nonché dell’articolo 2697 cod. civ., in relazione all’articolo 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.. La decisione di appello era errata con riferimento al mancato perfezionamento della notificazione dell’invito n. I01929/2011 presso la sede legale della stessa San Nilo RAGIONE_SOCIALE in quanto era stato accertato, in punto di fatto, che detto atto era stato bensì ricevuto in data 26 luglio 2011 presso quell’indirizzo dalla Sig.ra NOME COGNOME e che la stessa, pur non essendone dipendente, era tuttavia « evidentemente persona ben nota alla società contribuente (la quale infatti ne produce le dichiarazioni) », e che ella « ha ritenuto in più occasioni di ritirare gli atti destinati alla società e che, nonostante ciò, si è dimenticata di consegnarglieli ». Anche la notifica dell’invito alla sede legale della San Nilo RAGIONE_SOCIALE.
RAGIONE_SOCIALE avrebbe pertanto dovuto dirsi legittimamente perfezionata, e la Commissione tribunale regionale, ritenendo il contrario, aveva dunque violato le pertinenti norme indicate in epigrafe.
Il terzo motivo del ricorso principale e l’unico motivo del ricorso incidentale devono essere trattati in via prioritaria in quanto afferenti entrambi al vizio di notifica dell’invito istruttorio n. I01929/2011.
Il primo motivo del ricorso principale è fondato, alla stregua del principio giurisprudenziale affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui « In tema di notifica di un atto impositivo ovvero processuale tramite servizio postale, qualora l’atto notificando non venga consegnato al destinatario per rifiuto a riceverlo ovvero per sua temporanea assenza ovvero per assenza o inidoneità di altre persone a riceverlo, la prova del perfezionamento del procedimento notificatorio può essere data dal notificante – in base ad un’interpretazione costituzionalmente orientata (artt. 24 e 111, comma 2, Cost.) dell’art. 8 della L. n. 890 del 1982 – esclusivamente attraverso la produzione in giudizio dell’avviso di ricevimento della raccomandata contenente la comunicazione di avvenuto deposito (cd. C.A.D.), non essendo a tal fine sufficiente la prova dell’avvenuta spedizione della suddetta raccomandata informativa», in quanto «solo dall’esame concreto di tale atto il giudice del merito e, qualora si tratti di atto processuale, (se del caso) anche il giudice di legittimità, può desumere la “sorte” della spedizione della “raccomandata informativa”, quindi, in ultima analisi, esprimere un – ragionevole e fondato – giudizio sulla sua ricezione, effettiva o almeno “legale” (intesa come facoltà di conoscere l’avviso spedito e quindi tramite lo stesso l’atto non potuto notificare), della raccomandata medesima da parte del destinatario » (Cass., Sez. U., 15 aprile 2021, n. 10012).
12.1 Le Sezioni Unite, nella sentenza richiamata, esaminando le fattispecie di notifica in caso di irreperibilità relativa del destinatario,
ex 140 cod. proc. civ. e quella eseguita a mezzo posta, ha ravvisato tra le stesse un « pendant logico-giuridico » ed una « evidente analogia » e ha esteso, in una prospettiva di comparazione anche costituzionale, la soluzione, in materia di necessaria produzione dell’avviso di ricevimento, già adottata da questa Corte con riferimento all’art. 140 cod. proc. civ.. Dunque, la mancata produzione in giudizio nel deposito dell’avviso di ricevimento della raccomandata comporta la mancanza di prova del perfezionamento del procedimento notificatorio. Inoltre, ha precisato che, nel caso di notifica, anche di atti impositivi tributari, da parte dell’ufficiale giudiziario ai sensi dell’art. 140 cod. proc. civ., che la prova del perfezionamento del procedimento notificatorio deve essere data, appunto, mediante la produzione giudiziale dell’avviso di ricevimento della «raccomandata informativa» e che, pur nella diversità delle due modalità notificatorie in relazione alla spedizione della CAD – quella codicistica attuata dall’ufficiale giudiziario con il concorso dell’agente postale, quella postale attuata esclusivamente da quest’ultimo- non può che ravvisarsi un’unica ratio legis che è quella profondamente fondata sui principi costituzionali di azione e difesa (art. 24, Cost.) e di parità delle parti del processo (art. 111, secondo comma, Cost.) – di dare al notificatario una ragionevole possibilità di conoscenza della pendenza della notifica di un atto impositivo o comunque di quelli previsti dall’art. 1 della legge n. 890 del 1982 (atti giudiziari civili, amministrativi e penali, concludendo che solo in questi termini può dunque trovarsi quel punto di equilibrio tra le esigenze del notificante e quelle del notificatario, peraltro trattandosi di un onere probatorio processuale tutt’affatto vessatorio e problematico, consistendo nel deposito di un atto facilmente acquisibile da parte del soggetto attivo del sub-procedimento e che solo dall’esame concreto di tale atto il giudice del merito e, qualora si tratti di atto processuale, (se del caso) anche il giudice di legittimità, può desumere la «sorte» della spedizione della «raccomandata informativa», quindi, in ultima analisi,
esprimere un – ragionevole e fondato- giudizio sulla sua ricezione, effettiva o almeno «legale» (intesa come facoltà di conoscere l’avviso spedito e quindi tramite lo stesso l’atto non potuto notificare), della raccomandata medesima da parte del destinatario (Cass., Sez. U., 15 aprile 2021, n. 10012, in motivazione).
12.2 Orbene, applicati detti principi al caso in esame, in cui la notifica, come emerge dalla sentenza impugnata e dalla memoria dell’Agenzia delle Entrate (pagg. 2, 3 e 5) è stata eseguita mediante agente postale in ipotesi di irreperibilità relativa, la raccomandata informativa non risulta consegnata al soggetto destinatario, è del tutto evidente che il giudizio sulla ricezione «effettiva» o almeno «legale» della stessa non può che essere negativo, con la conseguenza che era onere dell’Ufficio, nella specie non adempiuto, procedere a rinnovare la notificazione non perfezionatasi.
Anche il primo ed unico motivo del ricorso incidentale è fondato.
13.1 Questa Corte, sul presupposto che la notificazione degli atti tributari regolata dall’art. 145 cod. proc. civ. può avvenire, con criterio di alternatività, presso la sede o direttamente al legale rappresentante (Cass., 18 aprile 2023, n. 10282; Cass., 10 novembre 2020, n. 25137) ha statuito che « Ai fini della regolarità della notificazione di atti a persona giuridica mediante consegna a persona addetta alla sede (art. 145, comma 1, c.p.c.), senza che consti la previa infruttuosa ricerca del legale rappresentante e, successivamente, della persona incaricata di ricevere le notificazioni, è sufficiente che il consegnatario si trovi presso la sede della persona giuridica destinataria non occasionalmente ma in virtù di un particolare rapporto che, non dovendo essere necessariamente di prestazione lavorativa, può risultare anche dall’incarico, pur se provvisorio e precario, di ricevere le notificazioni per conto della persona giuridica. Ne consegue che, qualora dalla relazione dell’ufficiale giudiziario risulti la presenza di una persona che si trovava nei locali della sede, è da presumere che tale persona fosse
addetta alla ricezione degli atti diretti alla persona giuridica, anche se da questa non dipendente, laddove la società, per vincere la presunzione in parola, ha l’onere di provare che la stessa persona, oltre a non essere una sua dipendente, non era neppure addetta alla sede per non averne mai ricevuto incarico alcuno ». (Cass., 20 novembre 2017, n. 27420; Cass., 5 settembre 2012, n. 14865, richiamata anche dai giudici di merito). Anche di recente, questa Corte ha affermato che « Ai fini della regolarità della notificazione di atti ad una persona giuridica, ex art. 145 c.p.c., qualora dalla relazione dell’ufficiale giudiziario o postale risulti, nella sede legale o effettiva, la presenza di una persona all’interno dei relativi locali, è da presumere che tale persona fosse addetta alla ricezione degli atti diretti alla persona giuridica medesima, senza che il notificatore debba accertarsi della sua effettiva condizione, laddove l’ente, per vincere la presunzione in parola, ha l’onere di provare la mancanza dei presupposti per la valida effettuazione del procedimento notificatorio » (Cass., 14 maggio 2021, n. 13086).
13.2 La statuizione della Commissione tributaria regionale sulla regolarità della notifica eseguita in data 26 luglio 2011 presso la sede della società, non è conforme ai principi suesposti, in quanto i giudici di secondo grado, pur evidenziando che le affermazioni della società sollevavano perplessità, ove si considerava che la signora COGNOME era persona nota alla società che ne aveva acquisito e prodotto le dichiarazioni e che la medesima prestava attività lavorativa presso altro ufficio avente la medesima sede della società ed aveva in più occasioni ritirato gli atti destinati alla società senza peraltro consegnarglieli (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata), non hanno accertato, in ossequio ai principi suesposti, se la presenza di NOME presso la sede della società ricorrente fosse o meno occasionale oppure se essa trovasse origine in un particolare rapporto
che potesse risultare anche dall’incarico (pure provvisorio e precario), di ricevere le notificazioni per conto della società stessa.
In ragione della ritenuta fondatezza del primo motivo del ricorso principale, i restanti motivi del ricorso principale devono ritenersi assorbiti.
Per le ragioni di cui sopra, va accolto il primo motivo del ricorso principale e l’unico motivo del ricorso incidentale, con assorbimento dei restanti motivi del ricorso principale; la sentenza impugnata va cassata, in relazione al motivo accolto del ricorso incidentale, e la causa va rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale e l’unico motivo del ricorso incidentale, con assorbimento dei restanti motivi del ricorso principale; la sentenza impugnata va cassata, in relazione al motivo accolto del ricorso incidentale, e la causa va rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese di legittimità.
Così deciso in Roma, il 6 novembre 2024.