Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16988 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16988 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/06/2025
Oggetto:
accertamento
–
trattenimento
documenti
–
irrilevanza
sulla
legittimità
dell’avviso di accertamento
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5394/2024 R.G. proposto da NOME COGNOME rappresentata e difesa in forza di procura speciale in atti dall’avv. NOME COGNOMEcon indirizzo PEC: EMAIL
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore rappresentata e difesa come per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato (con indirizzo PEC: EMAILavvocaturastatoEMAIL)
-resistente – per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, n. 5251/02/22 depositata in data 18/11/2022, non notificata;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere NOME COGNOME all’adunanza camerale dell’11/04/2025;
Rilevato che:
–NOME COGNOME impugnava l’avviso di accertamento notificatole con il quale l’Ufficio rettificava il reddito dichiarato per il periodo di imposta 2013 sulla base di un processo di constatazione redatto dalla Guardia di finanza riportante anche le risultanze delle indagini finanziarie svolte;
-il giudice di primo grado rigettava il ricorso;
-appellava la contribuente;
-con la sentenza impugnata la CTR ha confermato la statuizione di primo grado ritenendo in primo luogo correttamente notificato e privo da vizi l’atto impugnato; la stessa ha poi ritenuto altrettanto correttamente svoltasi tutta l’attività di verifica e controllo sia con riferimento ai termini sia con riferimento alla prova dei maggiori redditi ottenuta per mezzo delle risultanze delle indagini finanziarie;
-ricorre a questa Corte COGNOME NOME con atto affidato a tre motivi di doglianza illustrati da memoria;
-l’Agenzia delle Entrate ha unicamente depositato atto di costituzione in vista della pubblica udienza;
Considerato che:
-il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 29 del d. L. n. 78 del 2010 come convertito in L. n. 122 del 2010 e dell’art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973 in relazione all’art. 360 c.1 n. 3 c.p.c. per avere la CTR erroneamente ritenuto sanato il vizio di notifica dell’avviso di accertamento ‘impoesattivo’, vizio consistente nell’esser stato lo stesso notificato direttamente dall’Agenzia delle Entrate che lo emise e non per mezzo di un soggetto agente della notificazione;
-il motivo è infondato;
-questa Corte ha già avuto modo di chiarire (vedi, da ultimo, Cass., Sez. Trib., Sentenza n. 21936 del 02/08/2024) che l’art. 29, comma 1, lett. a), del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con
modificazioni, dalla L. n. 122 del 2010 e succ. modific., nulla ha innovato riguardo alla notifica dell’atto impositivo, limitandosi a prevedere, in considerazione della necessità di operare la “concentrazione della riscossione nell’accertamento”, come espressamente recita la rubrica della disposizione in esame, che l’avviso di accertamento rechi anche l’intimazione ad adempiere agli obblighi di pagamento contenuti nell’atto c.d. impoesattivo;
-nessuna modifica è stata apportata alla L. n. 890 del 1982, art. 14, che continua a prevedere “la notificazione degli avvisi (…) che per legge devono essere notificati al contribuente”, “a mezzo della posta direttamente dagli uffici finanziari”, senza alcuna distinzione tra i vari tipi di atti, impositivi o impoesattivi;
-in mancanza di espressa modifica legislativa e di ragioni sistematiche che giustifichino una diversa interpretazione, ed anche alla stregua di quanto affermato dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 175 del 2018 e n. 104 del 2019 (rispettivamente in materia di notifica diretta della cartella di pagamento e dell’avviso di accertamento), secondo cui, “nella fattispecie della notificazione ‘diretta’, vi è un sufficiente livello di conoscibilità’ -ossia di possibilità che si raggiunga, per il notificatario, l’effettiva conoscenza dell’atto – “stante l’avvenuta consegna del plico (oltre che allo stesso destinatario, anche alternativamente) a chi sia legittimato a riceverlo’, sicché il “limite inderogabile” della discrezionalità del legislatore non è superato e non è compromesso il diritto di difesa del destinatario della notifica, deve ritenersi possibile e legittima la notifica diretta a mezzo posta degli avvisi di accertamento impoesattivi, previsti dal citato art. 29 del d.L. n. 78 del 2010, come convertito;
-né a diversa conclusione può pervenirsi desumendo , dalla precisazione contenuta nell’art. 29 citato circa la facoltà di notificare “mediante raccomandata con avviso di ricevimento” gli atti “successivi” all’avviso di accertamento in tutti i casi in cui
siano rideterminati gli importi dovuti in base a questi ultimi, una implicita abrogazione della facoltà riconosciuta all’amministrazione finanziaria di procedere alla notifica diretta a mezzo posta degli avvisi di accertamento, prevista dall’art. 14 della l. n. 890 del 1982. Invero, il citato art. 29, comma 1, lett. a), non si pone affatto su un piano di incompatibilità logica o di implicita contraddizione con la più generale previsione di cui al citato art. 14 (riferito agli “avvisi” e agli “altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente”) e nemmeno prevede che la notificazione a mezzo posta è consentita “solo” per gli atti successivi all’avviso di accertamento , ma, al contrario, disponendo che la notificazione di tali atti può essere effettuata “anche mediante raccomandata con avviso di ricevimento”, rende evidente l’intento del Legislatore di specificare che anche per queste nuove tipologie di atti, ovvero i c.d. “atti successivi” (non è più prevista infatti l’emissione della cartella di pagamento la cui modalità di notifica è prevista dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26), è attribuita all’amministrazione fiscale la facoltà di procedere alla loro notificazione mediante l’utilizzo della più snella modalità costituita dall’invio diretto a mezzo raccomandata postale con avviso di ricevimento (Cass. sez. trib. n. 10109 del 2023);
-nella specie, la CTR si è attenuta ai suddetti principi nel ritenere rituale la notifica dell’avviso di accertamento impoesattivo -previsto dall’art. 29 del d.L. n. 78 del 2010, come convertito -effettuata direttamente dall’Ufficio finanziario ex art. 14 della legge n. 890/1982, a mezzo servizio postale ordinario, senza necessità di redazione di alcuna relata di notifica (da ultimo, sul punto, vedi Cass. sez. trib. n. 6702 del 2025);
-in ogni caso, poi, l’istituto della sanatoria del vizio per il raggiungimento dello scopo, disciplinato all’art. 156, terzo comma, c.p.c., trova applicazione generale anche in materia tributaria senza distinzione, in tema di notificazione, tra atti impositivi ed atti
esattivi, diversamente da quanto argomentato in ricorso. L’istituto si applica infatti a proposito della notificazione dell’avviso di accertamento, atto impositivo (cfr., tra le altre, Cass. sez. V, 19 maggio 2018, n. 11043; Cass. sez. V, 21 settembre 2016, n. 18480) e, del pari, in relazione alla notificazione della cartella di pagamento, atto esattivo (cfr., tra le altre, Cass. sez. VI-V, 5 marzo 2019, n. 6417; Cass. sez. V, 30 ottobre 2018, n. 27561). Non sussiste alcuna ragione, pertanto, la quale induca a ritenere che l’atto c.d. ‘ impoesattivo ‘ , il quale cumula la funzione impositiva con quella esattiva, debba seguire una diversa disciplina (in termini Cass. n. 12626/2024), la quale ha enunciato sul punto il principio di diritto secondo il quale ‘l’istituto della sanatoria dei vizi della notificazione in conseguenza del raggiungimento dello scopo riceve applicazione generalizzata anche nella materia tributaria, pertanto con riferimento alla notificazione dell’avviso di accertamento, atto impositivo, della cartella di pagamento, atto esattivo, ed anche dell’avviso di accertamento esecutivo, c.d. ‘atto impoesattivo’;
-il secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione e dell’art. 32 c. 1 del d.P.R. n. 600 del 1973 ex art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. e omesso esame per non avere la sentenza di merito ritenuto che il protrarsi della detenzione delle scritture contabili e della documentazione della contribuente per oltre sessanta giorni costituisca una violazione dell’art. 32 del d.P.R. 600 del 1973 che determina l’illegittimità dell’atto impugnato e l’inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite e che la data di inizio della verifica corrisponda al 17/02/2016 e non a quella 19/09/2016 indicata in sentenza;
-la censura è inammissibile, quanto al profilo relativo all’omesso esame dedotto;
-a fronte della statuizione contenuta in sentenza, secondo cui ‘l’appellante non ha posto l’organo giudicante nelle condizioni di
verificare i presupposti della censura dato che non indica, neppure in questa sede, l’effettivo termine di riconsegna delle predette scritture contabili ‘, la ricorrente si è limitata a far leva sulla valutazione degli elementi contenuti nel processo verbale di constatazione allegato sub 1 della produzione documentale depositata nel fascicolo telematico del giudizio di primo grado, oltre che al ricorso per cassazione, senza specificare in che sede e in maniera abbia indicato ‘l’effettivo termine di riconsegna delle predette scritture contabili’; peraltro, il processo di verbale di constatazione non risulta menzionato nelle pagine 1820 dell’atto di appello, allegato sub 8 del fascicoletto che correda il ricorso, e indicate a pag. 17 di questo;
-ad ogni modo, con riguardo specifico alla violazione dell’art. 32 c. 1 n. 3) del d.P.R. n. 600 del 1973 al n. 3) dedotta ex art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c.., quale violazione di legge atta a ripercuotersi sull’avviso di accertamento successivamente emesso, il motivo è comunque infondato;
-invero, nel caso in cui l’Amministrazione trattenga presso di sé le scritture contabili oltre il termine di legge, la disposizione qui invocata non prevede espressamente alcuna conseguenza negativa in ordine alla validità dell’avviso di accertamento (invocata dal contribuente nel concreto contenuto censorio del motivo) che dovesse essere in seguito notificato al contribuente, né impone all’Ufficio espressi obblighi di standstill , come avviene all’art. 12 c. 7 della L. n. 212 del 2000 secondo il quale ‘l’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza’;
-poiché le cause di invalidità dell’atto in argomento sono oggetto di disciplina positiva, spettando al legislatore individuare le situazioni e i vizi in cui la difformità dell’atto o degli atti da modello ex lege previsto ne causa l’illegittimità, non può infatti ritenersi che ogni
deviazione dal modello legale provochi una tale contrarietà a legge da riverberarsi in modo caducatorio sull’atto viziato, travolgendolo;
-ne sono prova i numerosi orientamenti di questa Corte in cui si è chiarito -con riguardo ad altre violazioni da parte dell’Amministrazione Finanziaria come non tutti gli obblighi posti a carico degli Uffici siano suscettibili, ove violati, di provocare in via automatica la illegittimità degli avvisi di accertamento nei quali vengono a sfociare gli esiti dell’attività di controllo;
-tra questi possono ricordarsi le pronunce resa da questa Corte in ordine alle modalità di conduzione dell’attività di ispezione, accesso e verifica, secondo le quali (tra molte, Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 6779 del 01/03/2022) in tema di verifiche tributarie, la violazione del termine di permanenza degli operatori dell’Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente, previsto dall’art. 12, comma 5, della l. n. 212 del 2000, non determina la sopravvenuta carenza del potere di accertamento ispettivo, né l’invalidità degli atti compiuti o l’inutilizzabilità delle prove raccolte, atteso che nessuna di tali sanzioni è stata prevista dal legislatore, la cui scelta risulta razionalmente giustificata dal mancato coinvolgimento di diritti del contribuente costituzionalmente tutelati;
-e per vero, il principio di illegittimità derivata non è ignorato nel sistema processuale civile, che dedica ad esso una norma ad hoc : l’art. 159 c.p.c. in effetti, nel suo primo comma statuendo che ‘la nullità di un atto non importa quella degli atti precedenti, né di quelli successivi che ne sono indipendenti’, prevede la nullità di un atto finale qualora sia nullo un atto precedente allo stesso, con il quale sia legato, però, da un rapporto di dipendenza;
-nel presente caso, sul punto, non si evince né dalla sentenza impugnata, né dal ricorso per cassazione, che dal trattenimento oltre al termine dei 60 giorni gli operanti prima o l’Ufficio poi abbiano tratto elementi di prova sui quali fondare la pretesa per
maggiori tributi azionata con l’avviso di accertamento impugnato; tale considerazione tronca quindi logicamente e giuridicamente ogni possibile relazione di dipendenza tra l’atto illegittimo (il trattenimento oltre termine) e l’atto successivo (l’avviso di accertamento);
-risulta qui difettoso, allora, non solo il concreto pregiudizio al diritto alla difesa (non risultando ex actis che sia stata impedita o resa più ardua la difesa in giudizio del contribuente in forza di tale illegittimo spossessamento) ma del tutto assente anche l’antecedente di fatto e il conseguente nesso di dipendenza tra l’atto illegittimo e l’avere l’Ufficio utilizzato nei propri atti elementi di prova ottenuti in violazione della disposizione di legge invocata;
-deve poi escludersi che nel caso di specie venga in evidenza, secondo il percorso argomentativo che si propone in ricorso, il principio di inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite;
-nei fatti, si tratta di fattispecie del tutto differente da quella alla quale riferisce le proprie considerazioni la parte ricorrente: non ci si trova di fronte a una acquisizione da parte dell’Ufficio in violazione di legge -di elementi idonei a provare la pretesa per maggiori tributi, poiché (come già anticipato) da nessun elemento in atti, e neppure in ricorso per cassazione, si deduce che a fronte al ‘trattenimento’ sia pur contra legem della documentazione sia stato acquisito, durante e in forza di tale illegittimo spossessamento del contribuente della propria contabilità, alcun elemento posto a base dell’accertamento;
-in altre parole, non si è verificato, ad esempio, il rinvenimento di documenti, appunti, agende, o quant’altro, ritenuti elementi indiziari e posti dall’Ufficio alla base dell’atto impugnato: anzi, dalla lettura della sentenza gravata si evince come la prova della pretesa sia stata acquisita essenzialmente grazie alle risultanze delle indagini finanziarie, non sfiorate dal trattenimento della
contabilità che è profilo fattuale e giuridico autonomo rispetto ad esse, sia pur collocato nel contesto dell’attività di accertamento;
-giova osservare al riguardo che questa Corte già da tempo (v. Cass. n. 27149 del 2011, seguita, fra varie, da Cass, n. 5105 del 2020) ha stabilito che «in materia tributaria, non qualsiasi irritualità nell’acquisizione di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento comporta, di per sé, l’inutilizzabilità degli stessi, in mancanza di una specifica previsione in tal senso, esclusi i casi in cui viene in discussione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale, come l’inviolabilità della libertà personale o del domicilio» (sul punto, vedi Cass., Sez. Un., n. 3182 del 2022); principi, questi sopra enunciati, ribaditi in successive pronunce (tra cui Cass. n. 4066 del 2015; n. 13353 del 2018; n. 29132 del 2018; n. 15994 del 2019; n. 22754 del 2020);
-in ultimo, va osservato che è inapplicabile, in quanto sopravvenuta e non retroattiva, la nuova disposizione introdotta dal d. lgs. 219 del 2023 (art. 7-quinquies l. n. 212 del 2000) secondo la quale ‘non sono utilizzabili ai fini dell’accertamento amministrativo o giudiziale del tributo gli elementi di prova acquisiti oltre i termini di cui all’articolo 12, comma 5, o in violazione di legge ‘ ;
-d’altronde, consolidato è il principio che nel processo civile le prove atipiche sono sempre ammissibili, ancorché assunte in un diverso processo in violazione delle regole a quello esclusivamente applicabili, poiché il contraddittorio è assicurato dalle modalità tipizzate di introduzione della prova nel giudizio (Cass., Sez. III, 5 maggio 2020, n. 8459 e Cass. ordinanza n. 18901 del 2021);
-il terzo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per avere la sentenza di merito ritenuto che la natura di presunzione legale relativa prevista dalla disposizione in oggetto preferita la disponibilità di maggior reddito desumibile dalle risultanze dei conti bancari si estenda al contribuente che opera in
regime di contabilità semplificata in assenza di una norma che imponga la riconciliazione analitica di tutti i versamenti; ad avviso della ricorrente è erronea la statuizione contenuta nella sentenza impugnata in base alla quale ‘ Con riferimento, invece, ai versamenti effettuati dai predetti soggetti (lavoratori autonomi) sui propri conti correnti resta invariata la presunzione legale posta dalla predetta disposizione a favore dell’Erario, che data la fonte legale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c., per le presunzioni semplici, superabile da prova contraria fornita dal contribuente ‘;
-il motivo è infondato;
-ritiene il Collegio debba sul punto darsi continuità all’orientamento già espresso da questa Corte secondo il quale (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 40221 del 15/12/2021) in tema di accertamento delle imposte sui redditi, il dato normativo non opera distinzione alcuna tra contribuenti in regime di contabilità ordinaria e contribuenti in regime di contabilità semplificata;
-d’altronde, anche con la sentenza n. 228 del 2014 la Corte costituzionale ha valorizzato il sistema di contabilità semplificata di cui generalmente e legittimamente si avvale la categoria dei lavoratori autonomi, da cui deriva la fisiologica promiscuità delle entrate e delle spese professionali e personali, con riguardo alla sola presunzione in base alla quale il prelevamento dal conto bancario corrisponderebbe ad un costo a sua volta produttivo di un ricavo;
-sul punto, si è da tempo chiarito che, in tema d’imposte sui redditi, all’esito della sentenza della Corte cost. n. 228 del 2014, le operazioni bancarie di prelevamento hanno valore presuntivo nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa, mentre quelle di versamento nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono contrastarne l’efficacia dimostrando che le stesse sono già incluse
nel reddito soggetto ad imposta o sono irrilevanti (tra le più recenti, Cass. n. 9403 dell’8/3/2024);
-anche da ultimo, la Corte costituzionale ha escluso la rilevanza dirimente del regime di contabilità semplificata: v. Corte cost. n. 10/23 secondo la quale ‘non è possibile, in ragione del solo regime di contabilità in concreto adottato dal contribuente, assumere un’equiparazione tra la situazione dei lavoratori autonomi e professionisti e quello degli imprenditori commerciali’;
-conclusivamente, il ricorso è rigettato;
-nulla per le spese, in mancanza di attività difensiva;
p.q.m.
rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, in data 11 aprile 2025.