Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6586 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 6586 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16780/2020 R.G. proposto da:
COGNOME , domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende; -controricorrente- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. ROMA n. 7040/2019 depositata il 18/12/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
NOME COGNOME impugnava l’intimazione di pagamento n. NUMERO_CARTA notificata da Equitalia Sud spa il 25.5.2016,
relativa anche ad una cartella di pagamento asseritamente notificata il 15.1.2005, in relazione alla quale eccepiva l’omessa notifica e la prescrizione del credito relativo all’anno di imposta 1995.
La Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Roma accoglieva il ricorso, ritenendo il credito prescritto, e condannava l’Ente al pagamento delle spese di giudizio.
Il Casu impugnava la sentenza, perché le spese erano state liquidate in misura inferiore ai minimi tariffari, mentre l’Agenzia delle entrate Riscossione, subentrata ad Equitalia, proponeva appello incidentale.
La Commissione Tributaria Regionale (CTR) del Lazio, con la sentenza in epigrafe, accoglieva l’appello incidentale ritenendo assorbito quello principale. Premessa la ritualità della costituzione dell’Agenzia mediante avvocato del libero foro, i Giudici d’appello osservavano che la sentenza di primo grado aveva ritenuto provata l’avvenuta notifica della cartella e il contribuente non aveva impugnato sul punto, cosicché la circostanza era « divenuta definitiva e non soggetta ad ulteriore sindacato giurisdizionale »; inoltre, aggiungevano che l’Ufficio aveva dimostrato gli atti interruttivi della prescrizione attraverso i documenti prodotti in sede di gravame e comprovanti la notifica di atto di intimazione in data 10 dicembre 2009 e 7 maggio 2010.
Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione il contribuente che si è affidato a tre motivi.
Ha resistito con controricorso l’Agenzia delle entrate Riscossione.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 77-83-182 c.p.c. con riferimento alla procura alle liti rilasciata in secondo grado all’avv. NOME COGNOME dal legale
rappresentante dell’Agenzia, ma da soggetto qualificatosi procuratore speciale (dott. NOME COGNOME che non aveva dimostrato il suo potere rappresentativo, asseritamente fondato, secondo l’atto di costituzione in appello, su « procura speciale, autenticata per atto Notaio COGNOME -Roma repertorio n. 42910 raccolta n. 244408 del 5.7.2017 rilasciata dall’Agenzia delle entrate ». Tale procura non era stata depositata ma la CTR non aveva esaminato la censura del ricorrente sul punto, trattando erroneamente la diversa questione della possibilità per l’Agenzia delle entrate Riscossione di avvalersi di avvocati del libero foro. In ogni caso, la nullità della procura alle liti conferita all’avv. COGNOME per il mancato deposito della procura speciale conferita al dott. COGNOME era rilevabile d’ufficio.
1.1. Il motivo è inammissibile in quanto propone una questione nuova, mancando la prova che nel giudizio d’appello era stata sollevata l’eccezione relativa alla mancanza di poteri rappresentativi in capo al procuratore dell’Ente. Secondo quanto riportato in ricorso per autosufficienza (v., in particolare, pag. 8), il Casu aveva contestato la « carenza dello ius postulandi » e la « nullità della procura rilasciata dal Concessionario al procuratore del libero foro » e nel contempo aveva affermato la violazione dell’art. 11 del d.lgs. n. 546/1992, relativo alla capacità di stare in giudizio anche mediante procuratore generale o speciale, atteso che « il procuratore nominato dall’Agente riscossione» si era « costituito in data successiva all’intervenuta estinzione ope legis del Gruppo Equitalia » e, conseguentemente, non aveva « legittimazione a costituirsi nel presente giudizio ». Tali doglianze appaiono del tutto estranee al motivo in esame, non facendosi questione della procura speciale conferita dall’Agenzia al dott. COGNOME del resto, il rilievo della c ostituzione dopo l’estinzione di Equitalia era del tutto inconferente perché il procuratore si era costituito per l’Agenzia delle entrate Riscossione sulla base di
procura speciale rilasciata in data successiva all’estinzione d i Equitalia (che risale al 1.7.2017).
1.2. La questione è pure infondata alla luce del principio della Suprema Corte, secondo cui « in tema di rappresentanza processuale delle persone giuridiche, la persona fisica che ha conferito il mandato al difensore non ha l’onere di dimostrare tale sua qualità, neppure nel caso in cui l’ente si sia costituito in giudizio per mezzo di persona diversa dal legale rappresentante e l’organo che ha conferito il potere di rappresentanza processuale derivi tale potestà dall’atto costitutivo o dallo statuto, poiché i terzi hanno la possibilità di verificare il potere rappresentativo consultando gli atti soggetti a pubblicità legale e, quindi, spetta a loro fornire la prova negativa. Solo nel caso in cui il potere rappresentativo abbia origine da un atto della persona giuridica non soggetto a pubblicità legale, incombe a chi agisce l’onere di riscontrare l’esistenza di tale potere a condizione, però, che la contestazione della relativa qualità ad opera della controparte sia tempestiva, non essendo il giudice tenuto a svolgere di sua iniziativa accertamenti in ordine all’effettiva esistenza della qualità spesa dal rappresentante, dovendo egli solo verificare se il soggetto che ha dichiarato di agire in nome e per conto della persona giuridica abbia anche asserito di farlo in una veste astrattamente idonea ad abilitarlo alla rappresentanza processuale della persona giuridica stessa» (Cass. sez. un. n. 20596 del 2007; Cass. n. 19824 de 2011). Detto altrimenti, « colui che conferisce la procura alle liti ha l’obbligo di indicare la fonte del proprio potere rappresentativo e, ove tale potere derivi da un atto soggetto a pubblicità legale, la controparte che lo contesti è tenuta a provare l’irregolarità dell’atto di conferimento, mentre, in caso contrario, spetta a chi ha rilasciato la procura dimostrare la validità e l’efficacia del proprio operato» (Cass. n. 20563 del 2014). In questo caso, come sopra osservato, non risulta che il ricorrente
avesse contestato la sussistenza dei poteri rappresentativi in capo al dott. COGNOME che aveva rilasciato la procura al difensore.
Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 26 del d.P.R. n. 602/1973, 2697 e 2700 c.c., perché l’Ufficio, producendo documentazione relativa alle notifiche che avevano interrotto la prescrizione non aveva prodotto l’atto di intimazione a cui queste notifiche si riferivano e il contribuente aveva contestato la riferibilità al credito oggetto di impugnazione.
2.1. Il motivo è inammissibile e comunque infondato.
2.2. Invero, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, « La violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. » (Cass., n. 17313 del 2020). In questo caso, si censura proprio la valutazione probatoria del giudice di merito, contestandosi che fosse stata data puntuale dimostrazione della riconducibilità dei documenti prodotti relativi alle notifiche effettuate ad atti concernenti il credito per cui è causa. Inoltre, secondo il principio di vicinanza della prova, era il destinatario della nella migliore condizione per dimostrare che quelle notifiche non si riferivano ad atti di intimazione relativi al credito per cui è causa, principio che ha condotto questa Corte a ritenere che « la prova dell’arrivo della raccomandata fa presumere, ex art. 1335 cod. civ., l’invio e la conoscenza dell’atto, spettando al destinatario l’onere eventuale di provare che il plico non conteneva l’avviso » (Cass. n. 20027 del 2011; Cass. n. 30787 del 2019). Ancora, si ritiene che la
prova del perfezionamento del procedimento della notificazione a mezzo posta è assolta dal notificante mediante la produzione dell’avviso di ricevimento, poiché, una volta pervenuta all’indirizzo del destinatario, l’atto deve ritenersi a lui ritualmente consegnato, stante la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 cod. civ., fondata sulle univoche e concludenti circostanze (integranti i requisiti di cui all’art. 2729 cod. civ.) della spedizione e dell’ordinaria regolarità del servizio postale e superabile solo ove il destinatario medesimo dimostri di essersi trovato, senza colpa, nell’impossibilità di prenderne cognizione, come nel caso in cui sia fornita la prova che il plico in realtà non conteneva alcun atto al suo interno (ovvero conteneva un atto diverso da quello che si assume spedito) (Cass. n. 34765 del 2023; cfr. anche Cass. n.16528/2018, in tema di notifica a mezzo posta della cartella esattoriale). Quindi, il destinatario non può ritenersi liberato solo perché la notifica si era perfezionata per ‘compiuta giacenza’ e il ricorrente non era entrato nel possesso materiale del plico raccomandato, trattandosi, evidentemente, di fatto dipendente dallo stesso destinatario che non ha curato il ritiro.
Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 8 comma 4 e dell’art. 14 della l. n. 890/1982, dell’art. 49 del decreto del Ministro delle Telecomunicazioni del 9.4.2001 e dell’art. 2700 c.c. sotto due profili: a) la notifica, eseguita mediante servizio postale ordinario per ‘compiuta giacenza’, era viziata perché non era stata data notizia al destinatario del compimento delle relative formalità e del deposito del piego mediante raccomandata con avviso di ricevimento (c.d. CAD); b) anche a voler ammettere che in caso di notifica a mezzo servizio postale ordinario, ai sensi dell’art. 14 l. n. 890/1982, in assenza del destinatario o di persone abilitate alla ricezione, non si debba dare notizia al destinatario delle compiute operazioni mediante raccomandata con avviso di
ricevimento, in questo caso la documentazione prodotta non assevera l’osservanza delle formalità dell’accertamento dell’assenza temporanea del destinatario e del consequenziale rilascio dell’avviso di mancata consegna al destinatario, non essendo stato compilato né sottoscritto lo spazio destinato alla descrizione dell’attività di recapito del plico raccomandato.
3.1. Il motivo è inammissibile perché le questioni appaiono nuove, non emergendo inequivocabilmente dal ricorso che il ricorrente, di fronte alla produzione in appello della documentazione comprovante la notifica di atti interruttivi, avesse contestato non solo la riferibilità di quelle notifiche all’intimazione di pagamento relativa al credito per cui è causa (v. il motivo precedente) ma anche i superiori rilievi.
3.2. In ogni caso le doglianze sono infondate.
3.2.1. Quanto alla questione sub a), costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello secondo cui, nell’ipotesi in cui l’ufficio finanziario proceda alla notificazione diretta a mezzo posta dell’atto impositivo – come consentito a decorrere dal 15 maggio 1998, data di entrata in vigore della L. n. 146 del 1998 che ha modificato l’art. 14 cit. prevedendo la facoltà degli uffici finanziari di provvedere « direttamente » alla notifica degli atti al contribuente mediante spedizione a mezzo del servizio postale -, trovano applicazione le norme concernenti il servizio postale ordinario e non quelle previste dalla l. n. 890 del 1982 ( ex plurimis , Cass. n. 2339 del 2021; Cass. n. 29642 del 2019; Cass. n. 8293 del 2018; Cass. n. 12083 del 2016; Cass. n. 17598 del 2010). In particolare, questa Corte ha ribadito che « In tema di notifica diretta degli atti impositivi, eseguita a mezzo posta dall’Amministrazione senza l’intermediazione dell’ufficiale giudiziario, in caso di mancato recapito per temporanea assenza del destinatario, la notificazione si intende eseguita decorsi dieci giorni dalla data del rilascio dell’avviso di giacenza e di deposito
presso l’Ufficio Postale (o dalla data di spedizione dell’avviso di giacenza, nel caso in cui l’agente postale, sebbene non tenuto, vi abbia provveduto), trovando applicazione in detto procedimento semplificato, posto a tutela delle preminenti ragioni del fisco, il regolamento sul servizio postale ordinario che non prevede la comunicazione di avvenuta notifica, avendo peraltro Corte Cost. n. 175 del 2018 ritenuto legittimo l’art. 26, comma 1, d.P.R. 602 del 1973 (nel rilievo che il ragionevole bilanciamento degli interessi pubblici e privati è comunque assicurato dalla facoltà per il contribuente di richiedere la rimessione in termini, ex art. 153 c.p.c., ove dimostri, anche sulla base di idonei elementi presuntivi, di non aver avuto conoscenza effettiva dell’atto per causa a lui non imputabile) » (Cass. n. 10131 del 2020). Né questo orientamento può ritenersi superato dalle Sezioni unite di questa Corte secondo cui « In tema di notifica di un atto impositivo ovvero processuale tramite servizio postale, qualora l’atto notificando non venga consegnato al destinatario per rifiuto a riceverlo ovvero per sua temporanea assenza ovvero per assenza o inidoneità di altre persone a riceverlo, la prova del perfezionamento del procedimento notificatorio può essere data dal notificante -in base ad un’interpretazione costituzionalmente orientata (artt. 24 e 111, comma 2, Cost.) dell’art. 8 della l. n. 890 del 1982 -esclusivamente attraverso la produzione in giudizio dell’avviso di ricevimento della raccomandata contenente la comunicazione di avvenuto deposito (cd. C.A.D.), non essendo a tal fine sufficiente la prova dell’avvenuta spedizione della suddetta raccomandata informativa» (Cass. sez. un. n. 10012 del 2021); questo principio riguarda la notifica a mezzo posta, « quella codicistica attuata dall’ufficiale giudiziario con il concorso dell’agente postale, quella postale attuata esclusivamente da quest’ultimo » secondo la legge n. 890 del 1982 (nel caso all’esame delle Sezioni Unite , infatti, la notifica era « avvenuta a mezzo del servizio postale ai sensi della l.
20 novembre 1982, n. 890 », v. l’ordinanza di rimessione Cass. n. 21714 del 2020), e non la notifica secondo regime postale ordinario.
3.3. Infondata è anche la questione sub b): dalle fotocopie delle raccomandate riportate negli atti di parte risulta che, sebbene non sia stato compilato il riquadro prestampato relativo al ‘mancato recapito’, erano stati svolti gli adempimenti essenziali. Risultano il timbro postale e l’annotazione ‘L.A.’, che non può che significare ‘lasciato avviso’, accompagnata dalla data , e non rileva la mancanza di sottoscrizione, in applicazione del principio secondo il quale l’atto amministrativo non è invalido solo perché privo di sottoscrizione, in quanto la riferibilità dell’atto all’organo amministrativo titolare del potere nel cui esercizio esso è adottato può essere desunta anche dal contesto dell’atto stesso (Cass. 11458/2012); invero, la mancanza della sottoscrizione dell’addetto postale non assume rilevanza ai fini della validità della notifica, in presenza del timbro postale idoneo a garantire la sicura riferibilità dell’attività di spedizione della raccomandata informativa alle poste (Cass. n. 21483 del 2022; Cass. n. 123 del 2018).
Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato e le spese, liquidate come in dispositivo, vanno regolate secondo soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.400,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito; a i sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 04/12/2024.