Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19764 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 19764 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 25091/2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avv. A NOME COGNOME (PEC. EMAIL), come da procura speciale in atti.
– ricorrente-
contro
Agenzia delle Entrate-Riscossione, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO (PEC: EMAIL.
– controricorrente-
avverso la sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado del LAZIO, n. 3824/2023, pubblicata in data 28 giugno 2023, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28 maggio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
Con sentenza n. 6729/39/2019, pubblicata il 14 maggio 2019, la CTP di Roma aveva accolto il ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE avverso l’intimazione di pagamento n. NUMERO_CARTA per complessivi euro 2.120.815,63, relativa a 32 cartella esattoriali, ritendendo non provata la notifica delle cartelle di pagamento sottostanti l’intimazione di pagamento impugnata.
La Corte di Giustizia tributaria di secondo grado, con la sentenza impugnata in questa sede, ha accolto l’appello principale dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione nei limiti di cui in motivazione e ha rigettato l’appello incidentale della società contribuente.
I giudici di secondo grado, dopo avere rigettato le eccezioni preliminari di inammissibilità dell’appello perché proposto tramite avvocato del libero foro e per la carenza di valida procura alle liti, ha dichiarato la cessazione della materia del contendere con riferimento a n. 9 cartelle con riferimento alle quali era intervenuto annullamento ex lege ai sensi dell’art. 4 del decreto legge n. 119 del 2018 e ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice tributario con riferimento a due cartelle riferite a spese di giustizia.
La Corte di Giustizia tributaria di secondo grado, nel merito dell’appello principale , ha affermato che: era legittima la produzione di documenti nuovi ex art. 58 del d.lgs. n. 546 del 1992; l’intimazione di pagamento impugnata era stata correttamente notificata a mezzo PEC ai sensi dell’art. 26, comma 1, del d.P.R. n. 602 de 1973, ed era m unita di firma digitale apposta dal responsabile del procedimento dott. NOME
COGNOME come risultava documentalmente dalla verifica della firma digitale apposta all’atto di riscossione notificato ed allegato alla ricevuta di consegna della comunicazione PEC; il contenuto della firma era pure valido, essendo ammesse ed equivalenti sia le firme digitali di tipo CADES, che le firme digitali di tipo PADES, sia pure con differenti estensioni «.p7m» e «.pdf»; le notifiche delle cartelle sottostanti erano regolari e le contestazioni sulle medesime (sulla difformità delle copie prodotte rispetto all’originale e sulla non corrispondenza del contenuto delle spedizioni postali documentate con gli atti notificati) generiche; era legittimo l’utilizzo di operatori postali privati perché in possesso dello specifico titolo abilitativo nel periodo intercorrente tra la parziale liberalizzazione attuata con il d.lgs. n. 58 del 2011 e quelle portata a compimento dalla legge n. 124 del 2017.
5. I giudici di secondo grado hanno, poi, ritenuto infondato l’appello incidentale proposto dalla società contribuente sulla base delle seguenti considerazioni: l’appello presentato tramite avvocato del libero foro era ammissibile, in quanto l’Agenzia poteva avvalersi di avvocati del libero foro senza alcuna formalità nei casi non riservati all’Avvocatura dello Stato, nelle ipotesi riguardanti questioni di massima o aventi notevoli riflessi economici e quando l’Avvocatura erariale non era disponibile ad assumere il patrocinio; era valida la procura alle liti rilasciata in forza dell’art. 1, comma 8, del decreto legge n. 193 del 2016, convertito con modificazioni dalle legge n. 225 del 2016, della deliberazione adottata dal Comitato di Gestione dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione del 17 dicembre 2018 e del Protocollo di intesa del 22 giugno 2017 tra l’Avvocatura dello Stato e il Commissario Straordinario per l’istituzione dell’Agenzia delle Entrate -Riscossione; l’atto impugnat o in primo grado conteneva tutti gli elementi di cui era lamentata l’omissione e , in ogni caso, l’art. 7 della legge n. 212 del 2000 era norma priva di sanzione e trovava applicazione l’art. 21 octies della legge n. 241 del 1990, che prevedeva la non annullabilità del
provvedimento adottato in violazione delle norme sul procedimento o sulla forma degli atti, per la natura vincolata del provvedimento, come nel caso di cartella esattoriale, il cui contenuto dispositivo non poteva essere diverso da quello in concreto adottato; la mancata allegazione dell’atto prodromico era irrilevante in quanto il destinatario dell’atto era a conoscenza degli atti cui l’ingiunzione si riferiva, essendo, quindi, sufficiente l’indicazione dei medesimi; l’avviso di pagamento era motivato e soddisfaceva le esigenze di fare conoscere i motivi della pretesa con l’indicazione degli atti sottostant i; il motivo sul difetto di formazione dei ruoli era assorbito o irrilevante nel caso in esame che trattava la legittimità dell’intimazione di pagamento riferita a cartelle esattoriali presupposte; il settimo motivo sulle spese processuali era superato dalla pronuncia di secondo grado di riforma della sentenza di primo grado.
La società RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a otto motivi e successiva memoria, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate -Riscossione.
CONSIDERATO CHE
Il primo motivo deduce, rispetto al giudizio di secondo grado, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., in subordine ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la nullità della sentenza impugnata poiché corredata da motivazione apparente, peraltro in violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e degli artt. 112, 115 e 116, secondo comma, c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., nonché dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e dell’art. 118, primo e secondo comma, disp. att. c.p.c. , oltre che dell’art. 1, ottavo comma, del decreto legge n. 193 del 2016 e ss., nonché dell’art. 43, quarto comma, R.D. n. 1611 del 1933 e dell’art. 11, secondo comma ed art. 36, secondo comma, n. 4, del d.lgs. n. 546 del 1992, poiché attraverso un
generico richiamo all’art. 1, comma 8, del decreto legge n. 193 del 2016 ed alla Deliberazione datata 17 dicembre 2018 ed al Protocollo d’Intesa del 22 giugno 2017, aveva ritenuto ammissibile l’appello dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione mediante avvocato del libero foro, omettendo l’esame e la pronuncia sulle reiterate e tempestive contestazioni svolte dalla ricorrente sull’esistenza dei sottostanti presupposti di fatto e delle condizioni di legge. Nella fattispecie, nonostante anche il comprovato ed elevato valore economico degli asseriti crediti controversi oggetto dell’opposta intimazione di pagamento l’ ADER, nel precedente grado di giudizio n. 6854/2019 RG, davanti alla CGT di secondo grado del Lazio, a fronte delle tempestive contestazioni sollevate dalla società contribuente nelle rispettive controdeduzioni, non aveva mai dedotto e provato sia l’impossibilità oggettiva di utilizzare i rispettivi dipendenti interni, sia l’asserita necessità, supportata da idonea motivazione, di acquisire prestazioni esterne per effetto dell’asserita indisponibilità della preposta Avvocatura dello Stato. La sentenza impugnata, in violazione dell’onere probatorio e omettendo qualunque doverosa disamina e pronuncia sulla comprovata rilevanza probatoria delle circostanze esposte, aveva apoditticamente ed erroneamente considerato ammissibile l’av venuta costituzione, nel precedente grado di giudizio di secondo grado davanti alla Corte di Giustizia tributaria del Lazio, dell’ADER mediante avvocato del libero foro esclusivamente ed incomprensibilmente limitandosi a richiamare apoditticamente taluni precedenti giurisprudenziali, peraltro senza fornirne gli estremi e riportare il contenuto, così omettendo qualunque doverosa e concreta indicazione ed esposizione delle ragioni di fatto e di diritto poste a base del rispettivo convincimento; il tutto traducendosi, in pregiudizio anche del diritto di difesa della società contribuente ex art. 27, Cost., nell’impossibilità oggettiva di individuare l’effettiva ratio decidendi. Nell’intercorsa fase processuale, peraltro, anche ai sensi degli artt. 115 e 116, secondo comma, c.p.c., a
conferma ulteriore della fondatezza delle richiamate eccezioni ed argomentazioni, era stata valorizzata la condotta processuale della stessa controparte, la quale, oltre a non aver mai svolto alcuna contestazione sul punto, mai aveva assolto alcun contrapposto onere allegatorio e probatorio. La Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in spregio anche dei fondamentali criteri di ripartizione dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c. e del principio di disponibilità e di valutazione delle prove ex artt. 115 e 116 c.p.c., aveva apoditticamente ritenuto la validità della procura alle liti conferita dall’ADER all’avvocato del libero foro sul presupposto, peraltro mai dedotto e provato dalla stessa controparte, della fantomatica possibilità per le parti pubbliche di farsi assistere in giudizio da un difensore abilitato.
2. Il secondo motivo deduce, rispetto al giudizio di primo grado, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e degli artt. 112, 115 e 116, secondo comma, c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., nonché dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e dell’art. 118, primo e secondo comma, disp. att. c.p.c. , oltre che dell’art. 1, ottavo comma, del decreto legge n. 193 del 2016 e ss., nonché dell’art.43, quarto comma, R.D. n. 1611 del 1933 e dell’art. 11, secondo comma, ed art. 36, secondo comma, n. 4, del d.lgs. n. 546 del 1992 , stante l’omesso esame e l’omessa pronuncia sull ‘ eccepita inammissibilità, in via pregiudiziale, della costituzione in giudizio dell’Agenzia delle Entrate -Riscossione mediante avvocato del libero foro . L’ impugnata sentenza della Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del Lazio aveva altrettanto omesso qualunque doverosa disamina e pronuncia, così come dedotto con il primo motivo, sulla comprovata impossibilità per l’ADER di avvalersi di avvocati del libero foro nei precedenti grad i di giudizio.
2.1 Il primo e il secondo motivo, che devono essere trattati unitariamente perché riguardanti la medesima questione (costituzione dell’Agenzia delle Entrate -Riscossione mediante avvocato del libero foro nel giudizio di primo e di secondo grado), sono infondati.
2.2 Va disattesa, in via preliminare, l’eccezione di inammissibilità del controricorso per la violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., in quanto le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che l’adempimento dell’onere imposto dalla predetta disposizione non dev’essere valutato in relazione al contenuto complessivo del ricorso, ma a quello dei singoli motivi d’impugnazione, verificando se l’esame dell’atto o del documento non indicato specificamente risulti indispensabile ai fini della comprensione delle doglianze proposte dal ricorrente e dei relativi presupposti fattuali (cfr. Cass., Sez. U., 5 luglio 2013, n. 16887) e, al riguardo, va ribadito l’orientamento consolidato di questa Corte secondo cui il vizio che determina la nullità della procura, ai sensi dell’art. 182, comma 2, c.p.c., nella formulazione introdotta dall’art. 46, comma 2, della legge n. 69 del 2009, a differenza delle ipotesi di inesistenza della procura, è sempre sanabile in ogni stato e grado del giudizio (Cass., Sez. U., 21 dicembre 2022, n. 37434; Cass., 9 ottobre 2023, n. 28251). Mette conto, inoltre, rilevare, che non sussiste alcuna violazione del principio di autosufficienza di cui all’art. 366, comma primo, n. 6, c.p.c., in quanto l’Agenzia delle EntrateRiscossione ha trascritto il contenuto del Protocollo d’Intesa sottoscritto il 24 settembre 2020, che s i applica a decorrere dall’1 ottobre 2020, nelle parti di rilievo riportate nella nota n. 1, alla pagina 7 del controricorso.
2.3 Tanto premesso, soccorrono nel senso dell’infondatezza dei motivi le Sezioni Unite di questa Corte che hanno affermato che « Ai fini della rappresentanza e difesa in giudizio, l’Agenzia delle Entrate -Riscossione, impregiudicata la generale facoltà di avvalersi anche di propri dipendenti delegati davanti al tribunale ed al giudice di pace, si
avvale: a) dell’Avvocatura dello Stato nei casi previsti come riservati ad essa dalla Convenzione intervenuta (fatte salve le ipotesi di conflitto e, ai sensi dell’art. 43, comma 4, r.d. n. 1611 del 1933, di apposita motivata delibera da adottare in casi speciali e da sottoporre all’organo di vigilanza), oppure ove vengano in rilievo questioni di massima o aventi notevoli riflessi economici; b) di avvocati del libero foro, senza bisogno di formalità, né della delibera prevista dall’art. 43, comma 4, r.d. cit. – nel rispetto degli articoli 4 e 17 del d.lgs. n. 50 del 2016 e dei criteri di cui agli atti di carattere generale adottati ai sensi dell’art. 1, comma 5 del d.l. 193 del 2016, conv. in l. n. 225 del 2016 – in tutti gli altri casi ed in quelli in cui, pure riservati convenzionalmente all’Avvocatura erariale, questa non sia disponibile ad assumere il patrocinio. Quando la scelta tra il patrocinio dell’Avvocatura erariale e quello di un avvocato del libero foro discende dalla riconduzione della fattispecie alle ipotesi previste dalla Convenzione tra l’Agenzia e l’Avvocatura dello Stato o di indisponibilità di questa ad assumere il patrocinio, la costituzione dell’Agenzia a mezzo dell’una o dell’altro postula necessariamente ed implicitamente la sussistenza del relativo presupposto di legge, senza bisogno di allegazione e di prova al riguardo, nemmeno nel giudizio di legittimità » (Cass., Sez. U., 19 novembre 2019, n 30008 e, successivamente, Cass., 20 novembre 2020, n. 26531; Cass., 10 giugno 2021, n. 16314; Cass., 24 gennaio 2021, n. 36498).
2.4 Si è, infatti, osservato che, a termini della suddetta Convenzione (Protocollo di intesa, come trascritto nel controricorso), il par. 3.4.2 della stessa, prevede che l’Ente sta in giudizio avvalendosi anche di avvocati del libero foro nelle controversie relative a liti innanzi alle Commissioni Tributarie (Cass., 29 settembre 2020, n. 20646; Cass., 18 settembre 2020, n. 19448).
2.5 Il che, del resto, è conforme al fatto che l’art. 11, comma 2, del d. lgs. n. 546 del 1992 riguarda la rappresentanza processuale
dell’Agente della riscossione, ossia la capacità e alla legittimazione a stare in giudizio dell’organo che rappresenta l’ente, laddove la difesa tecnica è disciplinata dal successivo art. 12 del d.lgs. n. 546 del 1992. Se, pertanto, la rappresentanza processuale può essere assunta da un delegato a sottoscrivere l’atto difensivo (Cass., 14 ottobre 2015, n. 20628), questa delega può essere conferita anche a un avvocato del libero foro, in considerazione del fatto che l’attribuzione all’agente della riscossione della capacità di stare in giudizio direttamente o mediante la struttura sovraordinata non esclude la possibilità di avvalersi della difesa tecnica, ai sensi dell’art. 12 del d.gs. n. 546 del 1992 (Cass., 15 ottobre 2018, n. 25625 e, più di recente, Cass., 15 febbraio 2021, n. 3864).
2.6 La sentenza impugnata, affermando che la costituzione dell’Agenzia delle Entrate -Riscossione a mezzo dell’avvocato del libero foro, doveva ritenersi valida e pienamente legittima, con conseguente ammissibilità della costituzione dell’Ente di riscossione, è conforme ai principi suesposti.
Il terzo motivo deduce , ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e degli artt. 112, 115 e 116, secondo comma, c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., nonché dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e dell’art. 118, primo e secondo comma, disp. att. c.p.c. , oltre che dell’art. 36, secondo comma, n. 4, del d.lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 22, secondo comma, del Codice dell’Amministrazione Digitale, stante l’omesso esame e l’omessa pronuncia sull’eccepita inammissibilità, in via pregiudiziale, dell’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate -Riscossione, per l’insanabile assenza, nella rispettiva procura alle liti depositata telematicamente, di alcuna asseverazione di conformità all’originale . Era stata eccepita l’inammissibilità della costituzione in giudizio dell’Agenzia delle Entrate Riscossione anche rispetto all’insanabile assenza, nella procura alle liti dimessa
telematicamente dall’Agente della Riscossione, di alcuna asseverazione di conformità all’originale mediante sottoscrizione del procuratore con firma digitale e l’impugnata sentenza aveva omesso qualunque esame e pronuncia sul punto.
3.1 Il motivo è infondato, avendo questa Corte affermato che « L’attestazione di conformità all’originale resa dal difensore ex art. 16decies del d.l. n. 179 del 2012, conv. con modific. dalla l. n. 221 del 2012, è richiesta per le sole copie informatiche, depositate con modalità telematiche, di atti processuali di parte o per i provvedimenti giudiziari formati su supporto analogico e detenuti in originale o in copia conforme, ma non per gli altri documenti, in particolare per le copie informatiche delle scritture analogiche prodotte telematicamente per provare o negare l’esistenza dei fatti storici posti a fondamento delle domande e delle eccezioni » (Cass., 7 ottobre 2024, n. 26200).
3.2 Nel caso in esame, come si rileva a pag. 9 del controricorso, la procura conferita è stata depositata, a corredo dell’atto d’appello, nel nativo formato digitale, non si tratta dunque di copia, e reca, in calce, la valida firma del delegante; si tratta, dunque, di documento avente natura non analogica, con conseguente irrilevanza de ll’eccepita carenza dell’asseverazione di conformità .
Il quarto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e degli artt. 112, 115 e 116, secondo comma, c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., nonché dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e dell’art. 118, primo e secondo comma, disp. att. c.p.c. , oltre che dell’art. 36, secondo comma, n. 4, del d.lgs. n. n. 546 del 1992, stante l’omesso esame e l’omessa pronuncia sull’eccepita inammissibilità, in via pregiudiziale, della costituzione, nei precedenti gradi di giudizio (primo e secondo grado), dell’Agenzia delle Entrate Riscossione per l’insanabile assenza, presso i l rispettivo procuratore speciale (dott. NOME COGNOME recte: COGNOME), di qualunque qualifica
e/o carica tale da legittimarne, per conto dell’ADER, il valido rilascio di procura alle liti ad avvocati del libero foro. Nella fattispecie era stata contestata sia l’esistenza della richiamata procura notarile datata 95(05).05.2017 (trattandosi di fantomatico atto mai depositato dall’ADER), sia l’inclusione della presente controversia nell’asserita fattispecie oggetto di tale fantomatico negozio di rappresentante e l’impugnata sentenza aveva omesso sia qualunque esame e pronuncia sul punto , sia qualunque motivazione, in punto di fatto e di diritto, posta a fondamento del rispettivo e differente convincimento verso quanto dedotto dalla società ricorrente. Le suesposte doglianze venivano svolte anche rispetto alle altrettanto censurate carenze motivazionali dell’impugnata sentenza , verso l’analogo omesso esame e disamina, anche rispetto al giudizio di primo grado.
4.1 Il quarto motivo è inammissibile, poiché il vizio di omessa pronuncia, che può determinare la nullità della sentenza, non è configurabile in ordine alle eccezioni pregiudiziali di rito, come è quella in esame, ma solo rispetto al mancato esame di questioni di merito (Cass., 6 ottobre 2020, n. 21376; Cass., 15 aprile 2019, n. 10422; Cass., 11 ottobre 2018, n. 25154).
4.2 Il motivo è pure infondato perché la Corte di Giustizia di secondo grado si è espressamente pronunciata (non vi è, dunque, alcuna omessa pronuncia) affermando che l’appello presentato tramite avvocato del libero foro era ammissibile, in quanto l’Agenzia poteva avvalersi di avvocati del libero foro senza alcuna formalità nei casi non riservati all’Avvocatura dello Stato, nelle ipotesi riguardanti questioni di massima o aventi notevoli riflessi economici e quando l’Avvocatura erariale non era disponibile ad assumere il patrocinio; era valida la procura alle liti rilasciata in forza dell’art. 1, comma 8, del decreto legge n. 193 del 2016, convertito con modificazioni dalle legge n. 225 del 2016, della deliberazione adottata dal Comitato di Gestione dell’Agenzia delle Entrate -Riscossione del 17 dicembre 2018 e del
Protocollo di intesa del 22 giugno 2017 tra l’Avvocatura dello Stato e il Commissario Straordinario per l’istituzione dell’Agenzia delle Entrate -Riscossione (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata).
4.3 Il motivo è, in ultimo, pure infondato, in quanto, come si rileva alle pagine 11 e 12 del controricorso, l’appellante ha tempestivamente prodotto in giudizio copia della procura speciale conferita al dott. NOME COGNOME dal cui contenuto, trascritto, in particolare, a pag. 12, emerge, l’attribuzione al medesimo del potere di « conferire e revocare mandati ad avvocati… attribuendo loro tutti i necessari poteri per l’espletamento delle singole azioni e procedure », a cui poi ha fatto seguito il conferimento all’Avv. NOME COGNOME della procura alle liti per la proposizione dell’appello principale.
5. Il quinto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 2712 e 2719 c.c., oltre che dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché degli artt. 214 e 215 c.p.c. e dell’art. 19, terzo comma, del d.lgs. n. 546 del 1992, per aver ritenuto processualmente accertata l’esistenza e la notificazione degli atti impositivi presupposti all’opposta intimazione di pagamento stante la genericità della disconosciuta conformità agli originali delle copie fotostatiche della documentazione prodotta dall’ADER e la comprovata notificazione degli atti prodromici nonché quella delle richiamate intimazioni di pagamento notificate a mezzo pec in data 10 marzo 2016 e 28 ottobre 2016. Era manifestamente infondata la richiamata parte motiva della sentenza sulla ritenuta genericità dell’eccepita difformità delle copie fotostatiche prodotte dall’ADER , avendo la ricorrente, nel precedente grado di giudizio, costantemente e tempestivamente contestato non solo la notificazione dei sottostanti atti impositivi, bensì la formazione e la rilevanza probatoria delle produzioni documentali dell’ADER (cfr. pag. 19 -33 del ricorso per cassazione). P oiché l’Agente della Riscossione, anche nel precedente grado di giudizio rispetto alle tempestive ed analitiche
eccezioni e contestazioni formulate, mai aveva assolto alcun contrapposto onere allegatorio e probatorio sulla fantomatica notificazione, alla RAGIONE_SOCIALE, dei sottostanti atti impositivi ivi indicati, le contrapposte statuizioni contenute nella sentenza impugnata si rivelavano totalmente infondate.
6. Il sesto motivo deduce , ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e degli artt. 112, 115 e 116, secondo comma, c.p.c. e dell’art. 2967 c.c., nonché dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e dell’art. 118, primo e secondo comma, disp. att. c.p.c., oltre che degli artt. 2712 e 2719 c.c. e degli artt. 214 e 215 c.p.c. , per l’omesso esame e pronuncia sulla contestata conformità agli originali, oltre che sulla rispettiva formazione e provenienza, dell’ulteriore documentazione depositata dall’ADER in data 25 febbraio 2020 e 28 febbraio 202(0). La società ricorrente aveva tempestivamente e specificamente eccepito la totale illeggibilità/inutilizzabilità, trattandosi, peraltro, di documentazione dimessa in un formato qualificato «F2» ovvero non conforme rispetto a quelli usualmente richiesti. Conseguentemente era stata contestata integralmente l’autenticità e riferibilità alla stessa delle fantomatiche scritture e delle sottoscrizioni eventualmente ivi apposte, nonché l’esistenza, oltre che la spedizione e notificazione, dei relativi atti esattoriali. In via ulteriormente gradata, era stata contestata la circostanza che ciascun referto di notifica contenesse le cartelle di pagamento in questione. La sentenza impugnata aveva omesso qualunque doveroso esame e pronuncia sul punto.
6.1 I motivi, che devono essere trattati unitariamente perché connessi, sono inammissibili per difetto di autosufficienza perché, in mancanza di trascrizione delle impugnate cartelle e degli atti interruttivi nel corpo del ricorso, non è concessa a questa Corte la possibilità di verificare la corrispondenza del contenuto degli atti rispetto a quanto asserito dalla
contribuente; ciò che comporta il radicale impedimento di ogni attività nomofilattica, la quale presuppone appunto la certa conoscenza del tenore degli atti di cui si discute (Cass., 29 luglio 2015, n. 16010).
6.2 Questo principio, al quale si intende dare continuità, è stato ribadito più di recente da questa Corte, che ha affermato che ≪ In tema di processo tributario, ove si censuri la sentenza della Commissione tributaria sotto il profilo del giudizio espresso in ordine alla motivazione di una cartella di pagamento – la quale è atto amministrativo e non processuale – il ricorrente, a pena di inammissibilità, deve trascrivere testualmente il contenuto dell’atto impugnato che assume erroneamente interpretato o pretermesso dal giudice di merito al fine di consentire alla Corte di cassazione la verifica della doglianza esclusivamente mediante l’esame del ricorso ≫ (Cass., 6 novembre 2019, n. 28570; Cass., 19 dicembre 2022, n. 37170, in motivazione).
6.3 Rilevano, inoltre, due ulteriori profili di inammissibilità del motivo, sia perché censura un accertamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità, sia perché non si confronta con il contenuto del provvedimento impugnato, avendo i giudici di secondo grado affermato che l’intimazione di pagamento impugnata era stata correttamente notificata a mezzo PEC ai sensi dell’art. 26, comma 1, del d.P.R. n. 602 de 1973, ed era munita di firma digitale apposta dal responsabile del procedimento dott. NOME COGNOME come risultava documentalmente dalla verifica della firma digitale apposta all’atto di riscossione notificato allegato alla ricevuta di consegna della comunicazione PEC; che il contenuto della firma era pure valido, essendo ammesse ed equivalenti sia le firme digitali di tipo CADES, che le firme digitali di tipo PADES, sia pure con differenti estensioni «.p7m» e «.pdf»; che la notifica delle cartelle sottostanti era regolare e le contestazioni sulle medesime (sulla difformità delle copie prodotte rispetto all’originale e sulla non corrispondenza del contenuto delle spedizioni postali
documentate con gli atti notificati) generiche (cfr. pag. 6 e 7 della sentenza impugnata).
6.4 Ciò, peraltro, conformemente alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui, « ai sensi dell’art. 2718 cod. civ., le copi e parziali o le riproduzioni per estratto, rilasciate nella forma prescritta da pubblici ufficiali che ne sono depositari e sono debitamente autorizzati, fanno piena prova solo per quella parte dell’originale che riproducono letteralmente », con la conseguenza che « gli atti depositati in corso di causa da parte dell’Ufficio non possono essere considerati come semplici scritture, bensì copie conformi all’originale sia dell’avviso di ricevimento della cartella di pagamento che dell’estratto di ruolo » (Cass., 5 novembre 2024, n. 28373). È stato pure precisato che il disconoscimento deve essere circostanziato e non generico e indicare i documenti specifici che si contestano e gli aspetti che a parere del ricorrente sono difformi dall’originale, allegando idonea prova (Cass. 2 settembre 2016, n. 17526; Cass. 13 maggio 2021, n. 12794). Inoltre, il disconoscimento della conformità all’originale della copia disciplinato dall’art. 2719 cod. civ. richiede che tale disconoscimento sia effettuato, a pena di inefficacia, mediante dichiarazione che evidenzia in modo chiaro e univoco il documento che si intende contestare e gli aspetti differenziali rispetto all’originale, essendo poi rimesso al giudice l’accertamento di detta conformità attraverso le prove offerte in giudizio, comprese le presunzioni, a differenza di quanto si verifica per il disconoscimento della scrittura privata ex art. 215, comma 1, n. 2), c.p.c., che, in mancanza di verificazione, ne impedisce l’utilizzabilità (Cass., 18 marzo 2025, n. 7167; Cass., 7 ottobre 2024, n. 26200).
6.5 Ancora secondo il costante insegnamento di questa Corte « In tema di notifica della cartella di pagamento mediante raccomandata, la consegna del plico al domicilio del destinatario risultante dall’avviso di ricevimento fa presumere, ai sensi dell’art. 1335 c.c., in conformità al principio di cd. vicinanza della prova, la conoscenza dell’atto da parte
del destinatario, il quale, ove deduca che il plico non conteneva alcun atto o che lo stesso era diverso da quello che si assume spedito, è onerato della relativa prova, il difetto di sottoscrizione del ruolo da parte del capo dell’ufficio non incide in alcun modo sulla validità della iscrizione a ruolo del tributo, poiché si tratta di atto interno e privo di autonomo rilievo esterno, trasfuso nella cartella da notificare al contribuente » (Cass., 7 settembre 2018, n. 21844; Cass., 12 gennaio 2021, n. 237).
6.6 Costituisce, poi, ius receptum il principio per cui, in mancanza di una sanzione espressa (e quindi diversamente dall’avviso di accertamento, che a norma degli artt. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 56 del d.P.R. n. 633 del 1972, è nullo se non reca la sottoscrizione del capo dell’ufficio o di altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato), opera la presunzione generale di riferibilità dell’atto amministrativo all’organo da cui promana, sicché, atteso il principio di tassatività delle nullità, tale sanzione non può trovare applicazione (Cass., 31 ottobre 2018, n. 27871); inoltre, la Corte ha chiarito che « in tema di riscossione delle imposte, la mancanza della sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del funzionario competente non comporta l’invalidità dell’atto, quando non è in dubbio la riferibilità di questo all’Autorità da cui promana, giacché l’autografia della sottoscrizione è elemento essenziale dell’atto amministrativo nei soli casi in cui sia prevista dalla legge, mentre, ai sensi dell’art. 25 del d.P.R. n. 602 del 1973, la cartella va predisposta secondo il modello approvato con decreto del Ministero competente, che non prevede la sottoscrizione dell’esattore ma solo la sua intestazione » (Cass., 31 dicembre 2015, n. 26053; Cass., 29 agosto 2018, n. 21290); in conclusione, « il difetto di sottoscrizione del ruolo da parte del capo dell’ufficio -al pari della mancanza di sottoscrizione della cartella di pagamento, quando non è in dubbio la riferibilità di questo all’Autorità da cui promana -non incide in alcun modo sulla validità dell’iscrizione
a ruolo del tributo » (cfr. Cass., 3 ottobre 2016, n. 19761, nonché Corte Costituzionale n. 117 del 21 aprile 2000, secondo cui costituisce «diritto vivente» il principio in base al quale « l’autografia della sottoscrizione è elemento essenziale dell’atto amministrativo nei soli casi previsti dalla legge, ed è regola sufficiente che dai dati contenuti nel documento sia possibile individuare con certezza l’autorità da cui l’atto proviene » (cfr. Cass., 24 luglio 2018, n. 19587, in motivazione). 6.7 Inoltre, le Sezioni Unite di questa Corte hanno recentemente affermato che, in tema di notificazione a mezzo PEC, la notifica avvenuta utilizzando un indirizzo di posta elettronica istituzionale, non risultante nei pubblici elenchi, non è nulla, ove la stessa abbia consentito, comunque, al destinatario di svolgere compiutamente le proprie difese, senza alcuna incertezza in ordine alla provenienza ed all’oggetto, tenuto conto che la maggiore rigidità del sistema delle notifiche digitali, imponendo la notifica esattamente agli indirizzi oggetto di elencazione accessibile e registrata, realizza il principio di elettività della domiciliazione per chi ne sia destinatario, cioè soggetto passivo, associando tale esclusività ad ogni onere di tenuta diligente del proprio casellario, laddove nessuna incertezza si pone invece ove sia il mittente a promuovere la notifica da proprio valido indirizzo PEC e che la costituzione del destinatario della notificazione, che abbia dimostrato di essere in grado di svolgere compiutamente le proprie difese sottrae rilevanza all’ipotizzata irregolarità, avendo pienamente la notifica raggiunto lo scopo senza alcuna incertezza in ordine alla sua provenienza e all’oggetto dell’impugnazion e (Cass., Sez. U., 18 maggio 2022, n. 15979; Cass., 28 settembre 2018, n. 23620) e che l’obbligo di utilizzo di un indirizzo presente nel registro INI -Pec appare testualmente riferito al destinatario della notifica, mentre con riguardo al notificante è previsto unicamente l’utilizzo « di un indirizzo di posta elettr onica certificata risultante da pubblici elenchi» , con il conseguente corollario che « la norma speciale prevista per le notifiche
in ambito tributario degli atti dell’Agente della riscossione differisce dalla previsione generale di cui al citato articolo 3 bis della legge n. 53/1994 solo con riferimento al soggetto che riceve la notificazione e siffatta diversità di trattamento normativo, non configura alcuna disparità di trattamento; le prescrizioni che ineriscono all’indirizzo del mittente non vanno, infatti, assoggettate alle stesse regole previste per il destinatario dell’atto, con riguardo al quale va fatta applicazione della dis ciplina propria dell’elezione di domicilio, cui dev’essere equiparato l’indirizzo di p.e.c. inserito, diversamente da quanto accade per il mittente » (cfr. Cass. , 3 luglio 2023, n. 18684, citata, in motivazione). 6.8 Va, pure, evidenziato che «La notifica della cartella di pagamento a mezzo PEC in formato “.pdf” è valida, non essendo necessario adottare il formato “.p7m”, atteso che il protocollo di trasmissione mediante PEC è di per sé idoneo ad assicurare la riferibilità della cartella all’organo da cui promana, salve specifiche e concrete contestazioni, che è onere del ricevente eventualmente allegare in contrario » (Cass., 3 dicembre 2024, n. 30922).
7. Il settimo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. , in subordine ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e degli artt. 112, 115 e 116, secondo comma, c.p.c. e dell’art. 2967 c.c., nonché dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e dell’art. 118, primo e secondo comma, disp. att. c.p.c., oltre che dell’art. 36, secondo comma, n. 4, del d.lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 56bis , del d.P.R. n. 600 del 1973, per l’omesso esame e pronuncia sull’eccepita inesistenza giuridica della notificazione degli atti esattoriali tramite operatore di poste private RAGIONE_SOCIALE.p.a. rispetto al quale era stata contestata integralmente l’esistenza ed il rilascio, nel periodo di riferimento, di alcuna sottostante licenza e/o abilitazione, nonché autorizzazione ed iscrizione presso il preposto albo speciale, suscettibile di conferirne la legittimazione nella spedizione e recapito
alla società contribuente di alcun atto esattoriale. L’ ADER, nel precedente grado di giudizio, oltre ad omettere qualunque contestazione, mai aveva assolto alcun contrapposto onere allegatorio e probatorio e la Corte di Giustizia tributaria del Lazio, nell’impugnata sentenza, aveva omesso qualunque doveroso esame e pronuncia sulle richiamate eccezioni e contestazioni svolte, laconicamente ritenendo valida la contestata notificazione tramite operatore postale privato.
7.1 Il motivo è inammissibile per difetto di specificità, in quanto la società ricorrente manca di trascrivere le notifiche cui la censura si riferisce ed è pure inammissibile perché non si confronta con il contenuto del provvedimento impugnato che, a pag. 7 della sentenza impugnata, ha ritenuto infondata la doglianza relativa all’utilizzo di operatori postali provati richiamando l’orientamento di questa Corte secondo cui « In tema di notificazioni a mezzo posta di atti impositivi, per effetto dell’art. 4 del d.lgs. n. 261 del 1999 e succ. modif., è valida la notifica compiuta – nel periodo intercorrente tra la parziale liberalizzazione attuata col d.lgs. n. 58 del 2011 e quella portata a pieno compimento dalla l. n. 124 del 2017 – tramite operatore postale privato in possesso dello specifico titolo abilitativo costituito dalla “licenza individuale” di cui all’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 261 cit., configurandosi l’ipotesi di inesistenza della notificazione in casi assolutamente residuali » (Cass., 20 luglio 2020, n. 15360 e, più di recente, Cass., 22 luglio 2021, n. 21011).
7.2 In proposito, deve precisarsi che in tema di notificazione di atti amministrativi tributari, e non di notificazione di atto giudiziario, non trova applicazione il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza 10 gennaio 2020, n. 299, secondo cui «In tema di notificazione di atti processuali, posto che nel quadro giuridico novellato dalla direttiva n. 2008/6/CE del Parlamento e del Consiglio dei 20 febbraio 2008 è prevista la possibilità per tutti gli operatori postali di notificare atti giudiziari, a meno che lo Stato non
evidenzi e dimostri la giustificazione oggettiva ostativa, è nulla e non inesistente la notificazione di un atto giudiziario eseguito dall’operatore di posta privata senza relativo titolo abilitativo nel periodo intercorrente fra l’entrata in vigore della suddetta direttiva e il regime introdotto dalla l. n. 124 del 2017 » e che « In tema di notificazioni a mezzo posta, nel regime posteriore all’entrata in vigore della legge n. 124 del 2017, è nulla la notifica di un atto processuale effettuata per il tramite di un operatore di posta privata sprovvisto della licenza individuale relativa allo svolgimento del servizio di recapito postale, in quanto solo il rilascio del titolo abilitativo comporta la soggezione a un regime giuridico particolare, fonte di conferimento di diritti, ma anche di assunzione di obblighi specifici » (Cass., 25 marzo 2024, n. 7978).
8. L’ottavo motivo deduce , ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., in subordine ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la nullità della sentenza impugnata poiché corredata da motivazione apparente, altresì in violazione e falsa applicazione degli artt. 2943 e 2948 c.c., nonché degli artt. 2697, 2712 e 2719 c.c., oltre che degli artt. 115 e 116 c.p.c., oltre che degli artt. 214 e 215 c.p.c., per aver disatteso l’eccepita decadenza e/o prescrizione della pretesa tributaria rispetto alla somma di euro 2.120.815,63 di cui all’opposta intimazione di pagamento. La comprovata inesistenza della notificazione dei richiamati atti esattoriali e dei corrispondenti atti interruttivi della decorrenza del termine prescrizionale consentiva di ritenere fondata l’eccepita prescrizione quinquennale del credito erariale. In ogni caso, anche nella denegata ipotesi si ritenesse assolto il sottostante onere probatorio, da parte dell’Agente della Riscossione, sulla notificazione dei sottostanti atti esattoriali, la società contribuente nulla doveva essendo ampiamente decorso il termine di cinque anni previsto per l’esercizio del diritto alla risco ssione.
8.1 Il motivo è infondato tenuto conto che i giudici di secondo grado hanno affermato la corretta notificazione della intimazione di
pagamento e delle sottese cartelle di pagamento, oltre che degli atti interruttivi.
8.2 Inoltre, mette conto rilevare che « Il credito erariale per la riscossione dell’imposta (a seguito di accertamento divenuto definitivo) è soggetto non già al termine di prescrizione quinquennale previsto all’art.2948 c.c., n. 4, “per tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi”, bensì all’ordinario termine di prescrizione decennale di cui all’art. 2946 c.c., in quanto la prestazione tributaria, attesa l’autonomia dei singoli periodi d’imposta e delle relative obbligazioni, non può considerarsi una prestazione periodica, derivando il debito, anno per anno, da una nuova ed autonoma valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti impositivo”. Crediti di imposta sono, in via generale, soggetti alla prescrizione ordinaria decennale, ex art. 2946 c.c., a meno che la legge disponga diversamente (come, ad esempio, la L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9, per i contributi previdenziali) e, in particolare i crediti IRPEF e IVA sono soggetti alla prescrizione decennale » (Cass., 19 febbraio 2025, n. 4385; Cass., 29 novembre 2023, n. 33213).
Per le ragioni di cui sopra, il ricorso deve essere rigettato e la società ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali, sostenute dalla Agenzia controricorrente e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento, in favore della Agenzia controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 18.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, in data 28 maggio 2025.