Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22574 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22574 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 32339/2020 R.G. proposto da : COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata ex lege in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende; -controricorrente-
e
RAGIONE_SOCIALE ROMA 2; -intimata- avverso la SENTENZA della COMM. TRIB. REG. ROMA n. 1144/2020, depositata il 27/02/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
L’ Agenzia delle entrate notificava in data 28/11/2015 al contribuente Scambia Alberto l’avviso di accertamento CODICE_FISCALE per i mposte dirette ed IVA relative all’anno d’imposta 2010, con cui si procedeva al recupero a tassazione di Euro 325.803,00 per solo importo capitale.
In fatto, per quanto ancora di rilievo, la società RAGIONE_SOCIALE -nell’ambito di un complesso rapporto relativo alla depurazione di acque ed a seguito di concessione del servizio idrico integrato per la Provincia di Roma ricevuta da ACEA affidava all’Ing. COGNOME COGNOME un incarico di progettazione, per il quale quest’ultimo attuale ricorrente si avvalse dell’opera di tale dott. COGNOME A seguito di dissapori fra i due tecnici, secondo quanto narrato dal ricorrente, in data 28/12/2010 si raggiunse una transazione che prevedeva la corresponsione al COGNOME di Euro 1.240.000,00, a titolo di penale risarcitoria, di cui il contribuente assumeva la deducibilità.
Fallito il tentativo di soluzione stragiudiziale, l’Ing. Scambia impugnava il citato avviso di accertamento, ma tale impugnativa veniva respinta dalla CTP di Roma con la sentenza n. 19387/2017.
Il contribuente proponeva appello avverso quest’ultima decisione.
Nel frattempo veniva definito un procedimento penale instaurato nei suoi confronti, che lo aveva visto anche sottoposto alla misura cautelare detentiva degli arresti domiciliari.
Inoltre, veniva dichiarato inammissibile per tardività altro ricorso proposto dallo stesso Ing. Scambia nei confronti di altro avviso di accertamento (TK501R406065) relativo all’annualità 2012 con la
sentenza della stessa CTP di Roma n. 15402/2018. Anche questa decisione veniva impugnata dal citato professionista.
La CTR del Lazio -Roma, dopo aver riunito i due gravami, con la sentenza n. 1144/2020, ha respinto gli appelli del contribuente, dando atto che un’ulteriore sentenza sfavorevole al contribuente (la n. 15401/2018 relativa ad ulteriore e diversa annualità) non era stata oggetto di impugnazione.
Avverso detta decisione adottata all’esito del giudizio di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione il citato contribuente, sulla scorta di due motivi di impugnazione.
Ha resistito con controricorso l’Agenzia delle entrate , mentre è rimasta intimata l’Agenzia delle entrate -Direzione Provinciale II di Roma.
E’ stata, quindi, fissata udienza in camera di consiglio per il successivo 18 giugno 2025.
CONSIDERATO CHE
I motivi di ricorso sono così indicati dal ricorrente:
Erroneità della sentenza impugnata per violazione ovvero falsa applicazione dell’art. 140 c.p.c., nonché dell’art. 3 Cost., per violazione del diritto di difesa e vuoto legislativo in tema di notificazione di atto a persona agli arresti domiciliari presso un Comune diverso da quello di residenza (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.);
Violazione ovvero falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. , in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.
Il primo motivo di ricorso è infondato.
Va premesso che lo stesso riguarda, come espressamente rilevato dal ricorrente a p. 13 del ricorso, la sola parte della decisione riguardante l’avviso di accertamento n. TK CODICE_FISCALE emesso per l’anno 2012, già oggetto della sentenza di prime cure n. 15402/2018.
Ciò posto, la mancanza di disciplina ad hoc per la notifica civile al destinatario ristretto agli arresti domiciliari in un Comune diverso da quello di residenza comporta l’applicabilità delle regole ordinarie, fra cui anche quelle del l’art. 140 c.p.c. qui in concreto utilizzate – che proprio per tutelare maggiormente chi si trova in una situazione di irreperibilità relativa prevede -a seguito dell’intervento del la Corte costituzionale (con la sentenza n. 3 del 2010) il perfezionamento non immediato del procedimento notificatorio, ma soltanto decorsi 10 gg. dalla spedizione della raccomandata, restando invece irrilevante il momento -successivo -dell’effettivo ritiro del plico.
L’orientamento al riguardo di quest a Corte risulta consolidato e ad esso questo collegio intende dare continuità.
Va rammentato che già con la sentenza (della Sez. 1) n. 9279 del 17/09/1998 in una fattispecie simile si era affermato che, in tema di notificazioni, l’art. 139 cod. proc. civ. pone obbligatoriamente un criterio di successione preferenziale in ordine ai luoghi nei quali la notificazione deve avvenire.
Sulla base di questa premessa, giacché la residenza non si perde per effetto di un allontanamento più o meno protratto nel tempo salvo che la persona non abbia fissato altrove una nuova dimora abituale e quindi una nuova residenza, risulta conforme a diritto la notifica a persona detenuta effettuata, nelle mani di persona di famiglia, nel luogo di residenza.
Nella condivisa motivazione della richiamata pronuncia si precisa -con l’affermazione di principi ancora attuali – che la disciplina dettata dal codice di procedura civile in tema di notificazione di atti non contiene norme specifiche in relazione allo stato di detenzione del destinatario, onde restano applicabili le disposizioni generali, precisando che lo stato di detenzione, risolvendosi in un allontanamento più o meno protratto nel tempo, non comporta la perdita della residenza.
Da ultimo, con la recentissima ordinanza (della Sez. 3) n. 11210 del 28/04/2025, è stato stabilito che in tema di notificazione al detenuto, a differenza di quanto previsto dal codice di procedura penale, manca nel codice di rito civile una disciplina ad hoc, dovendosi pertanto applicare le regole ordinarie e, in particolare, nel caso di notificazione eseguita a mezzo posta, l’art. 7, comma 3, della l. n. 890 del 1982, secondo cui, in caso di consegna a persona diversa dal destinatario, l’operatore postale dà notizia a quest’ultimo dell’avvenuta notificazione dell’atto a mezzo di lettera raccomandata.
Applicandosi le regole ordinarie e, in particolare, nella fattispecie concreta il procedimento previsto dall’art. 140 c.p.c. , risulta perciò che il decimo giorno successivo alla spedizione del plico postale – e quindi in data 2 gennaio 2017 – si era perfezionata la notifica dell’avviso di accertamento qui oggetto di contestazione, con conseguente tardività dell’istanza di accertamento per adesione trasmessa il 7 marzo 2017 (perciò oltre il prescritto termine di 60 giorni) e -a cascata -anche della successiva impugnazione, correttamente ritenuta inammissibile dalla sentenza di secondo grado.
Priva di pregio è, inoltre, la doglianza relativa ad una pretesa violazione dell’art. 3 Cost., tale da compromettere il diritto di difesa del ricorrente. A prescindere dal rilievo formale secondo cui tale censura avrebbe dovuto riguardare la norma costituzionale dell’art. 24 cost. e d all’ulteriore evidenza per cui una pretesa violazione dell’art. 3 della Carta costituzionale dovrebbe, invece, porsi sotto il profilo della disparità di trattamento o della assoluta irragionevolezza della scelta legislativa, di cui manca una qualunque illustrazione nel ricorso (ragione per cui la doglianza appare prima ancora inammissibile che infondata), occorre notare come -in fatto – anche computando il giorno della liberazione e dell’effettivo ritiro del plico, il contribuente abbia avuto 52 gg. per
proporre l’istanza di accertamento con adesione, termine certamente non così ristretto da determinare una violazione costituzionale del diritto di difesa ed il cui rispetto, anzi, appariva del tutto esigibile, posto che il contribuente neppure ha evidenziato eventuali casi di forza maggiore che, successivamente, potessero giustificare una rimessione in termini (la cui eventuale avvenuta proposizione non viene neppure prospettata in questa sede).
Quanto al secondo motivo di ricorso, lo stesso risulta, invece, inammissibile.
Esso censura, infatti, con riguardo ad entrambi gli avvisi di accertamento inizialmente impugnati separatamente, gli accertamenti in fatto compiuti dal giudice del merito e la valutazione del materiale istruttorio dal medesimo effettuata. Pertanto, pur richiamandosi formalmente ad un vizio di cui all’art. 360 n. 3 c.p.c., in realtà il motivo pretende inammissibilmente di ottenere in questa sede un ulteriore grado di giudizio sui fatti e le prove dedotte, richiamando a sostegno decisioni penali che -in quanto di archiviazione o proscioglimento in fase procedimentale -sono comunque prive di effetti di giudicato rispetto alla vicenda esaminata dalla CTR del Lazio.
Tale conclusione discende da una condivisibile ed assolutamente costante giurisprudenza per la quale ‘deve ritenersi inammissibile il motivo di impugnazione con cui la parte ricorrente sostenga un’alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, pur ove risultino allegati al ricorso gli atti processuali sui quali fonda la propria diversa interpretazione, essendo precluso nel giudizio di legittimità un vaglio che riporti a un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio nel suo insieme’ (Sez. 2, ord. n. 10927 del 23/04/2024) . hanno in precedenza affermato espressamente che inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto
Anche le Sezioni unite (con la sentenza n. 34476 del 27/12/2019) ‘è l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di
mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito’.
Peraltro, l’irrilevanza dei provvedimenti emessi nei procedimenti penali instaurati a carico del ricorrente è stata esaminata con la decisione impugnata mediante l’adozione di una motivazione adeguata e supera certamente il c.d. minimo costituzionale, non potendo perciò, essere nuovamente rimessa in discussione.
Inoltre, giova, per completezza, evidenziare che il motivo in questione non si confronta, altresì, compiutamente con la motivazione della sentenza impugnata, che al punto 3.1 ha rilevato la fondatezza dell’avviso di accertamento per il 2010 sulla scorta delle prove prodotte, ponendo in risalto inoltre in prosieguo che non era stata impugnata una ulteriore sentenza (la n. 15401/18), da ritenersi pertanto definitiva e rilevante per la qualificazione in termini di correttezza dell’operato dell’amministrazione fiscale .
4. In definitiva, il ricorso deve essere respinto, con conseguente condanna alla rifusione delle spese del presente giudizio a carico del soccombente ricorrente ed in favore della sola costituita Agenzia delle entrate (essendo l’Agenzia delle entrate Direzione provinciale II di Roma rimasta intimata), con relativa liquidazione nei termini di cui in dispositivo.
Occorre, infine, dare atto dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato, se ed in quanto dovuto per legge, a carico della parte ricorrente.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese, in favore della controricorrente Agenzia delle entrate, delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 6.500,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
A i sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.p.r. 115/2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228/2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura prevista per il ricorso, se ed in quanto dovuto per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 18 giugno 2025.