Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24626 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24626 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 16961/2016 proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso per cassazione, unitamente ai quali è elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME, alla INDIRIZZO
;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
12 . PEC:
–
contro
ricorrente –
sul ricorso n. 24573/2016 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso per cassazione, unitamente ai quali è elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME, alla INDIRIZZO
;
–
ricorrente-
contro
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO . PEC:
-controricorrente – avverso rispettivamente la sentenza della Commissione tributaria regionale della CAMPANIA, sezione staccata di Salerno, n. 451/2016, depositata in data 22 gennaio 2016, non notificata, e la sentenza della Commissione tributaria regionale della CAMPANIA, sezione staccata di Salerno, n. 452/2016, depositata in data 22 gennaio 2016, non notificata;
udita la relazione delle cause svolte nella camera di consiglio del 25 giugno 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
1. La Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE con sentenza n. 451/2016 del 22 gennaio 2016, avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto il ricorso avente ad oggetto l’avviso di accertamento con il quale era stato contestato il maggior reddito di partecipazione, quale socio della società RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE esercente l’attività di «Ristorante con annesso intrattenimento e spettacolo», relativo all’anno 2006.
I giudici di secondo grado, in particolare, hanno rilevato che RAGIONE_SOCIALE era titolare di una quota pari al 50% della società RAGIONE_SOCIALE, alla quale erano stati imputati, con separato avviso di accertamento, maggiori ricavi pari ad euro 50.479,00 e che la causa della società era stata discussa nella stessa data e si era conclusa con la conferma dell’avviso di accertamento impugnato; di conseguenza, « a) i maggiori ricavi accertati sono da considerarsi, come da costante giurisprudenza della Corte di Cassazione, distribuiti ai soci in proporzione delle rispettive quote possedute, in quanto la predetta società è costituita su base uninominale; b) l’Ufficio ha correttamente applicato l’art. 47, comma 1, del D.P.R. 917/’86, secondo cui formano il reddito di capitale il 40% degli utili percepiti; il Collegio determina ai sensi dell’art 41-bis del D.P.R. n. 600/’73 il reddito di capitale in € 10.096,00 ( 50.479,00 x 50% = € 25.239,5 x 40% ), nel rispetto di quanto stabilito dai primi Giudici – cui si intende dare continuità -».
La Commissione tributaria regionale ha, altresì, rigettato l’appello proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE, con sentenza n. 452/2016 del 22 gennaio 2016 (e successiva ordinanza di correzione del numero dell’avviso di accertamento impugnato n. 1637/2016 del 9 agosto 2016), avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto il ricorso di primo grado avente ad oggetto l’avviso di accertamento con il quale erano stati accertati ricavi non dichiarati pari ad euro 50.890,00, in relazione all’anno d’imposta 2006, sulla base della ricostruzione delle movimentazioni delle quantità in entrate e in uscita dei prodotti (farine per pizze) commercializzati.
I giudici di secondo grado, dopo avere rilevato la non erroneità della sentenza di primo grado che aveva disposto l’integrazione del contraddittorio anche nei confronti di COGNOME NOMECOGNOME che, all’epoca dei fatti, ricopriva la carica di amministratore della società,
nel merito, hanno ritenuto che la società appellante non avesse prodotto elementi probatoriamente utili a smentire le risultanze a cui erano pervenuti i giudici di primo grado, avendo l’Agenzia delle Entrate documentato, come da prospetto allegato, di avere tenuto conto, in fase di calcolo dei maggiori ricavi, solo dell’attività di pizzeria, riconoscendo gli sfridi del 10, un consumo di usi personale, in assenza di autofattura; una quantità di sola farina occorrente per 1 pizza di gr. 220, il prezzo di vendita di euro 3,50 e che analogo criterio era stato adoperato per il calcolo delle bibite.
COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato ad un unico motivo, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
La società RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a due motivi, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
CONSIDERATO CHE
Preliminarmente il Collegio dispone la riunione dei due procedimenti, sussistendo fra gli stessi un’evidente connessione avendo essi ad oggetto, con riguardo al medesimo anno d’imposta, l’uno l’accertamento nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, presupposto dell’altro accertamento emesso nei confronti del socio RAGIONE_SOCIALE per la ripresa degli utili asseritamente percepiti dallo stesso e appunto derivanti dai maggiori ricavi accertati a carico della società.
Il primo ed unico motivo del ricorso presentato da RAGIONE_SOCIALE NOME deduce error in procedendo per violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 295 c.p.c. e dell’art. 29 del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.. I Giudici di secondo grado avevano omesso di pronunciarsi sulla pregiudizialità giuridica tra la causa relativa all’avviso di accertamento notificato al RAGIONE_SOCIALE e quella sulla legittimità dell’avviso sui maggiori ricavi della RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE, di cui il RAGIONE_SOCIALE era socio. I giudici di secondo grado dovevano quantomeno disporre la riunione delle due cause. Anche l’Agenzia delle Entrate aveva affermato, a pag. 3 delle controdeduzioni in appello, l’esistenza di detta pregiudizialità giur idica.
Il primo motivo del ricorso presentato dalla società RAGIONE_SOCIALE deduce error in iudicando per violazione e falsa applicazione degli artt. 5 e 11 del d.lgs. n. 446 del 1997, 2425 c.c., 41 bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e 37 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, 12 comma 7, legge n. 212 del 2000, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c. . La società ricorrente aveva fin dall’inizio fatto presente al giudice tributario che non vi era mai stata la notifica del P.V.C. a COGNOME NOME e ch e sia l’atto impositivo, che le controdeduzioni dell’Ufficio, di primo e di secondo grado , erano prive della data di notifica del P.V.C.. La società ricorrente aveva ribadito, a pag. 3 dell’atto di appello, la mancata notifica del P .V.C. e il mancato rispetto del termine dei 60 giorni nei confronti di COGNOME NOME, quale socio, e nei confronti della RAGIONE_SOCIALE quale persona giuridica di cui il COGNOME era, all’epoca amministratore pro tempore .
Il secondo motivo del ricorso presentato dalla società RAGIONE_SOCIALE deduce la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.. La società ricorrente aveva ribadito, a pag. 3 dell’atto di appello , la mancata notifica del P.V.C. e il mancato rispetto del termine dei 60 giorni nei confronti di COGNOME NOME, quale socio, e nei confronti della RAGIONE_SOCIALE quale persona giuridica, di cui il COGNOME era, all’epoca, amministratore pro tempore . Il giudice di secondo grado, in violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., non si era pronunciato su tale eccezione di nullità dell’avviso di accertamento impugnato, censura che l’Agenzia delle Entrate non aveva contestato.
Vanno esaminati, in via pregiudiziale, i motivi, strettamente connessi, del ricorso proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE, che sono infondati.
5.1 Deve premettersi che il processo verbale di constatazione è stato redatto in data 12 marzo 2009 e una copia dello stesso, con relativi allegati, è stata consegnata alla società, nella persona del legale rappresentante pro tempore , RAGIONE_SOCIALE (cfr. pag. 8 del ricorso per cassazione). Si legge, poi, nella sentenza impugnata che era pacifico che l’avviso di accertamento era stato notificato presso la sede della società in data 29 luglio 2011 nelle mani di RAGIONE_SOCIALE, quale legale rappresentante pro tempore e che era altrettanto pacifico che alla data della notifica dell’atto impugnato COGNOME NOME, oltre a rivestire la carica di rappresentante legale era unico socio della società per avere acquistato da COGNOME NOME in data 20 settembre 2007 la restante quota del capitale sociale, come da scrittura privata autenticata per RAGIONE_SOCIALE, registrata ad Eboli il 26 settembre 2017 (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata).
5.2 Ciò posto, la notifica ad una persona giuridica è disciplinata dall’art. 145 c.p.c., il quale consente indifferentemente di notificare l’atto presso la sede (legale ed effettiva) della persona giuridica, con consegna al rappresentante legale o alla persona incaricata di ricevere le notificazioni o alla persona fisica del legale rappresentante, qualora l’atto da notificare ne indichi la qualità e ne specifichi residenza, domicilio e dimora abituale. La notifica ad una persona giuridica, quindi, avviene a norma degli artt. 138 (notificazione in mani proprie), 139 (notificazione nella residenza, nella dimora o nel domicilio) e 141 (notificazione presso il domiciliatario) c.p.c..
Più in particolare, la notifica di un avviso di accertamento rivolto alla società di capitali, a norma degli artt. 145 c.p.c. e 60 del d.P.R. n. 600
del 197, deve avvenire mediante consegna alla persona che rappresenta l’ente (ovvero ad altri soggetti legittimati indicati dalla norma) (Cass., 22 novembre 2021, n. 36034 e, più di recente, Cass., 12 febbraio 2025, n. 3610) .
Sul punto la Suprema Corte ha chiarito che «in tema di notificazione alle persone giuridiche (siano esse società di capitali o di persone), se la notificazione non può essere eseguita con le modalità di cui all’art. 145, comma 1, c.p.c. -ossia mediante consegna di copia dell’atto al rappresentante o alla persona incaricata di ricevere le notificazioni o, in mancanza, ad altra persona addetta alla sede stessa -e nell’atto è indicata la persona fisica che rappresenta l’ente, si osservano, in applicazione del comma 3 del medesimo art. 145, le disposizioni degli artt. 138, 139 e 141 c.p.c.; se neppure l’adozione di tali modalità consente di pervenire alla notificazione, si procede con le formalità dell’art. 140 c.p.c. (nei confronti del legale rappresentante, se indicato nell’atto e purché abbia un indirizzo diverso da quello della sede dell’ente)» (Cass., 10 novembre 2020, n. 25137: Cass., 16 aprile 2024, n. 10294).
Peraltro, secondo la giurisprudenza di questa Corte, « la persona che, in un avviso di accertamento, è indicata erroneamente come legale rappresentante della società di capitali cui l’avviso è rivolto, è priva di interesse ad impugnare l’avviso stesso, con la conseguenza che l’eventuale ricorso da essa proposto va dichiarato inammissibile, potendo essa, qualora l’esattore inizi l’azione di riscossione della sanzione nei suoi confronti, impugnare l’avviso di mora, al fine di contestare il rapporto di rappresentanza e la propria responsabilità » (Cass., 7 giugno 2012, n. 9282; Cass., 16 dicembre 2008, n. 29377; Cass., 20 marzo 2019, n. 7763).
5.3 Dunque, l’atto impositivo deve essere consegnato alla persona che rappresenta l’ente secondo la legge, ai sensi dell’art. 145, comma 1,
c.p.c., dal che consegue che correttamente i giudici di secondo grado hanno affermato la regolarità della notifica dell’avviso presso la sede della società, avvenuta nella mani del legale rappresentante pro tempore, COGNOME NOME; né era dovuta alcuna notifica nei confronti di COGNOME NOME, legale rappresentante della società nell’anno 2006, oggetto dell’accertamento.
5.4 Del tutto infondata è, dunque, la violazione di legge dedotta e l’eccepita decadenza, che avuto riguardo ai soggetti legittimati a ricevere la notifica dell’avviso di accertamento non sussiste, in quanto il processo verbale di constatazione è stato redatto (come rilevato sopra) in data 12 marzo 2009 e l’avviso di accertamento è stato notificato in data 29 luglio 2011, oltre il termine di decadenza dei sessanta giorni previsto dall’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000.
5.5 Non sussiste nemmeno il vizio di omessa pronuncia che richiede che sia stato completamente omesso il provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto, ciò che si verifica quando il giudice non decide su alcuni capi della domanda, che siano autonomamente apprezzabili, o sulle eccezioni proposte, ovvero quando pronuncia solo nei confronti di alcune parti (Cass., 3 marzo 2020, n. 5730). Deve richiamarsi, in proposito, l’orientamento di questa Corte secondo cui il vizio di omessa pronuncia su una domanda o eccezione di merito si ha quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su di un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (Cass., 4 gennaio 2024, n. 272; Cass., 26 gennaio 2021, n. 1616; Cass., 16 luglio 2018, n. 18797; Cass., 27 novembre 2017, n. 28308).
5.6 E’, pure inammissibilmente invocato l’art. 115 c.p.c., , atteso che il principio di non contestazione, che, come affermato dalla società ricorrente, opera anche nel processo tributario, deve, tuttavia, essere coordinato con quello, correlato alla specialità del contenzioso, secondo cui la mancata specifica presa di posizione dell’Ufficio sui motivi di opposizione alla pretesa impositiva svolti dal contribuente in via subordinata non equivale ad ammissione dei fatti posti a fondamento di essi, né determina il restringimento del « thema decidendum » ai soli motivi contestati, posto che la richiesta di rigetto dell’intera domanda del contribuente consente all’Ente impositore, qualora le questioni da questo dedotte in via principale siano state rigettate, di scegliere, nel prosieguo del giudizio, tra tutte le possibili argomentazioni difensive rispetto ai motivi di opposizione (Cass., 13 marzo 2019, n. 7127; Cass., 23 luglio 2019, n. 19806).
L’unico motivo del ricorso proposto da COGNOME NOME è, invece, inammissibile.
6.1 Costituisce principio consolidato quello per cui l’accertamento tributario nei confronti di una società di capitali a base ristretta, costituisce un indispensabile antecedente logico-giuridico dell’accertamento nei confronti dei soci, in virtù dell’unico atto amministrativo da cui entrambe le rettifiche promanano. Tuttavia, solo l’annullamento dell’accertamento societario con sentenza passata in giudicato per vizi attinenti al merito della pretesa tributaria, avendo carattere pregiudicante, determina l’illegittimità dell’avviso di accertamento, notificato al singolo socio, che ipotizzi la percezione di maggiori utili societari (Cass., 19 gennaio 2021, n. 752 e, più di recente, Cass., 4 febbraio 2025, n. 2743).
6.2 La sentenza impugnata, discostandosi dai principi sopra riportati, ha invece deciso la controversia, appunto nonostante la pendenza del giudizio inerente al pregiudiziale accertamento nei riguardi della società. Proprio ciò costituisce l’essenza della cens ura proposta col
primo ed unico motivo del ricorso per cassazione proposto da RAGIONE_SOCIALE e, tuttavia, il coordinamento delle decisioni relative alle impugnazioni degli avvisi di accertamento notificati alla società e al suo socio è avvenuto dinanzi a questa Corte con la riunione dei rispettivi giudizi, con la conseguenza che l’art. 295 c.p.c. ha perso ogni rilievo, per cui il motivo risulta inammissibile per carenza di interesse (cfr., in tema di società di capitali, Cass., 28 marzo 2025, n. 8226, in motivazione).
Per le ragioni di cui sopra, il ricorso presentato dalla società RAGIONE_SOCIALE va rigettato e il ricorso presentato da RAGIONE_SOCIALE va dichiarato inammissibile, con condanna delle parti ricorrenti al pagamento delle spese processuali, sostenute dalla Agenzia controricorrente e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dispone la riunione della causa n. 24573/2016 R.G. alla causa n. 16961/2016 R.G.; rigetta il ricorso presentato dalla società RAGIONE_SOCIALE e dichiara inammissibile il ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE condanna la società RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore della Agenzia controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 1.450,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito; condanna RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore della Agenzia controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 1.450,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per i rispettivi ricorsi, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto. Così deciso in Roma, in data 25 giugno 2025.