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Nota di accredito IVA: quando è legittima? Cassazione

Un consorzio turistico emetteva note di accredito IVA a favore dei consorziati dopo aver ricevuto un contributo pubblico. L’Agenzia fiscale contestava l’operazione. La Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia, chiarendo che per la legittimità della nota di accredito IVA è necessario provare il nesso diretto tra l’operazione originaria e la variazione, cosa che il giudice di merito non aveva verificato.

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Pubblicato il 2 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Nota di accredito IVA: la Cassazione stabilisce i limiti dopo i contributi pubblici

L’emissione di una nota di accredito IVA è una procedura contabile che permette di correggere una fatturazione precedente, ma non può essere utilizzata in modo arbitrario. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato un caso complesso riguardante un consorzio turistico, facendo luce sui rigidi presupposti richiesti dall’articolo 26 del d.P.R. 633/1972. La decisione sottolinea l’importanza di dimostrare un nesso diretto tra l’operazione originaria e la successiva variazione, specialmente quando intervengono contributi pubblici.

I fatti del caso

Un consorzio operante nella promozione turistica aveva proposto appello contro una decisione che respingeva la sua richiesta di rimborso IVA per l’anno d’imposta 2017. L’Agenzia fiscale aveva negato il rimborso a causa di una presunta indebita detrazione IVA, derivante dall’emissione di note di accredito a favore delle ditte consorziate.

La procedura seguita dal consorzio era la seguente: dopo aver ricevuto un contributo da un ente pubblico per le attività di promozione, il consorzio quantificava la quota spettante a ciascun consorziato e la erogava, detraendo le spese già sostenute e fatturate dal singolo membro. Poiché le spese superavano l’importo del contributo, il consorzio emetteva una nota di accredito per riconoscere l’IVA pagata sulle attività promozionali. Il giudice di primo grado aveva ritenuto tale procedura non conforme alle fattispecie previste dall’art. 26.

La decisione della Commissione Tributaria Regionale

In secondo grado, la Commissione Tributaria Regionale aveva ribaltato la decisione, accogliendo il ricorso del consorzio. Secondo i giudici d’appello, la nota di accredito poteva essere emessa solo dopo l’incasso del contributo pubblico, considerato il ‘fatto generatore’ della variazione. Pertanto, l’emissione era stata ritenuta legittima e tempestiva ai sensi dell’art. 26, comma 2, del d.P.R. 633/1972, e negare il rimborso avrebbe comportato un doppio versamento dell’IVA.

Le motivazioni della Cassazione sulla nota di accredito IVA

La Corte di Cassazione, investita del ricorso dall’Agenzia fiscale, ha cassato la sentenza di secondo grado, ritenendo i motivi del ricorso fondati. I giudici supremi hanno chiarito che il ricorso alla procedura di variazione IVA, secondo l’art. 26, richiede condizioni precise. In particolare, la norma consente di rettificare un’operazione fatturata se questa viene meno (in tutto o in parte) o se se ne riduce l’imponibile a causa di eventi specifici come nullità, revoca, risoluzione o sconti contrattuali.

Il punto cruciale, secondo la Corte, è che il giudice di merito ha errato nel non verificare la sussistenza di tutti i presupposti normativi. La sua motivazione è stata definita ‘apodittica’, cioè assertiva ma non dimostrata. Ha dato per scontato che il versamento del contributo pubblico fosse la causa della variazione, senza però indagare ‘quando e come’ tale contributo fosse stato erogato e, soprattutto, senza accertare la ‘reale corrispondenza tra l’operazione originaria e quella sopravvenuta’.

La Corte ha ribadito che il contribuente ha l’onere di fornire la prova di questa corrispondenza. Non basta affermare un collegamento: bisogna dimostrare l’identità dell’oggetto tra le fatture originarie e la successiva variazione che ha generato la nota di accredito IVA. Mancando questa verifica fondamentale da parte del giudice d’appello, la sua decisione è risultata viziata.

Le conclusioni

L’ordinanza stabilisce un principio fondamentale: l’ottenimento di un contributo pubblico non giustifica automaticamente l’emissione di una nota di accredito per variare l’imponibile IVA di operazioni precedenti. È indispensabile che il contribuente dimostri in modo inequivocabile il nesso causale e la corrispondenza tra l’operazione fatturata e la sopravvenuta causa di variazione. La sentenza è stata quindi cassata con rinvio alla Corte di Giustizia tributaria del Veneto, che dovrà riesaminare il caso attenendosi a questo principio e verificando puntualmente la sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge.

È sempre possibile emettere una nota di accredito IVA dopo aver ricevuto un contributo pubblico?
No, non è automatico. Secondo la Corte, l’ottenimento di un contributo pubblico non costituisce di per sé una causa legittima di variazione dell’imponibile ai sensi dell’art. 26 d.P.R. 633/1972. È necessario verificare se ricorra una delle specifiche ipotesi previste dalla norma.

Quali sono i presupposti per emettere una legittima nota di accredito IVA per riduzione dell’imponibile?
L’operazione originaria deve venire meno in tutto o in parte, o il suo ammontare imponibile deve ridursi, a causa di eventi come nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione o per l’applicazione di sconti o abbuoni previsti contrattualmente. Inoltre, deve essere dimostrata la corrispondenza tra l’operazione originaria e la successiva variazione.

Su chi ricade l’onere di provare la legittimità di una nota di accredito IVA?
L’onere della prova ricade sul contribuente. È quest’ultimo che deve fornire la prova della corrispondenza tra l’operazione originaria e quella sopravvenuta che giustifica la variazione, dimostrando l’identità di oggetto tra le fatture e i documenti successivi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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