Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 27834 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 27834 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1994/2024 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (P_IVA) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO SICILIA n. 9483/2023 depositata il 21/11/2023. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/09/2025
dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO CHE
L’oggetto del ricorso è rappresentato dalla sentenza n. 9483/23, emessa dalla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Sicilia, depositata il 21/11/2023.
Era stato emesso l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO, con cui l’amministrazione finanziaria contestava l’omessa contabilizzazione e dichiarazione di ricavi, accertando, ai sensi dell’articolo 39, comma 1, lettera c) del d.P.R. n. 600 del 1973, che i compensi percepiti dal sig. NOME COGNOME in qualità di gestore di apparecchi elettronici per il gioco ammontavano ad Euro 257.433,96.
Le maggiori imposte accertate ammontano dunque a:
-€ 57.518,00 a titolo di IRPEF;
-€ 2.360,00 a titolo di Addizionale Regionale;
-€ 546,00 a titolo di addizionale comunale;
-€ 7.032,00 a titolo di IRAP;
-€ 1.053,00 a titolo di IVA;
oltre sanzioni e interessi.
A fronte dell’impugnazione proposta dal contribuente, la Commissione Tributaria Provinciale di Catania, con sentenza del 6 settembre 2019, n. 7755, accoglieva parzialmente il ricorso limitatamente alla parte in cui l’avviso non tiene conto della ripartizione percentuale dei ricavi tra ‘gestore’ ed ‘esercenti’ indicata nei contratti richiamati in parte motiva’. Le spese venivano compensate.
Proponeva appello l’ufficio, ma la Corte di Giustizia tributaria di II grado della Sicilia, con la sentenza del 21 novembre 2023, n. 9483, rigettava il gravame principale dell’RAGIONE_SOCIALE, accogliendo invece l’appello incidentale del contribuente.
Ha proposto ricorso per Cassazione l’RAGIONE_SOCIALE, sulla scorta di due motivi di impugnazione.
Resiste con controricorso il privato, il quale ha altresì depositato memoria scritta ed art. 380 bis.1 c.p.c.
E’ stata, quindi, fissata udienza in camera di consiglio per il successivo 10 settembre 2025.
CONSIDERATO CHE
I due motivi di ricorso sono così indicati dal ricorrente:
Violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 2727 e dell’art.2697 del cod. civ., in relazione all’articolo 360, primo comma, n. 3, c.p.c.;
II) Violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 115 c.p.c., in relazione all’articolo 360, primo comma, n. 4, c.p.c.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Con tale profilo di contestazione, infatti, pur formalmente deducendo un errore di diritto, la ricorrente si limita a rimettere in discussione la valutazione RAGIONE_SOCIALE prove e l’accertamento dei fatti compiuti dal giudice del precedente grado di giudizio, invocando, di fatto, un inammissibile terzo grado di merito che in questa sede non è consentito.
Ed infatti, nonostante già la decisione di primo grado avesse parzialmente accolto le ragioni del contribuente, rilevando che ‘l’accertamento impugnato non tiene conto della prova fornita dal ricorrente in merito alla percentuale di ripartizione tra gestore ed esercente con riferimento ai due citati contratti stipulati con la ditta ‘RAGIONE_SOCIALE‘ e con la ditta ‘RAGIONE_SOCIALE del
Sud’ sopra indicati, di talché l’RAGIONE_SOCIALE dovrà procedere al ricalcolo RAGIONE_SOCIALE imposte e RAGIONE_SOCIALE sanzioni dovute tenuto conto RAGIONE_SOCIALE percentuali di ripartizione riportate nei predetti contratti valevoli per l’anno di imposta 2012′, la odierna ricorrente continua -dopo l’accoglimento integrale dell’appello incidentale del privato da parte della CGT -II – a ribadire la correttezza RAGIONE_SOCIALE presunzioni applicate circa la deduzione del 75% RAGIONE_SOCIALE giocate a titolo di vincite e circa la presunzione di pari concorso al 50% nei guadagni, fra concessionaria ed esercente.
Questo, pur a fronte della specifica affermazione, contenuta nella motivazione della decisione impugnata, secondo cui ‘L’RAGIONE_SOCIALE Catania, prima, ha utilizzato un dato presunto rappresentato dalla quota di spettanza residua di esercenti/gestori, calcolata sul minimo di vincita di legge 75% (prima presunzione) ignorando la percentuale di vincite media ponderata Nazionale del 75,8%, poi ha arbitrariamente presunto che siffatta somma residua venisse ripartita al 50% fra esercente e noleggiatore/gestore (seconda presunzione) Peraltro, la natura induttiva del dato è comprovata dal fatto che viene considerata la percentuale minima di legge pari al 75% RAGIONE_SOCIALE vincite (OUT), quando la stessa RAGIONE_SOCIALE, in seno all’avviso di accertamento impugnato ammette che ‘dalla raccolta complessiva da parte del Concessionario, realizzata per il tramite degli apparecchi vengono decurtate le vincite in misura variabile con un minimo del 75% o 85%’, ragione per la quale si sarebbe dovuta applicare una percentuale ponderata e non il 75%. La caratteristica degli apparecchi di cui sopra è, infatti, quella per cui ‘insieme con l’elemento aleatorio sono presenti anche elementi di abilità, che consentono al giocatore la possibilità di scegliere, all’avvio o nel corso della partita, la propria strategia, selezionando appositamente le opzioni di gara ritenute più favorevoli tra quelle proposte dal gioco’ (cfr. art 110 TULPS, comma 6, lett. a). Ciò
significa che la percentuale di vincita può aumentare notevolmente in base alle strategie di gioco prescelte e, di conseguenza, può superare di gran lunga la misura minima del 75%, di tal ché anche le somme incassate dagli operatori possono variare sensibilmente.
Non solo, occorre, altresì, considerare che anche la ripartizione RAGIONE_SOCIALE somme tra esercente e gestore al 50% è frutto di una mera presunzione, atteso che tali accordi sono rimessi all’autonomia negoziale RAGIONE_SOCIALE parti e sono suscettibili di trattamenti differenziati. Proprio i contratti prodotti in primo grado, oggetto dell’appello dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, confermano le percentuali di ripartizione indicate nel prospetto ‘.
Come si può vedere da quanto appena riportato, i giudici di secondo grado non hanno affatto operato una disamina astratta, ma muovendosi nell’alveo della valutazione RAGIONE_SOCIALE prove prodotte in giudizio – hanno compiuto un accertamento meritale che in questa sede non può essere nuovamente rimesso in discussione.
Infatti, pur richiamandosi formalmente ad un vizio di cui all’art. 360 n. 3 c.p.c., in realtà il motivo pretende inammissibilmente di ottenere in questa sede un ulteriore grado di giudizio sui fatti accertati dal giudice del merito ed una rivalutazione RAGIONE_SOCIALE prove già esaminate dalla CGT -II della Sicilia, con motivazione che non appare illogica o apparente e che supera certamente il minimo costituzionale.
Tale conclusione discende da una condivisibile ed assolutamente costante giurisprudenza per la quale ‘deve ritenersi inammissibile il motivo di impugnazione con cui la parte ricorrente sostenga un’alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, pur ove risultino allegati al ricorso gli atti processuali sui quali fonda la propria diversa interpretazione, essendo precluso nel giudizio di legittimità un vaglio che riporti a un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio nel suo insieme’ (Sez. 2, ord. n. 10927 del 23/04/2024); in precedenza anche Sez. U, sent. n. 34476 del
27/12/2019 ha affermato esplicitamente che ‘è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito’. Peraltro, l’irrilevanza dei suddetti provvedimenti penali (che non sono provvedimenti di assoluzione nel merito come affermato dal ricorrente) è stata saggiata affrontata dalla decisione impugnata con una motivazione adeguata e supera certamente il minimo costituzionale, non potendo perciò, essere nuovamente rimessa in discussione.
Occorre a questo punto occuparsi del secondo motivo di ricorso, rilevandone peraltro la palese infondatezza.
Secondo la ricorrente, infatti, a seguito della notifica dell’invito a comparire, la parte privata avrebbe tenuto, prima del giudizio, un comportamento di non contestazione, non producendo documentazione richiesta, sì che ai sensi dell’art. 115 c.p.c., i fatti addebitati dall’RAGIONE_SOCIALE, non oggetto di specifica contestazione, ‘andavano considerati incontroversi’.
Tale impostazione non è tuttavia coerente con il disposto della norma processuale richiamata.
Il punto merita un approfondimento.
Introdotto dalla giurisprudenza e recepito dall’art. 115 c.p.c. a seguito della novella del 2009, il principio di non contestazione si pone come uno dei fondamenti del nuovo processo civile riformato, trasformando la ricerca dell’onere della prova da astratto ed immutabile problema sostanziale -in una dinamica e concreta questione processuale, portato della dialettica e RAGIONE_SOCIALE strategie difensive adottate dalle parti. Tale principio, come si è rettamente affermato, è insito ed immanente nel codice di rito in quanto “deriva da tutto il sistema processuale (come risulta dal carattere dispositivo del processo, che comporta una struttura dialettica a
catena e soprattutto dal generale principio di economia e di ragionevole durata del processo che deve informarlo, così come previsto dall’art. 111 Cost.)”. Naturalmente, il principio di non contestazione trova applicazione solo con riferimento a fatti, quindi ad elementi materiali e non a valutazioni di contenuto ideologico: nessuna rilevanza in tema di assolvimento dell’onere della prova assume la mancata contestazione RAGIONE_SOCIALE argomentazioni giuridiche svolte dalla controparte a sostegno di una domanda cui non si è fatta acquiescenza. Inoltre, proprio perché accolto dall’art. 115 c.p.c., il principio di non contestazione è destinato a formarsi in giudizio, nell’ambito di quella circolarità fra allegazione -contestazione -prova dei fatti, senza riguardare i contegni che la parte abbia tenuto stragiudizialmente, essendo ben evidente che la stessa può (salvi i limiti della confessione stragiudiziale o della rinuncia espressa al proprio diritto) mantenere un contegno di accondiscendenza per la ricerca di un accordo transattivo, sfumato il quale resta pienamente integra del diritto di contestare in giudizio l’altrui pretesa.
Già prima della riforma del 2009, la RAGIONE_SOCIALE aveva avuto modo di rilevare che l’art. 167 c.p.c., imponendo al convenuto l’onere di prendere posizione sui fatti costitutivi del diritto preteso dalla controparte, considera la non contestazione un comportamento univocamente rilevante ai fini della determinazione dell’oggetto del giudizio, con effetti vincolanti per il giudice, che dovrà astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato acquisito al materiale processuale e dovrà, perciò, ritenerlo sussistente, in quanto l’atteggiamento difensivo RAGIONE_SOCIALE parti espunge il fatto stesso dall’ambito degli accertamenti richiesti’ (Cass. civ. Sez. III Sent., 5 marzo 2009, n. 5356; con richiami alla fondamentale Cass. civ. Sez. Unite, 17 giugno 2004, n. 11353).
Successivamente, l’art. 115 c.p.c. ha, per l’appunto, meglio circoscritto il fenomeno come relevatio ab onere probandi,
statuendo che ‘salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero, nonché i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita’. Proprio sulla scorta di tale inequivoco dato normativo il S.C. ha precisato che ‘l’onere di contestazione, la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova, sussiste soltanto per i fatti noti alla parte e dedotti nel processo, non anche per quelli ad essa ignoti o allegati in sede extraprocessuale, atteso che il principio di non contestazione trova fondamento nel fenomeno di circolarità degli oneri di allegazione, confutazione e prova, di cui agli artt. 414, nn. 4 e 5, e 416 c.p.c., che è tipico RAGIONE_SOCIALE vicende processuali’ (Cass. civ. n. 2174/2021).
E’ ben vero che, potrebbe obiettarsi, il principio di non contestazione si atteggia in parte diversamente in un giudizio di tipo impugnatorio quale il processo tributario, nel quale, proprio per tale motivo, si è condivisibilmente osservato che essendo caratterizzato dall’impugnazione di una pretesa fiscale fatta valere mediante l’emanazione dell’atto impositivo nel quale i fatti costitutivi della richiesta sono già stati allegati, il principio di non contestazione non implica a carico dell’Amministrazione finanziaria, a fronte dei motivi di impugnazione proposti, un onere di allegazione ulteriore rispetto a quanto contestato nell’atto impugnato (Cass. civ. n. 16984/2023).
Ma simile argomento nel caso di specie neppure viene in rilievo, posto che l’erroneità del motivo di ricorso si impone, per così dire, ‘ a monte ‘, pretendendo di desumere la violazione dell’art. 115 c.p.c. e la natura ‘pacifica’ dei fatti da un mero contegno omissivo stragiudiziale, fra l’altro dedotto in modo del tutto generico.
Del resto, occorre aggiungere, si è costantemente affermato che in tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso
avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione RAGIONE_SOCIALE fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni, mentre, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c. (Sez. 5, sent. n. 26739 del 15/10/2024).
In definitiva, il ricorso va respinto, con condanna alle spese, secondo il principio di soccombenza e liquidazione in dispositivo.
Peraltro, poiché il rigetto concerne la parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1 – quater del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso e, per l’effetto, condanna parte ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese processuali, che liquida in euro 4.200#, oltre spese forfettarie del 15%, oltre esborsi per euro 200 ed accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 10 settembre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME