Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16681 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 16681 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CANDIA COGNOME
Data pubblicazione: 17/06/2024
riqualificazione dell’atto come retrocessione della quota di proprietà prima donata e, quindi, con effetto traslativo della proprietà a titolo gratuito si è basata su profili economici estranei all’atto, considerando cioè le opere di trasformazione di ristrutturazione dei beni nell’arco temporale tra le precedenti due donazioni e l’atto tassato, senza tacere dell’assenza dei requisiti per ravvisare l’ animus donandi .
Con il quarto motivo di impugnazione, i ricorrenti hanno denunciato, nella prospettiva di cui all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione e l’errata applicazione degli artt. 6, comma 2, d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 e 9 d.lgs. 26 aprile 1986, n. 131, assumendo che l’attività di riqualificazione dell’atto competeva all’Ufficio di Brescia che aveva registrato le prime due donazioni e non a quello di Venezia che aveva emesso l’atto impugnato.
Con la quinta ragione di contestazione gli istanti hanno dedotto, con riguardo al parametro dell’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per l’omessa pronuncia sul quarto motivo di gravame con il quale era stata denunciata l’assenza del presupposto impositivo e la violazione dell’art. 56, comma 4, d.lgs. 31
ottobre 1990 n. 346, avendo l’Ufficio determinato la base imponibile sull’incremento di valore dei beni dalle precedenti donazioni, che, in realtà, non costituiva entità tassabile nell’ambito della disciplina dell’imposta sulle donazioni.
Con il sesto ed ultimo motivo di ricorso i contribuenti hanno lamentato, sempre con riferimento al canone censorio dell’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per l’omessa pronuncia sul quinto motivo di gravame con cui era stata rappresentata l’inidoneità della perizia di parte dell’Ufficio a supportare la stima del valore del bene e, con esso, a giustificare la pretesa erariale.
Con l’unico motivo di ricorso incidentale, l’RAGIONE_SOCIALE ha invece rimproverato alla Commissione regionale, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 34 d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 e 20 e 51 d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, nella parte in cui il Giudice d’appello ha escluso dalla base imponibile il valore dei beni oggetto RAGIONE_SOCIALE originarie donazioni, tenuto conto che le menzionate disposizioni non individuano la citata base imponibile (come ritenuto dalla Commissione) della donazione nell’incremento immobiliare, ma nel valore dei beni oggetto di trasferimento.
Il ricorso principale va accolto nel suo sesto motivo; parimenti va accolto l’unico motivo del ricorso incidentale.
Vanno preliminarmente esaminate la prima e la terza censura in modo unitario, in quanto connesse tra di loro, gravitando, sia pure sotto distinti profili, sulla dedotta erronea interpretazione dell’atto tassato.
Entrambe le doglianze risultano infondate.
9.1. La prima ragione di contestazione, basata sulla violazione RAGIONE_SOCIALE regole interpretative di cui agli artt. 1321 e 1372 cod. civ., non è conferente alla fattispecie in rassegna.
Risulta, invero, pacifico che con l’atto di rettifica in questione l’Ufficio ha provveduto, ai sensi dell’art. 20 T.U. registro, alla riqualificazione del contratto denominato «Risoluzione per mutuo dissenso di donazioni»,
individuando in esso « l’effetto traslativo della proprietà a titolo gratuito da sottoporre a tassazione secondo le previsioni del Testo Unico sulle Successioni e Donazioni n. 346 del 31/10/1990» (v. pagina n. 11 del ricorso nella parte in cui riporta i contenuti dell’avviso impugnato).
Il citato art. 20 d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (quale modificato dall’art. 1, comma 87, della legge 27 dicembre 2017 n. 205 e dall’art. 1, comma 1084, della legge 30 dicembre 2018 n. 145, nei termini confermati dalla Corte costituzionale con le sentenze del 21 luglio 2020, n. 158 e del 16 marzo 2021, n. 39, anche in relazione all’efficacia retroattiva del citato complessivo intervento normativo) dispone che «l’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponde il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati».
Si tratta di una disposizione specifica, propria dell’interpretazione fiscale, che ha natura autonoma e derogatoria rispetto alle comuni regole civilistiche dell’interpretazione negoziale, che impone di ricercare non la comune intenzione RAGIONE_SOCIALE parti anche considerando il loro successivo comportamento (come impone l’art. 1362 cod. civ.), ma per chiaro dettato normativo l’intrinseca natura dello stesso ed suoi effetti giuridici sulla scorta di un’indagine testuale, di natura letterale e sostanziale, dell’atto.
In siffatto, del tutto peculiare contesto, non assumono, quindi, rilevanza le regole invocate dall’istante con il primo motivo.
9.2. Risulta, invece, pertinente per gli stessi motivi di cui sopra, pur rivelandosi infondato, il terzo motivo, con il quale l’istante ha rivendicato la violazione e/o errata applicazione del menzionato art. 20 T.U. registro.
I ricorrenti lamentano, in particolare, che l’Ufficio avrebbe basato la rettifica su «profili economici estranei all’atto» (v. pagina n. 11 del ricorso) e/o su «elementi extratestuali» (v. pagina n. 13 del ricorso), richiamando le opere di trasformazione e di riqualificazione realizzate sui beni dopo le due originarie donazioni.
Detti argomenti non possono, tuttavia, essere condivisi.
Dal medesimo contenuto del ricorso in esame emerge, infatti, che il primo Giudice (la Commissione tributaria provinciale di Venezia), con la sentenza n. 612/2019 ebbe a precisare che «Quanto alla base imponibile le parti, nel rogito notarile del 2014, hanno dichiarato che dopo le autorizzazioni, le concessioni edilizie hanno realizzato un compendio di 29 appartamenti il che è sufficiente per stabilirne il valore» (v. pagina n. 5 del ricorso).
Da tale testuale riferimento risulta, allora, con sufficiente evidenza, che le opere di trasformazioni e di riqualificazione dei beni originariamente donati, su cui l’Ufficio ha giustificato l’operazione interpretativa di riqualificazione dell’atto, sono stati desunti dal suo illustrato contenuto, il che smentisce il rilievo critico di una diversa qualificazione del negozio sulla base di elementi extratestuali.
9.3. Tanto precisato, la predetta riqualificazione risulta corretta, alla luce dei principi affermati da questa Corte in tema di mutuo dissenso ed applicabili anche alla fattispecie in esame.
In particolare, questa Corte ha chiarito che:
«In base all’art. 1372 cod. civ., il contratto non può essere sciolto che per mutuo consenso o per le cause ammesse dalla legge.
Il mutuo consenso risolutivo, o anche ‘mutuo dissenso’, presuppone che gli effetti traslativi del contratto non si siano ancora prodotti là dove, nella diversa ipotesi (qui ricorrente) di effetti traslativi già compiuti ed ormai esauriti, non di mutuo dissenso deve parlarsi, quanto di stipulazione tra le stesse parti di un diverso negozio avente effetti uguali e contrari al precedente (c.d. contrarius actus ). E’ vero che in tal caso le parti raggiungono lo scopo pratico di ripristinare lo stesso assetto patrimoniale precedente al contratto risolto, ma ciò avviene appunto in forza di una nuova ed autonoma manifestazione di volontà negoziale.
Come già osservato da Cass. n. 18844/12 (con ulteriori richiami: Cass. nn. 683/66, 17503/2005, 18859/2008, 20445/11) il mutuo dissenso
costituisce un atto di risoluzione convenzionale (o accordo risolutorio), che rientra nell’autonomia negoziale dei privati, i quali sono liberi di regolare gli effetti prodotti da un precedente negozio a prescindere dall’esistenza o sopravvenienza di eventuali fatti impeditivi o modificativi dell’originario regolamento di interessi.
Con esso si determina, in sostanza, un caso di ritrattazione bilaterale del contratto con la conclusione di un nuovo negozio uguale e contrario a quello da risolvere, sicchè esso integra un contratto del tutto nuovo ed autonomo con il quale le stesse parti estinguono un contratto precedente, liberandosi dal relativo vincolo.
L’accordo risolutorio può concernere anche un contratto ad effetto reale, nel qual caso “si opera un nuovo trasferimento della proprietà al precedente proprietario” (Cass. n.18844/12 cit., Cass. n. 8878/1990); ed è proprio per questa ragione (nuovo trasferimento) che in tale ipotesi vi è onere della forma scritta ad substantiam ex art.1350 cod.civ.
L’indirizzo qui accolto trova costante e coerente conferma giurisprudenziale anche con riguardo all’imposta di registro .
Si è infatti più volte stabilito che anche ai fini dell’imposta di registro (art.28 -ndr. T.U. registro -) ciò che rileva nel discrimine tra imposizione in misura fissa e proporzionale (salva l’ipotesi, qui non ricorrente, di clausola risolutiva espressa insita nel contratto ovvero risultante da atto stipulato entro il secondo giorno non festivo successivo) è la individuazione nell’accordo risolutorio di un “nuovo passaggio di ricchezza correlato agli effetti ripristinatori e restitutori del mutuo dissenso” (Cass. n. 24506/18; 12015/20). In linea con questo indirizzo, si è inoltre evidenziato come, nel caso di mutuo dissenso, il venir meno degli effetti del contratto precedente non derivi dal sopravvenire di un ‘vizio di funzionamento’ del rapporto contrattuale, bensì dalla concorde volontà RAGIONE_SOCIALE parti autonomamente manifestata, con il risultato che il mutuo dissenso “è un nuovo contratto, con contenuto eguale e contrario a quello originario”, per gli effetti ex art.28 cit. (Cass. n. 5745/18; così Cass. n. 15403/17, Cass. n. 4134/15 ed altre).
In questo nuovo contratto risolutorio e nei suoi effetti giuridici (aventi nella specie natura retro-traslativa di un diritto reale) va pertanto individuata un’autonoma espressione di capacità contributiva, come tale tassabile in base alla tariffa propria di tutti i contratti produttivi di tali effetti.
Né rileva che alla retrocessione del bene le parti possano attribuire efficacia ex tunc , dovendosi sempre fare salvi, sul piano civilistico, gli eventuali diritti dei terzi aventi causa e dei creditori che abbiano medio tempore compiuto atti di esecuzione sul bene (Cass. n. 5745/18, n.15403/17 cit.).
E neppure rileva, infine, che nell’accordo in questione non fosse previsto alcun corrispettivo per la retrocessione risolutoria, dal momento che l’imposta proporzionale colpisce, come detto, la ricchezza trasferita anche indipendentemente dalla pattuizione di un’ulteriore prestazione corrispettiva del ri-trasferimento; non potendosi limitare la prestazione di retrocessione al (solo) corrispettivo eventualmente pattuito a questo specifico titolo» (così Cass., Sez. T, 28 settembre 2021, n. 26212 e, nello stesso senso, Cass., Sez. T., 21 giugno 202, n. 17631).
9.4. Ciò posto, va osservato che, nel caso in esame, la risoluzione per mutuo dissenso RAGIONE_SOCIALE originarie donazioni ha comportato la retrocessione della proprietà dei beni immobili ivi considerati, e come tale, vale a dire come atto di ritrasferimento, l’imposta è stata correttamente rettificata dall’Ufficio ai sensi dell’art. 34 d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346.
Va solo aggiunto sul punto che non ha fondamento il rilievo della difesa dei ricorrenti secondo cui mancherebbe il requisito essenziale dell’ animus donandi , operando, sul punto, ai sensi dell’art. 26 T.U. registro, la presunzione relativa di liberalità, non superata dai contribuenti.
Nelle riflessioni che precedono, volte a rappresentare nell’atto del 2014 un nuovo contratto, restano assorbiti il secondo ed il quarto motivo di ricorso principale (basati sulla dedotta violazione dell’art. 28 T.U. registro e sul difetto di competenza dell’Ufficio di Venezia).
Sia la quinta che la sesta ragione di contestazione del ricorso principale vanno esaminati congiuntamente, peraltro unitamente anche all’unico motivo del ricorso incidentale, attenendo le prime due censure all’omessa pronuncia sui motivi di appello concernenti la base imponibile sui cui è stata calcolata l’imposta di donazione, così come con il ricorso incidentale è stata sottoposta a critica il valore del bene che il Giudice di appello ha ritenuto di dover sottoporre a tassazione.
La soluzione dei motivi di doglianza in rassegna deriva dalle considerazioni sopra svolte al § 9.
11.1. Nello specifico, iniziando per esigenze di ordine logico-giuridico ad esaminare il ricorso incidentale, va osservato che la riqualificazione dell’atto tassato come nuovo contratto di donazione, integrante un nuovo trasferimento della proprietà al precedente proprietario, comporta che il valore da porre a base dell’imposizione è quello del bene nella sua oggettiva consistenza al momento dell’atto di retrocessione, dovendo quindi commisurarsi al valore del bene attribuito, secondo la regola di cui all’art. 34 d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346.
In tale direzione, il ricorso incidentale risulta fondato, avendo invece il Giudice regionale parametrato la base imponibile al netto del valore dei beni donati negli anni 2004/2005, così sottoponendo a tassazione solo l’inconferente incremento di valore di cui il complesso immobiliare ha beneficiato nel periodo intercorso tra le prime donazioni e l’ultima, che come correttamente osservato dalla difesa dei ricorrenti -costituisce un valore che non è normativamente contemplato come base imponibile.
11.2. Non risulta, invece, fondato il quinto motivo del ricorso principale, giacchè l’imposizione sul predetto incremento di valore del plesso immobiliare ha costituito un errore del Giudice dell’appello e non anche dell’avviso di rettifica impugnato, che ha tassato il bene nel suo complessivo valore trasferito.
11.3. Coglie però nel segno, da ultimo, il sesto motivo di impugnazione principale, con il quale i contribuenti hanno lamentato l’omessa pronuncia sul quinto motivo di appello, interamente riprodotto nel ricorso (v. pagine
nn. 20/22), concernente la «erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui non ha rilevato la «illegittimità dell’atto impugnato per violazione ed errata applicazione del combinato disposto degli artt. 34 del DL.gs. 346 del 1990 e 51 TUR. Difetto di prova» (v. pagina n. 20 del ricorso), il tutto come diffusamente sviluppato nel motivo, con il quale è stata contestata la stima dell’ufficio tecnico, basata solo su sopralluogo esterno, tramite il supporto di una consulenza tecnica di parte, ponendo a revisione critica sia la consistenza dei beni che il metodo di stima.
Su tale motivo di gravame non vi è stata da parte del Giudice del gravame alcuna pronuncia, nemmeno implicita, giacchè la sibillina affermazione della Commissione secondo cui «si rende necessario che l’Ufficio determini il valore dell’atto tenendo conto di quanto realizzato dopo le donazioni 2004/2005 e escludendo il valore del compendio originario che viene restituito ‘ex tunc’», non precisa se la determinazione debba avvenire con i parametri già indicati e se essi resistano alle critiche mosse dagli appellanti, per cui la mera necessità di rideterminare i valore non si pone in termini logicamente incompatibili con i rilievi critici mossi dai contribuenti, il che vale confermare l’assenza di statuizione sullo specifico e diffuso, non altrimenti superabile, motivo di appello.
Alla stregua RAGIONE_SOCIALE valutazioni che precedono il ricorso principale va, dunque, accolto nel suo sesto motivo, così come va accolto il ricorso incidentale.
La sentenza impugnata va, pertanto, cassata ed occorrendo accertamenti in fatto sulla determinazione del valore dei beni oggetto dell’atto del 1° ottobre 2014, la causa va rimessa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto, in diversa composizione, anche per regolare le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
la Corte accoglie il sesto motivo di ricorso principale ed il ricorso incidentale, rigetta il primo, il terzo ed il quinto motivo di ricorso principale e dichiara assorbiti il secondo ed il quarto motivo dello stesso ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di giustizia
tributaria di secondo grado del Veneto, in diversa composizione, anche per regolare le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 13 febbraio 2024.