Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14926 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14926 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3362/2021 R.G., proposto DA
COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, in qualità di eredi legittimi del defunto COGNOME NOME, tutti rappresentati e difesi dall’Avv. NOME COGNOME con studio in Roma, ove elettivamente domiciliati (indirizzo pec per comunicazioni e notifiche del presente procedimento: EMAIL, giusta procura in calce al ricorso introduttivo del presente procedimento;
RICORRENTI
CONTRO
Comune di Cagliari, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME con studio in Cagliari (presso gli Uffici dell’Avvocatura Comunale), elettivamente domiciliato presso l’Avv. NOME COGNOME con studio in Roma (indirizzo p.e.c. per comunicazioni e notifiche del presente procedimento: EMAIL, giusta procura in calce al controricorso di costituzione nel presente procedimento;
ICI IMU ACCERTAMENTO VALORE DI AREE EDIFICABILI
CONTRORICORRENTE
avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale per la Sardegna il 25 giugno 2020, n. 261/05/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 30 aprile 2025 dal Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME in qualità di eredi legittimi del defunto NOME COGNOME, hanno proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale per la Sardegna il 25 giugno 2020, n. 261/05/2020 che, in controversia su impugnazione di avviso di accertamento n. 09L/7560 del 9 novembre 2014 da parte del Comune di Cagliari per l’omesso versamento dell’ICI relativa all’anno 2009 nella misura di € 1.778,00 in relazione a fabbricati ed aree fabbricabili, tra cui anche un fabbricato rurale in categoria A/5, che sarebbe stato soggetto ad imposta con l’area di sedime (considerata edificabile), ha parzialmente accolto l’appello proposto dai medesimi nei confronti del Comune di Cagliari avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria provinciale di Cagliari il 10 luglio 2017, n. 736/01/2017, con condanna alla rifusione delle spese giudiziali.
Il giudice di appello ha parzialmente riformato la decisione di prime cure – che aveva parzialmente accolto il ricorso originario del defunto contribuente nel senso di ridurre l’imposta dovuta per l’anno di riferimento nella misura di € 942,86 -con riguardo alla trasmissibilità delle sanzioni amministrative agli eredi legittimi.
Il Comune di Cagliari ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO CHE:
Il ricorso è affidato a tre motivi.
Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 5 del d.lgs. 30 dicembre 1997, n. 504, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di appello che l’atto impositivo fosse munito di idonea motivazione con riguardo a ciascun immobile, senza tener conto che l’area di sedime del fabbricato rurale (per il quale l’imposta era stata autoliqu idata in base alla rendita) non poteva essere separatamente tassata come area edificabile.
2.1 Il predetto motivo è inammissibile.
2.2 Dalla esposizione delle vicende processuali nella sentenza impugnata, non risulta che il contribuente avesse censurato ab origine l’avviso di accertamento in relazione all’indebito computo del valore dell’area di sedime in aggiunta al valore del fabbricato rurale insistente sulla stessa. Anzi, gli stessi ricorrenti hanno dato atto che tale doglianza era stata specificamente dedotta soltanto con le memorie depositate nel corso del giudizio di prime cure (pagina 3 del ricorso).
2.3 In proposito, si rammenta che, nel processo tributario, caratterizzato dall’introduzione della domanda nella forma dell’impugnazione dell’atto fiscale, l’indagine sul rapporto sostanziale è limitata ai motivi di contestazione dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa dell’amministrazione finanziaria che il contribuente deve specificamente dedurre nel ricorso introduttivo di primo grado; ne consegue che il giudice deve attenersi all’esame dei vizi di invalidità dedotti in ricorso, il cui ambito può essere modificato solo con la presentazione di motivi aggiunti, ammissibile, ex art. 24 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, esclusivamente in caso di « deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine
della commissione » (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 2 luglio 2014, n. 15051; Cass., Sez. 6^-5, 13 aprile 2017, n. 9637; Cass., Sez. 5^, 18 febbraio 2020, n. 4082; Cass., Sez. 5^, 13 aprile 2023, n. 9832; Cass., Sez. 5^, 5 settembre 2024, n. 23856). Ipotesi, quest’ultima, che certamente non ricorre nel caso in disamina.
2.4 Inoltre, va aggiunto che, nel giudizio tributario, è inammissibile la deduzione, nella memoria ex art. 32 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, di un nuovo motivo di illegittimità dell’avviso di accertamento, in quanto il contenzioso tributario ha un oggetto rigidamente delimitato dai motivi di impugnazione avverso l’atto impositivo dedotti col ricorso introduttivo, i quali costituiscono la causa petendi entro i cui confini si chiede l’annullamento dell’atto e la cui formulazione soggiace alla preclusione stabilita dall’art. 24, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (Cass., Sez. 5^, 24 ottobre 2014, n. 22662; Cass., Sez. 5^, 24 luglio 2018, n. 19616; Cass., Sez. 5^, 19 novembre 2020, n. 26313; Cass., Sez. 6^5, 24 maggio 2021, n. 14206; Cass., Sez. Trib., 18 novembre 2022, n. 34013; Cass., Sez. Trib., 13 aprile 2023, n. 9832; Cass., Sez. Trib., 11 dicembre 2024, n. 31970; Cass., Sez. Trib., 2 maggio 2025, n. 11534).
Ne consegue che, in tema di contenzioso tributario, è inammissibile il motivo del ricorso per cassazione con cui si denunci un vizio dell’atto impugnato diverso da quelli originariamente allegati (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 9 novembre 2015, n. 22810; Cass., Sez. 5^, 23 settembre 2020, n. 19929; Cass., Sez. Trib., 16 gennaio 2023, n. 1078; Cass., Sez. Trib., 23 maggio 2024, n. 14392). Ciò in quanto il giudizio tributario è caratterizzato da un meccanismo di instaurazione di tipo impugnatorio circoscritto alla verifica della legittimità
della pretesa effettivamente avanzata con l’atto impugnato alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso indicati, e avente un oggetto rigidamente delimitato dalle contestazioni mosse dal contribuente con i motivi specificamente dedotti nel ricorso introduttivo di primo grado.
Con il secondo motivo, si denuncia v iolazione dell’art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241 ( recte : 27 luglio 2000, n. 212, come si evince dall’illustrazione del motivo), in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di appello che l’atto impositivo fosse adeguatamente motivato in ordine ai presupposti di fatto e alle ragioni di diritto del tributo dovuto.
3.1 Il predetto motivo è inammissibile e, comunque, infondato.
3.2 Anzitutto, il mezzo è assolutamente carente di autosufficienza.
Secondo l’orientamento costante di questa Corte, nel giudizio tributario, in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 cod. proc. civ., qualora il ricorrente censuri la sentenza di un giudice tributario sotto il profilo della congruità del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso ne riporti testualmente i passi che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi, al fine di consentirne la verifica esclusivamente in base al ricorso medesimo, essendo il predetto avviso non un atto processuale, bensì amministrativo, la cui legittimità è necessariamente integrata dalla motivazione dei presupposti di fatto e dalle ragioni giuridiche poste a suo fondamento (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 13 agosto 2004, n. 15867; Cass., Sez. 5^, 4 aprile 2013, n. 8312; Cass., Sez. 5^, 19 aprile 2013, n. 9536; Cass., Sez. 5^, 28 giugno 2017, n. 16147; Cass., Sez. 5^, 13 aprile
2021, n. 9630; Cass., Sez. 5^, 8 luglio 2021, n. 19395; Cass., Sez. 6^-5, 8 settembre 2021, n. 24247; Cass., Sez. 6^-5, 27 ottobre 2021, n. 30215; Cass., Sez. 5^, 4 gennaio 2022, n. 29; Cass., Sez. 5^, 11 agosto 2023, n. 24547; Cass., Sez. 5^, 12 marzo 2024, n. 6501; Cass., Sez. Trib., 9 marzo 2025, n. 6259).
Nel caso di specie, in mancanza di trascrizione integrale dell’impugnato avviso di accertamento nel corpo del ricorso, non bastando la eventuale riproduzione di stralci sparsi ed isolati nell’illustrazione complessiva del motivo, che non consentono la ricostruzione dei passaggi rilevanti, non è concessa a questa Corte la possibilità di verificare la corrispondenza del contenuto dell’atto impositivo rispetto a quanto asserito dal contribuente; ciò comporta il radicale impedimento di ogni attività nomofilattica, la quale presuppone, appunto, la certa conoscenza del tenore dell’atto impositivo.
3.3 Ad ogni modo, la doglianza deve essere disattesa.
La sentenza impugnata ha accertato che: « Ebbene, nel caso di specie, sono stati riportati in una scheda allegata, suddivisa per ciascun immobile, il codice e gli estremi catastali, l’ubicazione, la percentuale e i mesi di possesso, il valore e l’aliquota applicata, eventuali detrazioni e quindi, come risultato di operazione di calcolo matematico, l’imposta dovuta. L’accertamento appare quindi sufficientemente motivato, emergendo con chiarezza che l’imposta versata fosse inferiore al dovuto, imponendosi così la rettifica sulla base di quel calcolo citato, che rende l’accertamento legittimo e consente (ed in concreto ha consentito) l’esercizio del diritto di comprensione e quindi di difesa del contribuente ».
Siffatta motivazione è in piena sintonia con la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l’obbligo motivazionale dell’avviso di accertamento in materia di ICI (ma le stesse argomentazioni possono valere anche per l’IMU) deve ritenersi adempiuto tutte le volte in cui il contribuente sia stato posto in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestare l’ an e il quantum dell’imposta; in particolare, il requisito motivazionale esige, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l’indicazione dei fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ente impositore nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando, poi, affidate al giudizio di impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 8 novembre 2017, n. 26431; Cass., Sez. 5^, 26 gennaio 2021, n. 1569; Cass., Sez. 6^-5, 3 febbraio 2021, n. 2348; Cass., Sez. 5^, 11 giugno 2021, n. 16681; Cass., Sez. 5^, 24 agosto 2021, n. 23386; Cass., Sez. Trib., 18 novembre 2022, n. 34014; Cass., Sez. Trib., 17 ottobre 2023, n. 28758; Cass., Sez. Trib., 31 gennaio 2024, n. 2929; Cass., Sez. Trib., 12 marzo 2024, n. 6501; Cass., Sez. Trib., 4 gennaio 2025, n. 121).
Pertanto, l’indicazione attraverso un prospetto analitico e riassuntivo dell’identificazione catastale, della superficie rilevante, del periodo temporale, del valore imponibile, dell’aliquota applicabile e dell’imposta liquidata per ciascun immobile (come è avvenuto nel caso di specie) è sufficiente ad assicurare la complete zza motivazionale dell’avviso di accertamento in ossequio ai parametri dell’art. 7 della legge 27
luglio 2000, n. 212 (in termini: Cass., Sez. Trib., 4 gennaio 2025, n. 121; Cass., Sez. Trib., 9 marzo 2025, n. 6259).
Con il terzo motivo, si denuncia v iolazione dell’art. 91 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., per essere stata erroneamente pronunciata dal giudice di appello la condanna degli appellanti alla rifusione delle spese giudiziali in favore dell’appellato, nonostante la costituzione di quest’ultimo a mezzo di proprio funzionario, senza l’assistenza di un difensore.
4.1 Il predetto motivo è infondato.
4.2 È inconferente il richiamo alla costituzione dell’ente impositore a mezzo di un proprio funzionario, giacché l’opzione per la difesa ‘ domestica ‘ ex art. 11, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, non esclude che la soccombenza del contribuente ne giustifichi la condanna alla rifusione delle spese giudiziali, potendo al più incidere sulla misura dei compensi liquidabili ex art. 15, comma 2sexies , del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (nel testo novellato dall’art. 9, comma 1, lett. f), n. 2), del d.lgs. 24 settembre 2015, n. 156), essendo pacifico che, nel processo tributario, alla parte pubblica assistita in giudizio da propri funzionari o da propri dipendenti, in caso di vittoria della lite spetta la liquidazione delle spese, la quale deve essere effettuata mediante applicazione della tariffa ovvero dei parametri vigenti per gli avvocati, con la riduzione del venti per cento dei compensi ad essi spettanti, atteso che l’espresso riferimento ai compensi per l’attività difensiva svolta, contenuto nell’art. 15, comma 2bis , del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, conferma il diritto dell’ente alla rifusione dei costi sostenuti e dei compensi per l’assistenza tecnica fornita dai propri dipendenti, che sono legittimati a svolgere attività difensiva nel processo (tra le tante: Cass.,
Sez. 5^, 17 settembre 2019, n. 23055; Cass., Sez. 5^, 11 ottobre 2021, n. 27634; Cass., Sez. 5^, 1 giugno 2022, n. 17816; Cass., Sez. Trib., 24 ottobre 2023, n. 29439; Cass., Sez. Trib., 19 dicembre 2024, n. 33306; Cass., Sez. Trib., 27 marzo 2025, n. 8133).
Né il mezzo ha ulteriormente censurato il quantum della liquidazione dei compensi.
In definitiva, alla stregua delle suesposte argomentazioni, valutandosi l’ inammissibilità e l’infondatezza dei motivi dedotti, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese giudiziali seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo.
Ai sensi dell’ art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti, in solido tra loro, alla rifusione delle spese giudiziali in favore del controricorrente, liquidandole nella misura di € 200,00 per esborsi e di € 500,00 per compensi, oltre a rimborso forfettario nella misura del 15% sui compensi e ad altri accessori di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso a Roma nella camera di consiglio del 30 aprile 2025.