Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22997 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22997 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24444/2016 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
Avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della CAMPANIA SEZ.DIST. SALERNO n. 2810/2016 depositata il 23/03/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/06/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Commissione tributaria regionale della Campania, sez. dist. Salerno ( hinc: CTR), con la sentenza n. 2810/2016 depositata in data 23/03/2016, ha rigettato l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE contro la sentenza n. 107/2013, con cui la Commissione tributaria provinciale di Avellino aveva, a sua volta, respinto il ricorso contro l’avv iso di accertamento con il quale erano state eseguite riprese a titolo di IRES, IVA e IRAP per l’anno d’imposta 2007.
La CTR, con riferimento alle censure inerenti al difetto di delega in capo a chi ha sottoscritto l’avviso di accertamento impugnato, ha ritenuto che nel caso di specie l’Agenzia delle Entrate avesse prodotto in giudizio la prova documentale con cui il Direttore Provinciale, in data 13/01/2012, aveva conferito temporaneamente le funzioni alla dr.ssa COGNOMEfirmataria dell’atto impugnato), essendo impedito per i giorni 17/01/2012 e 18/01/2012, per la partecipazione a un corso di formazione. La delega di funzioni era stata quindi provata, essendo pienamente valido ed efficace l’atto sottoscritto dal facente funzioni.
2.1. Nel merito la CTR ha ritenuto privi di pregio i rilievi mossi in relazione al verbale di contestazione (in ordine alla sede asseritamente diversa di talune società o ai pagamenti con rimessa a vista), trattandosi di circostanze irrilevanti rispetto alla natura dell’accertam ento inerente alla presentazione di dichiarazione
infedele per l’indicazione di un reddito imponibile inferiore a quello accertato, alla tenuta della contabilità non conforme alle prescrizioni di legge, alla mancata o tardiva emissione di fatture, alla minor IVA dichiarata ed altro.
Contro la sentenza della CTR la contribuente ha proposto ricorso in cassazione con tre motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
…
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è stata denunciata la nullità della sentenza impugnata per la mancanza assoluta dei requisiti essenziali e omessa pronuncia su un motivo d’appello (violazione dell’art. 36 d.lgs. n. 546 del 1992, dell’art. 112 cod. proc. civ. e dell’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.)
1.1. La parte ricorrente evidenzia che le questioni di cui avrebbe dovuto occuparsi la CTR sono due: la censura relativa alla mancanza di sottoscrizione dell’avviso di accertamento da parte del direttore dell’ufficio e l’infondatezza dei rilievi sollevati nel verbale di constatazione, recepiti nell’avviso di accertamento. La CTR, di fatto, si è occupata solamente della prima questione, limitandosi a rilevare, quanto alla seconda, che: « Nel merito del tutto privi di pregio ed assolutamente generici appaiono i rilievi sollevati nell’atto di appello avverso le contestazioni mosse nel verbale di constatazione (in ordine alla asserita diversa sede di talune società o ai pagamenti con rimessa a vista), tutte circostanze irrilevanti rispetto alla natura dell’accert amento inerente la presentazione di dichiarazione infedele per l’indicazione di un reddito imponibile inferiore a quello accertato, alla tenuta della contabilità non conforme alle prescrizioni di legge, alla mancata o tardiva emissione di fatture, alla minor Iva dichiarata.»
1.2. La ricorrente ha quindi rilevato il contrasto della sentenza impugnata con gli artt. 36, comma 2, n. 4) e 5), d.lgs. n. 546 del 1992, 132, comma 2, n. 4) e 5), cod. proc. civ. e 118 d. att. cod. proc. civ. (applicabile in base al rinvio ex art. 1, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992). Ha evidenziato, in particolare, che l’oggetto del contendere è la contestazione sollevata con PVC del 16/06/2010 relativa all’uso da parte della RAGIONE_SOCIALE di fatture per operazioni inesistenti per Euro 392.169,30 dalla RAGIONE_SOCIALE e per Euro 259.658,10 emesse dalla RAGIONE_SOCIALE, nonché per Euro 71.000 dalla RAGIONE_SOCIALE Rispetto a tali contestazioni la ricorrente RAGIONE_SOCIALE aveva analiticamente contrastato i rilievi della Guardia di Finanza nelle pag. da 3 a 7 del ricorso e, poi, in sede di appello. Tali difese sono state, tuttavia, superate, rilevando che i rilievi della contribuente erano del tutto privi di pregio e assolutamente generici. Così come è stata censurata l’affermazione secondo cui i ri lievi sollevati nell’atto di appello sono irrilevanti rispetto alla natura dell’accertamento inerente alla presentazione di dichiarazione infedele per l’indicazione di un reddito imponibile inferiore a quello accertato, alla tenuta della contabilità non conforme alle prescrizioni di legge, alla mancata o tardiva emissione di fatture, alla minor IVA dichiarata. Peraltro, l’Agenzia delle Entrate ha contestato fatture per operazioni inesistenti sulla base di alcune circostanze etichettate dal giudice penale come mere suggestioni prive di riscontro, come risulta dalla sentenza di assoluzione pronunciata dal Tribunale di Avellino e prodotta davanti alla CTR.
1.3. Il motivo di ricorso è infondato: nella specie la motivazione della sentenza -per quanto sintetica – fa riferimento alle censure svolte dal ricorrente riferendole all’asserita diversa sede di talune società e ai pagamenti con rimessa a vista. Rileva, poi, che tali circostanze siano irrilevanti in relazione alla natura dell’accertamento
inerente alla presentazione di dichiarazione infedele per l’indicazione di un reddito imponibile inferiore a quello accertato, alla tenuta della contabilità non conforme alle prescrizioni di legge, alla mancata o tardiva emissione di fatture, alla minor IVA dichiarata ecc.
Con il secondo motivo di ricorso è stata denunciata la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 39 d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
2.1. La ricorrente rileva di aver già esposto, sia in sede di atto introduttivo che di atto d’appello, che l’avviso di accertamento è carente sotto il profilo della prova di cui sarebbe onerata l’amministrazione finanziaria, in virtù di quanto previsto dall’art. 2697 cod. civ. e dall’art. 39 d.P.R. n. 600 del 1973. Il PVC ha contestato, infatti, una serie di irregolarità (prevalentemente l’uso di fatture false) senza il benché minimo supporto probatorio, neanche di carattere presuntivo, come rilevato dal giudice penale, che ha assolto l’amministratore per non aver commesso il fatto. A tal fine rileva che sono stati contestati Euro 392.169,30 di fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE e considerate cartolari solo perché tra i soci delle due società esisteva un ra pporto parentale e con l’ulteriore motivazione che la RAGIONE_SOCIALE avrebbe avuto sede ad Avellino presso lo studio di un commercialista, senza avere una sede operativa e i pagamenti sarebbero avvenuto mediante rimessa diretta a vista. Sebbene la società contribuente abbia spiegato, a pag. 4 del ricorso e a pag. 6 dell’appello , di aver avuto, oltre alla sede legale anche una sede operativa in Napoli, INDIRIZZO (circostanza nota ai verbalizzanti, in quanto indicata a pag. 3 del PVC) e che per rimessa diretta a vista di intendevano non pagamenti in contanti fatti con assegni e risultanti dagli estratti conto bancari,
la sentenza di appello ha totalmente omesso di pronunciarsi sulla palese violazione delle norme che regolano la prova.
Lo stesso vale per le fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE e considerate inesistenti senza alcuna prova sostanziale, se non equivoci irrilevanti sulla sede operativa della società che sono stati smontati a pag. 5 del ricorso introduttivo e a pag. 8 dell’atto di appello. È addirittura paradossale il recupero a tassazione degli importi di cui alle fatture n. 165 e 429 emesse dalla RAGIONE_SOCIALE e considerate inesistenti solo perché non rinvenute al momento della verifica.
2.2. Il motivo è inammissibile, in quanto la censura di legge sottende una richiesta di rivalutazione dei fatti. È infatti consolidato l’orientamento di questa Corte, secondo cui, c on la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass., 07/04/2017, n. 9097).
Con il terzo motivo di ricorso è stata denunciata la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 4 del Protocollo CEDU, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
3.1. La ricorrente evidenzia come la sentenza impugnata contrasti con la sentenza del Tribunale di Avellino che ha assolto l’imputata sig. NOME COGNOME per i reati di cui agli artt. 2 e 8 d.lgs. n. 74 del 2000, poiché sulla qualità di rappresentante legale della società RAGIONE_SOCIALE avrebbe usato ed emesso fatture per operazioni inesistenti, ritenendo che la ricostruzione dei rapporti commerciali tenuti dalla società in termini di fittizietà è il frutto di mere suggestioni prive di riscontro e di addentellati pratici.
3.2. Il motivo è infondato perché la sentenza n. 2486/2015 emessa dal Tribunale di Avellino, non reca alcuna attestazione inerente al suo passaggio in giudicato. L’art. 4, par. 1, Protocollo 7 della CEDU prevede, infatti, che: « Nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato .» Per quanto il tenore letterale della norma (nel far riferimento alla sentenza definitiva) non lasci adito a dubbi, la stessa Corte EDU (sentenza 04/03/1014, COGNOME RAGIONE_SOCIALE altri c. Italia, § 220) ha precisato che: « La garanzia sancita all’articolo 4 del Protocollo n. 7 entra in gioco quando viene avviato un nuovo procedimento e la precedente decisione di assoluzione o di condanna è già passata in giudicato. »
3.3. Peraltro, la Corte EDU (sentenza 15/11/2016, A. e B. contro Norvegia, §§ 122 e 123) ha precisato anche che: « Nelle questioni in cui entra in gioco l’articolo 4 del Protocollo n. 7, la Corte ha come obiettivo quello di determinare se la misura nazionale specifica denunciata costituisce, nella propria sostanza o nei propri effetti, una doppia incriminazione che pregiudica il responsabile o se, al contrario, è il frutto di un sistema integrato che permette di reprimere un misfatto da differenti punti di vista, in modo prevedibile
e proporzionato, formando un insieme coerente, in modo da non causare nessuna ingiustizia all’interessato. Non può essere considerato un effetto dell’articolo 4 del Protocollo n.7 il fatto che negli Stati contraenti si proibisca l’organizzazione dei propri sistemi legali in modo da permettere l’aumento ad un tasso fisso delle imposte non pagate in maniera illegale (quand’anche una misura del genere fosse classificata come ‘penale’ per il bisogno di garanzia d’equità del processo, prevista dalla Convenzione), anche nei casi più gravi in cui sarebbe stato appropriato perseguire l’autore dell’offesa perché un elemento non inserito nella procedura ‘amministrativa’ della riscossione delle imposte (per esempio una condotta fraudolenta) si aggiunge al difetto di pagamento. » (sul punto v. anche Cass. pen. 22/09/2017, n. 6993; Cass., pen. 15/04/2021, n. 31507).
Alla luce di quanto sin qui evidenziato il ricorso è infondato e deve essere rigettato, con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente.
…
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo un ificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 26/06/2025.