Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 23698 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 23698 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29142/2016 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avv. COGNOME (CODICE_FISCALE (EMAIL) -ricorrente- contro
AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE II DI MILANO UFFICIO LEGALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende -controricorrente- avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA LOMBARDIA n. 2984/2016 depositata il 18/05/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/06/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Commissione tributaria regionale della Lombardia ( hinc: CTR), con la sentenza n. 2984/2016 depositata in data 18 maggio 2016, ha respinto l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione ( hinc: RAGIONE_SOCIALE oppure la società contribuente) contro la sentenza n. 3604/2105, con la quale la Commissione tributaria provinciale di Milano ( hinc: CTP) aveva respinto i ricorsi proposti contro gli avvisi di accertamento con i quali l’amministrazione finanziaria aveva contestato l’uso di fatture per operazion i inesistenti e ripreso a tassazione gli importi a titolo di IRES, IRAP e IVA.
La CTR -dato atto , ai sensi dell’art. 53 d.lgs. n. 546 del 1992, che il contribuente aveva appellato la sentenza di primo grado, reiterando nell’atto di appello le medesime eccezioni e argomentazioni proposte già avanzate con il ricorso introduttivo, senza aggiungere alcunché e fare riferimento alle motivazioni spese nella sentenza impugnata – ha condiviso le conclusioni del giudice di primo grado che aveva, a sua volta, recepito le argomentazioni dell’ufficio, evidenziando che non sussiste va la violazi one dell’art. 8, comma 2, d.l. n. 16 del 2012, dal momento che l’ufficio aveva tenuto conto che la disposizione prevede che, ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi, non concorrono i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi, come risultanti da fatture non effettivamente scambiate entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle spese aventi analogo rilievo probatorio, attestanti operazioni oggettivamente inesistenti.
Contro la sentenza della CTR la società contribuente ha proposto ricorso in cassazione con tre motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
…
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è stata denunciata la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 53 d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
1.1. La ricorrente rileva di aver censurato la sentenza del giudice di prime cure, poiché frutto di un acritico recepimento delle affermazioni dell’amministrazione finanziaria: con riferimento al primo motivo di ricorso la CTR si era limitata a riproporre il testo dell’art. 8, comma 2, d.l. n. 16 del 2012, mentre con il secondo motivo -in relazione al divieto di doppia imposizione -era stato fatto riferimento alle affermazioni svolte dall’amministrazione finanziaria negli avvisi di accertamento, senza nulla aggiungere. Di conseguenza, la società contribuente aveva correttamente lamentato con specifici motivi, la nullità della sentenza di primo grado per motivazione apparente.
1.2. Il motivo di ricorso è inammissibile per carenza di interesse: sebbene la questione inerente all’applicazione dell’art. 53 d.lgs. n. 546 del 1992 avesse rilievo preliminare, dalla lettura della sentenza emerge che il giudice di seconde cure si è limitato a una mera affermazione generica che non assume niente più che la consistenza di un obiter, senza assurgere a ratio decidendi della sentenza impugnata, dovendosi ricondurre quest’ultima all’esame della questione inerente alla violazione dell’art. 8, c omma 2, d.l. n. 16 del 2012.
1.3. È pertanto sufficiente la correzione della sentenza impugnata, richiamando l’orientamento di questa Corte, secondo il quale, nel processo tributario, l’indicazione dei motivi specifici dell’impugnazione, richiesta dall’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992,
non deve necessariamente consistere in una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell’appello, richiedendosi, invece, soltanto una esposizione chiara ed univoca, anche se sommaria, sia della domanda rivolta al giudice del gravame, sia delle ragioni della doglianza. È pertanto irrilevante che i motivi siano enunciati nella parte espositiva dell’atto ovvero separatamente, atteso che, non essendo imposti dalla norma rigidi formalismi, gli elementi idonei a rendere “specifici” i motivi d’appello possono essere ricavati, anche per implicito, purché in maniera univoca, dall’intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusioni (Cass., 21/11/2019, n. 30341).
Con il secondo motivo è stata denunciata , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 36, comma 2, n. 2, 3 e 4, d.lgs. n. 546 del 19092 e dell’art. 8, comma 2, d.l. n. 16 del 2012, dell’art. 2697 c.c. -illegittimità del rilievo n. 1 ai fini IRES e IRAP.
2.1. La ricorrente censura la sentenza impugnata per aver reiterato le violazioni già commesse dalla CTP, recependo acriticamente le affermazioni del giudice di prime cure e dell’amministrazione finanziaria, con la conseguente falsa applicazione dell’art. 8, comma 2, d.l. n. 16 del 2012. Rileva che il giudice di seconde cure si è limitato a rinviare per relationem alla sentenza della CTP, riproducendo niente più che il testo dell’art. 8, comma 2, cit.
2.2. In particolare, negli avvisi di accertamento l’amministrazione finanziaria contesta l’uso di fatture false per un ammontare pari a Euro 4.970.628,28 per il 2010 e ad Euro 6.431.506,22 per il 2011, recuperando a tassazione l’importo di Euro 1.242.777,6 8 per l’anno 2010 ed Euro 1.385.856 per l’anno 2011,
derivante dalla differenza tra tali costi fittizi ed i ricavi ex adverso considerati ad essi afferenti (Euro 3.727.850,6 per il 2010 ed Euro 5.072.650,22 per il 2011), ai sensi dell’art. 8, comma 2, d.l. n. 16 del 2012. Tale disposizione non introduce alcuna deroga sostanziale agli ordinari criteri di determinazione analitica del reddito, ma è volta ad evitare che, in sede di verifica fiscale, siano contestati redditi che risultino non realmente conseguiti. Di conseguenza, quando viene contestato l’uso di f atture oggettivamente inesistenti -quindi attestanti costi fittizi -non può applicarsi la tassazione, ai fini IRES e IRAP, dei ricavi dichiarati connessi alla vendita fittizia ovvero simulata per aver corrispondenza con l’acquisto fittizio.
2.3. Su tale questione la CTR non si è espressa, limitandosi a richiamare la norma usata dall’amministrazione finanziaria, senza alcuna disamina effettiva della questione giuridica sollevata.
2.4. Il motivo è fondato, perché nel caso di specie la CTR si limita, da un lato, ad affermare la condivisibilità della decisione impugnata e, dall’altro lato, a riprodurre il testo dell’art. 8, comma 2, d.l. n. 16 del 2012, senza dire, concretamente perché la norma sia stata correttamente applicata dall’amministrazione finanziaria.
Secondo questa Corte, infatti, in tema di contenzioso tributario, la sentenza di appello è nulla per difetto di motivazione, ai sensi degli artt. 36 e 61 del d.lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., se è completamente priva dell’illustrazione delle censure sollevate dall’appellante rispetto alla decisione di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto la Commissione a disattenderle, limitandosi a richiamare per relationem la sentenza impugnata mediante la mera adesione ad essa, così da impedire l’individuazione del thema decidendum e delle ragioni poste a fondamento della decisione (Cass., 11/04/2024, n. 9830).
È stato altresì precisato che, in tema di processo tributario, è nulla, per violazione degli artt. 36 e 61 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nonché dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., la sentenza della commissione tributaria regionale completamente carente dell’illustrazione delle critiche mosse dall’appellante alla statuizione di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto la commissione a disattenderle e che si sia limitata a motivare per relationem alla sentenza impugnata mediante la mera adesione ad essa, atteso che, in tal modo, resta impossibile l’individuazione del thema decidendum e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo e non può ritenersi che la condivisione della motivazione impugnata sia stata raggiunta attraverso l’esame e la valutazione dell’infondatezza dei motivi di gravame (Cass., 16/12/2013, n. 28113).
Con il terzo motivo è stata denunciata la violazione del divieto di doppia imposizione di cui all’art. 67 d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione al rilievo n. 2, ai fini IRAP, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
3.1. La parte ricorrente rileva che i costi per servizi ripresi a tassazione con il rilievo n. 2, in quanto non iscritti nel conto economico, sono già recuperati a tassazione anche ai fini IRAP, con il rilievo n. 1, in quanto derivanti da operazioni oggettivamente inesistenti. In sostanza, negli atti impositivi è stata accertata l’indeducibilità dal valore della produzione lorda non solo dei costi derivanti da fatture per operazioni oggettivamente inesistenti, ma anche di costi per servizi deducibili, in quanto non esposti nel conto economico, per una presunta violazione del cd. principio di derivazione del reddito dal risultato di bilancio.
La ricorrente rileva che entrambi i rilievi riguardano elementi negativi di reddito che compongono il medesimo e unico conto sottoposto a controllo nelle annualità sub iudice.
3.1. Il motivo è assorbito dall’accoglimento del secondo motivo di ricorso.
Alla luce di quanto sin qui evidenziato deve essere accolto il secondo motivo di ricorso, con il conseguente assorbimento del terzo motivo, mentre il primo motivo deve essere dichiarato inammissibile per carenza di interesse.
La sentenza impugnata deve essere, quindi, cassata con rinvio alla Corte di giustizia di secondo grado della Lombardia che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
…
P.Q.M.
accoglie il secondo motivo di ricorso, con il conseguente assorbimento del terzo motivo e dichiara inammissibile il primo motivo;
cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 27/06/2025.