Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13968 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 13968 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME FILIPPO
Data pubblicazione: 20/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3855/2017 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (C.F. P_IVA), in persona del legale rappresentante pro tempore, COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE), rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO (C.F. CODICE_FISCALE) in virtù di procura in calce al ricorso, elettivamente domiciliati presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO
– ricorrenti –
contro
Oggetto: tributi litisconsorzio necessario – studi di settore -motivazione rafforzata
RAGIONE_SOCIALE (C.F. CODICE_FISCALE), in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, n. 6256/51/16, depositata in data 1° luglio 2016
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 aprile 2024 dal C onsigliere Relatore NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
La società contribuente RAGIONE_SOCIALE , esercente l’attività di lavorazione artis tica del marmo e lavori in mosaico, ha impugnato un avviso di accertamento relativo al periodo di imposta 2008, con cui venivano accertati ricavi e riprese maggiori imposte oltre sanzioni, ciò in applicazione dello strumento di accertamento tramite studi di settore, essendosi ritenuti non congrui i ricavi dichiarati in relazione agli indici dello studio di settore UD04B . Parte contribuente ha contestato l’assenza di pregnanza indiziaria deg li elementi indiziari addotti dall’Ufficio e ha dedotto l’esistenza di specifiche ragioni per le quali i ricavi dichiarati fossero distanti da quelli risultanti dall’applicazione dei parametri degli studi di settore.
La CTP di Caserta, previa integrazione del contraddittorio nei confronti dei soci COGNOME NOME e COGNOME NOME, ha rigettato il ricorso.
La CTR della Campania, con la sentenza qui impugnata, previa declaratoria di irritualità del deposito di memorie da parte della contribuente, ne ha rigettato l’appello. La sentenza impugnata ha ritenuto, innanzitutto, correttamente integrato il contraddittorio nei confronti dei soci e ha ritenuto, nel merito, che gli elementi risultanti dall’applicazione degli studi di settore sono idonei, una volta incardinato il
contraddittorio con il contribuente, a sorreggere la legittimità di un accertamento. La sentenza impugnata ha, poi, ritenuto che le prove offerte da parte contribuente non sono decisive per ritenere giustificato lo scostamento reddituale dichiarato rispetto a quello accertato.
Propongono ricorso per cassazione la società contribuente e i singoli soci, affidato a cinque motivi; resiste con controricorso l’Ufficio .
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. violazione ed errata applicazione degli artt. 32 e 57 d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto inammissibili e irrituali le memorie illustrative nel corso del giudizio di appello. Osserva parte ricorrente che dette memorie, pur contenendo censure nuove, deducevano l’omessa incardinazione del contraddittorio a termini dell’art. 14 d. lgs. n. 546/1992, questione rilevabile di ufficio e, in ogni caso, contenevano deduzioni difensive già contenute nel ricorso introduttivo.
Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione ed errata applicazione degli artt. 14 e 59 d. lgs. n. 546/1992, nonché erroneità della sentenza per omessa rimessione della causa al primo giudice per omessa integrazione del contraddittorio sin dal primo grado. Osserva parte ricorrente che nel caso di specie vengono in esame tre avvisi di accertamento, uno impugnato dalla società per IRAP e IVA, altro per IRPEF e addizionali, relativo al socio COGNOME NOME e altro ancora per IRPEF e addizionali relativo all’altro socio COGNOME NOME, accertamenti la cui impugnazione non è stata trattata congiuntamente all’avviso relativo alla società contribuente. In particolare, il socio COGNOME avrebbe proposto ricorso avverso la medesima CTP di Caserta, impugnando la successiva cartella di pagamento sul presupposto che l’avviso di accertamento non sarebbe mai stato notificato. L’altro socio COGNOME NOME avrebbe, invece,
proposto impugnazione avverso il proprio avviso di accertamento davanti ad altro giudice di merito (CTP Napoli). Detto contraddittorio non sarebbe stato integrato in primo grado, per cui il giudice di appello avrebbe dovuto rimettere la causa davanti al primo giudice. Deduce parte ricorrente che l’assunto secondo cui il contraddittorio sarebbe stato integrato in primo grado, non tiene conto del fatto che il ricorso proposto dal socio COGNOME sarebbe risultato ancora pendente davanti ad altro giudice al momento della proposizione del ricorso in cassazione.
Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ, violazione ed errata applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e dell’art. 36 d. lgs. n. 546/1992, omessa valutazione e pronuncia su un punto decisivo della controversia, nella parte in cui la sentenza impugnata non ha motivato sulla mancata adeguata replica alle deduzioni difensive esposte in sede di contraddittorio endoprocedimentale. Osserva parte contribuente di avere censurato l’accertamento per il fatto che l’Ufficio , pur indicando di avere tenuto conto delle osservazioni dei contribuenti, non avrebbe motivato le ragioni per le quali le ha disattese, questione proposta in primo grado e riproposta in appello su cui la sentenza impugnata non si sarebbe pronunciata.
Con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., violazione ed errata applicazione degli artt. 7 l. 27 luglio 2000, n. 212, 42 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, 3 l. 7 agosto 1990, n. 241, per carenza di motivazione dell’atto impositivo rispetto alle osservazioni mosse da parte contribuente in fase amministrativa, riproponendosi le medesime censure del superiore motivo.
Con il quinto motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., violazione ed errata applicazione degli artt. 39 e 42 d.P.R. n. 600/1973, dell’art. 1, comma 14 -ter l. 27 dicembre 2006, n. 296, nonché violazione del principio della omessa contestazione ex art. 115 cod. proc. civ., per avere l’Ufficio fatto ricorso alla
metodologia induttiva in carenza dei presupposti normativi, nonché per mancata prova della antieconomicità dell’attività imprenditoriale. Osserva parte ricorrente che la sentenza impugnata non avrebbe dato risposta alle deduzioni dei contribuenti, con particolare riguardo alla eccezione di illegittimità della metodologia applicata dall’Ufficio e alla insufficienza dei dati parametrici addotti dall’Ufficio a sostegno dell’accertamento dei maggiori redditi rispetto a quelli dichiarati, deducendo come l’attivi tà non potesse considerarsi antieconomica in ragione delle circostanze addotte nel giudizio di merito, quali il luogo di esercizio dell’attività privo di adeguata viabilità, la forte concorrenza locale e il minor apporto del socio COGNOME dovuto a ragioni familiari; si osserva, inoltre, che sulle circostanze addotte da parte contribuente non vi sarebbe stata specifica contestazione da parte dell’Ufficio.
6. Va esaminato preliminarmente il secondo motivo, in quanto astrattamente idoneo a definire il giudizio. Il motivo è infondato, avendo la sentenza impugnata dato atto che il giudice di primo grado ha integrato il contraddittorio nei confronti di entrambi i soci della società partecipata, COGNOME e COGNOME, entrambi poi appellanti nel giudizio di appello. La stessa documentazione allegata dal ricorrente contempla l’ordinanza di integrazione del contraddittorio (doc. 16) e la sentenza di primo grado (doc. 17), pronunciata nei confronti di tutti gli attuali ricorrenti. La sentenza impugnata ha fatto, pertanto, corretta applicazione dei principi di questa Corte, secondo cui l’unitarietà dell’accertamento che sta alla base della rettifica dei redditi di una società di persone comporta l’obbligo del giudice del merito di integrare il contraddittorio nei confronti dei soci pretermessi, salva la possibilità della riunione successiva dei ricorsi (Cass., Sez. U., 4 giugno 2008, n. 14815). Per effetto dell’integrazione del contraddittorio tutti i contribuenti hanno potuto far valere, anche in grado di appello, le loro difese; né,
del resto, si sarebbe potuta attuare in primo grado la riunione tra cause pendenti tra diversi Uffici giudiziari di merito.
Il primo motivo è infondato in relazione alla deduzione di omessa valutazione della questione della violazione del litisconsorzio necessario, in quanto questione affrontata dal giudice di appello, indipendentemente dall’esame della deduzione contenuta in memoria.
Il primo motivo è, invece, inammissibile in relazione all’omessa valutazione delle deduzioni contenute in memoria, asseritamente costituenti mero ampliamento delle originarie deduzioni difensive, in quanto il ricorrente non ha dedotto in quali termini l’esame della memoria avrebbe condotto a un diverso esito del giudizio. Tali questioni -analiticamente oggetto di trascrizione da parte ricorrente (carenza di motivazione dell’atto impositivo, illegittimo ricorso alla metodologia di accertamento, infondatezza nel merito dell’accertamento ) sono, difatti, state oggetto di esame nel giudizio di appello . Considerato che il giudice del merito, al fine di assolvere l’onere di adeguatezza della motivazione, non è tenuto a esaminare tutte le allegazioni di parte, essendo necessario e sufficiente che egli esponga concisamente le ragioni della decisione così da doversi ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (Cass., Sez. VI, 2 dicembre 2014, n. 25509; Cass., Sez. III, 20 novembre 2009, n. 24542), il ricorrente ha omessi di specificare se e in quali termini l’esame di tali questioni sarebbe stato decisivo ai fini della decisione delle questioni trattate nel giudizio di appello.
Il terzo e il quarto motivo, i quali possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati. Infondato è, in primo luogo, il terzo motivo, ricorrendo nel caso di specie non una omessa pronuncia, bensì un rigetto implicito, posto che il giudice di appello ha rigettato l’appello nel merito, ritenendo che parte contribuente non avrebbe fornito giustificazione agli elementi addotti dall’Ufficio.
12. Quanto al quarto motivo, si osserva che il ricorrente -pur avendo omesso di trascrivere gli atti impositivi impugnati – li ha correttamente allegati al ricorso (docc. 4, 5). Da tali documenti emerge come l’Ufficio abbia espressamente motivato in relazione alle osservazioni poste da parte contribuente, assolvendo così all’obbligo di motivazione rafforzata che ricorre in caso di accertamento condotto sugli studi di settore (Cass., Sez. V, 14 novembre 2018, n. 29323; Cass., Sez. V, 23 maggio 2018, n. 12702), in ossequio al principio secondo cui la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standard in sé considerati ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente ( ex multis , Cass., Sez. V, 18 agosto 2022, n. 24931).
14. Il quinto motivo è inammissibile in quanto costituisce revisione della valutazione delle prove operata dal giudice del merito. Nel qual caso, oggetto del giudizio non è l’analisi e l’applicazione delle norme, bensì l’apprezzamento delle prove, rimesso alla valutazione del giudice del merito (Cass., Sez. I, 5 febbraio 2019, n. 3340; Cass., Sez. I, 14 gennaio 2019, n. 640; Cass., Sez. I, 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass., Sez. V, 4 aprile 2013, n. 8315), salvo l’esame in sede di legittimità sotto il profilo del vizio di omesso esame di fatto decisivo (Cass., Sez. VI, 3 dicembre 2019, n. 31546; Cass., Sez. U., 5 maggio 2006, n. 10313; Cass., Sez. VI, 12 ottobre 2017, n. 24054).
15. Il ricorso va, pertanto, rigettato, con spese regolate dalla soccombenza e liquidate come da dispositivo, oltre al raddoppio del contributo unificato.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali in favore del controricorrente, che liquida in complessivi € 3.000,00, oltre spese prenotate a debito; dà atto che sussistono i presupposti processuali, a carico di parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. 24 dicembre 2012, n. 228, per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, in data 24 aprile 2024