Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 34820 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 34820 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/12/2024
Oggetto: motivazione perplessa/contraddittoria
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29232/2022 R.G. proposto da AGENZIA DELLE RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente – contro
COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME rappresentati e difesi dall’Avv. NOME COGNOME (PEC: EMAIL ed
elettivamente domiciliati presso lo studio del difensore in Roma, INDIRIZZO
-controricorrenti e ricorrenti incidentali – avverso la sentenza n.634/1/2022 della Commissione Tributaria Regionale della Toscana depositata il 2.5.2022, non notificata.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 7 novembre 2024 dal consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
La Commissione Tributaria Regionale della Toscana emetteva la sentenza 634/1/2022 sul l’appello proposto da NOME e NOME COGNOME avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Firenze n. 36/3/2021 con la quale erano stati riuniti e rigettati i due ricorsi dei contribuenti quali ex soci della società RAGIONE_SOCIALE svolgente attività di commercializzazione di pedane in legno, volti ad impugnare altrettante cartelle di pagamento per II.DD. e IVA relativamente all’anno di imposta 2006.
In sentenza si legge che l’Agenzia delle Entrate notificava agli ex soci della estinta società un processo verbale di constatazione da cui emergeva che alcuni dei fornitori della società erano soggetti economici non realmente operativi e, di conseguenza, le forniture eseguite da questi ultimi costituivano operazioni imponibili ai fini IVA soggettivamente inesistenti.
L’Amministrazione finanziaria, pur escludendo che potesse configurarsi un’ipotesi di indeducibilità dei costi, alla luce del disposto dell’art. 14, comma 4 bis, l. 537/93, contestava l’incidenza delle operazioni considerate soggettivamente inesistenti sui costi dichiarati dalla società e l’inattendibilità delle scritture contabili, procedendo ai sensi dell’art. 39, comma 2, lett. d), d.P.R. n. 600/73
alla rideterminazione induttiva del reddito della società, liquidando le conseguenti maggiori IRES e IRAP.
Sulla base del p.v.c. veniva quindi emesso l’avviso di accertamento per il periodo di imposta 2006 che NOME e NOME COGNOME impugnavano unitamente agli altri soci della ormai cessata società. Il ricorso veniva accolto in primo grado, ma respinto in appello. In esecuzione provvisoria della sentenza d’appello, l’agente della riscossione notificava due cartelle di pagamento in relazione ai tributi esigibili pro quota dai soci della cessata società.
La CTP con la sentenza 36/3/2021 rigettava i ricorsi introduttivi avverso le cartelle, ritenendo che il giudice d’appello pronunciatosi sull’accertamento societario avesse confermato la legittimità dell’atto impugnato che, pertanto, doveva essere integralmente applicato. Il giudice d’appello rigettava in dispositivo l’impugnazione, ma nel penultimo periodo della motivazione, relativamente alle sanzioni, stabiliva: «In questo senso l’appello potrebbe essere accolto per quanto attiene al motivo subordinato, ma gli appellanti non hanno precisato se l’entità delle sanzioni attribuite loro pro quota superi l’entità degli utili che sono stati loro attribuiti. L’agenzia delle Entrate verificherà se l’entità delle sanzioni attribuite ai due soci superi o meno il limite fissato dalla giurisprudenza operando in caso positivo l’opportuna riduzione».
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l’Agenzia , affidato a due motivi, al quale i contribuenti hanno replicato con controricorso e ricorso incidentale per due motivi.
Considerato che:
Con il primo motivo del ricorso principale, in relazione all’art.360, primo comma, n.4, cod. proc. civ., viene censurata la sentenza di appello per nullità del capo sopra riportato per violazione e falsa applicazione degli artt. 111 Cost., 132, n. 4 del cod. proc. civ., 36 e 61 del d.lgs. 546/1992, 118 disp. di attuazione del cod. proc. civ. ,
sotto il profilo dell’abnormità e dell’irriducibile contraddittorietà e illogicità manifesta della motivazione con riferimento al capo della decisione in cui il giudice ha deciso sul profilo sanzionatorio.
Il motivo è infondato.
2.1. In generale, la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo , quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016). Inoltre, la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, dev ‘ essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. L’ anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
2.2. Orbene, il capo della decisione impugnato è il seguente: «Si verifica, infatti, un fenomeno successorio sui generis , in cui la responsabilità dei soci è limitata alla parte che ciascuno di essi consegue nella distribuzione dell’attivo risultante dal bilancio di
liquidazione, pertanto entro tali limiti soci risponderanno delle sanzioni a suo tempo irrogate alla società. In questo senso l’appello potrebbe essere accolto per quanto attiene al motivo subordinato, ma gli appellanti non hanno precisato se l’entità delle sanzioni attribuite loro pro quota superi l’entità degli utili che sono stati loro attribuiti. L’agenzia delle Entrate verificherà se l’entità delle sanzioni attribuite ai due soci superi o meno il limite fissato dalla giurisprudenza operando in caso positivo l’opportuna riduzione».
La reale ratio decidendi è concentrata nel passaggio motivazionale in cui il giudice afferma che, limitatamente alle sanzioni, teoricamente l’appello potrebbe essere accolto, ma in concreto no perché gli appellanti non hanno precisato se l’entità delle sanzioni attribuite loro pro quota superi o meno l’entità degli utili loro attribuiti in sede di piano di riparto. È chiaramente una ratio di rigetto, e tutto quanto successivamente argomentato dal giudice è una divagazione, un obiter dictum , del tutto estraneo alla ratio decidendi , investendo il rigetto per genericità circa l’entità delle sanzioni in relazione agli utili ripartiti anche la domanda subordinata formulata dai contribuenti in appello, sempre circa il profilo sanzionatorio.
Il secondo motivo del ricorso principale e il secondo motivo dell’incidentale prospettano, in relazione all’art.360, primo comma, n.4, cod. proc. civ., la nullità del capo della sentenza impugnato della sentenza in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., rispettivamente, per ultrapetizione e per non aver il giudice correttamente interpretato le limitazioni di responsabilità oggetto del motivo subordinato di appello.
I due motivi sono inammissibili, in quanto non colgono la ratio decidendi espressa dal giudice che è come sopra visto di rigetto integrale dell’appello anche quanto alle sanzioni, in piena corrispondenza del principio chiesto-pronunciato.
Residua il primo motivo del ricorso incidentale, nel quale viene dedotta la violazione dell’art. 68, comma 1, d.P.R. n. 546/1992, nella formulazione vigente ratione temporis , e 19, comma 1, d.lgs. n. 472/1997, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. con riferimento alla comprensione della portata precettiva della sentenza di appello presupposta alle cartelle impugnate.
La censura è inammissibile per novità della questione, non essendovi evidenza della stessa nella sentenza impugnata, né dalla lettura del controricorso emerge la sua tempestiva proposizione in primo grado e riproposizione in appello.
Entrambi gli appelli sono perciò rigettati e, in presenza di soccombenza reciproca, le spese di lite del presente grado di giudizio sono integralmente compensate.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale, rigetta il ricorso incidentale, compensa le spese di lite del giudizio di legittimità.
Si dà atto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7.11.2024