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Motivazione per relationem: quando la sentenza è nulla

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza tributaria che si basava su una decisione non ancora definitiva riguardante la società partecipata. La Corte ha stabilito che una motivazione per relationem è illegittima se non riproduce e valuta criticamente il contenuto dell’atto richiamato, configurandosi come ‘motivazione apparente’ e violando il diritto di difesa del contribuente.

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Pubblicato il 24 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Motivazione per Relationem: La Cassazione Annulla Sentenza Fiscale per Vizio Logico

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale del diritto processuale: la validità della motivazione per relationem. Questo caso, riguardante un accertamento fiscale a carico di un socio di una società a ristretta base, offre uno spunto cruciale per comprendere quando il rinvio di un giudice alle ragioni di un’altra sentenza è legittimo e quando, invece, rende la decisione nulla per ‘motivazione apparente’.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da un avviso di accertamento notificato a un contribuente per redditi derivanti dalla sua partecipazione, pari al 50%, in una società di costruzioni a ristretta base partecipativa. L’Agenzia delle Entrate imputava al socio maggiori redditi, presumendo la distribuzione di utili extra-contabili accertati in capo alla società.

Il contribuente impugnava l’atto, sostenendo, tra le altre cose, la nullità derivata dall’annullamento, per un vizio di notifica, del presupposto accertamento emesso nei confronti della società. Sia la Commissione Tributaria Provinciale (CTP) che quella Regionale (CTR) accoglievano le ragioni del contribuente. In particolare, la CTR rigettava l’appello dell’Ufficio Fiscale affermando che l’annullamento dell’accertamento societario comportava automaticamente il venir meno della pretesa verso il socio, richiamando una diversa sentenza emessa nella stessa data sul caso della società.

L’Agenzia delle Entrate, ritenendo errata tale impostazione, ricorreva per cassazione, lamentando principalmente che la sentenza sulla società non era ancora passata in giudicato e che la CTR aveva omesso di esporre un proprio autonomo percorso logico-giuridico.

La Decisione della Cassazione e i Limiti della Motivazione per Relationem

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia, concentrandosi sul quarto motivo, ritenuto pregiudiziale e assorbente rispetto agli altri: la nullità della sentenza per motivazione apparente. I giudici di legittimità hanno chiarito in modo inequivocabile i paletti che delimitano l’uso della motivazione per relationem.

Il principio cardine è che il semplice rinvio a un’altra sentenza è legittimo solo a due condizioni:

1. La sentenza richiamata ha già acquisito valore di ‘giudicato’ tra le parti.
2. In assenza di giudicato, il giudice deve riprodurre integralmente i contenuti della decisione richiamata, facendoli propri attraverso un’autonoma e critica valutazione nel contesto della causa che sta decidendo.

Nel caso di specie, la CTR si era limitata a un richiamo apodittico a un’altra sua decisione, non ancora definitiva, senza esporre le ragioni del proprio convincimento. Questo modus operandi, secondo la Corte, svuota la motivazione del suo contenuto essenziale, rendendola una mera formula di stile e impedendo qualsiasi controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento seguito.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha ribadito che una motivazione è solo ‘apparente’ quando, pur essendo graficamente esistente, non permette di comprendere l’iter logico-giuridico che ha condotto alla decisione. Questo vizio viola il cosiddetto ‘minimo costituzionale’ della motivazione, un presidio fondamentale del diritto di difesa garantito dall’articolo 111 della Costituzione.

Il giudice non può abdicare al suo dovere di motivare, specialmente quando fa riferimento a una decisione non ancora passata in giudicato. Deve, al contrario, rendere la propria sentenza ‘autosufficiente’, permettendo alle parti e alla stessa Corte di Cassazione di verificare la compatibilità logico-giuridica delle argomentazioni mutuate. Limitarsi a indicare la fonte di riferimento senza un’analisi critica trasforma il processo decisionale in un atto arbitrario e non controllabile.

La sentenza impugnata è stata quindi cassata perché, non essendoci un giudicato sulla pretesa verso la società, il giudice regionale avrebbe dovuto esaminare autonomamente il merito della questione, senza dare per scontato un effetto pregiudicante che, giuridicamente, non si era ancora prodotto.

Le Conclusioni

La pronuncia in esame ha importanti implicazioni pratiche. In primo luogo, essa rafforza le garanzie del contribuente, che ha diritto a una decisione fondata su un percorso argomentativo chiaro, completo e verificabile. In secondo luogo, serve da monito per i giudici di merito sull’uso corretto della tecnica della motivazione per relationem: non una scorciatoia, ma uno strumento da utilizzare con rigore e nel rispetto dei principi di autosufficienza e controllo della decisione.

In conclusione, la Corte ha annullato la sentenza della CTR e ha rinviato la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado in diversa composizione. Quest’ultima dovrà procedere a un nuovo e motivato esame della controversia, rispettando i principi enunciati e fornendo una motivazione completa e autonoma, che non si limiti a un superficiale rinvio a decisioni non definitive.

È possibile per un giudice motivare una sentenza semplicemente richiamando un’altra decisione?
Sì, ma solo a condizioni molto precise. La sentenza richiamata deve essere già passata in giudicato (cioè definitiva) oppure, se non lo è, il giudice deve riprodurne i contenuti e sottoporli a un’autonoma valutazione critica, rendendo la propria sentenza autosufficiente e comprensibile.

Cosa si intende per ‘motivazione apparente’ e perché rende nulla una sentenza?
Si ha una ‘motivazione apparente’ quando, pur essendo presente un testo, questo non permette di ricostruire il percorso logico e giuridico seguito dal giudice per arrivare alla sua decisione. Rende la sentenza nulla perché viola il diritto delle parti a comprendere le ragioni della decisione e a poterla efficacemente impugnare, ledendo il principio del giusto processo.

L’annullamento dell’avviso di accertamento di una società si estende sempre automaticamente al socio?
La sentenza non risponde direttamente a questa domanda nel merito, ma chiarisce un aspetto procedurale fondamentale: un giudice non può decidere l’annullamento automatico basandosi su un’altra sentenza non ancora definitiva. Deve invece esaminare autonomamente la questione e fornire una propria, completa motivazione sul collegamento tra i due atti di accertamento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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