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Motivazione per relationem: quando è valida la sentenza?

Una contribuente impugna un accertamento fiscale, sostenendo la nullità della sentenza d’appello per ‘motivazione per relationem’, ovvero perché si limitava a richiamare la decisione di primo grado. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, chiarendo che tale tecnica è valida se il giudice d’appello non si limita a una mera adesione ma esprime anche una valutazione autonoma e indipendente sui motivi di gravame, come avvenuto nel caso specifico. La Corte ha quindi confermato la legittimità dell’accertamento basato su presunzioni gravi, precise e concordanti.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Motivazione per relationem: La Cassazione chiarisce i limiti di validità

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione torna a occuparsi di un tema processuale cruciale: la validità della motivazione per relationem nelle sentenze di appello. Si tratta della tecnica con cui un giudice, per motivare la propria decisione, fa riferimento alle argomentazioni contenute in un’altra pronuncia, tipicamente quella di primo grado. La Corte ha stabilito che tale pratica è legittima solo a determinate condizioni, rigettando il ricorso di una contribuente che lamentava una motivazione solo ‘apparente’ da parte della Commissione Tributaria Regionale.

I Fatti del Caso: Un Accertamento Fiscale Complesso

Il caso trae origine da un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di un’imprenditrice individuale, esercente l’attività di commercio al dettaglio di prodotti ittici. L’amministrazione finanziaria contestava un maggior reddito d’impresa ai fini IVA, IRAP e IRPEF per l’anno 2006.

L’accertamento si fondava su diverse irregolarità, tra cui:
* La sottostima dei ricavi, desunta dalla mancata emissione di scontrini e fatture.
* La presunta inesistenza di operazioni fatturate verso una società immobiliare di cui la stessa contribuente era amministratrice unica.
* L’indeducibilità di costi per energia elettrica, in quanto le fatture erano intestate a un soggetto diverso e relative a un’altra località.
* La non veridicità di fatture per la somministrazione di pasti ai dipendenti.

La Commissione Tributaria Provinciale (CTP) aveva dato ragione all’Agenzia delle Entrate e la Commissione Tributaria Regionale (CTR) aveva confermato la decisione, respingendo l’appello della contribuente.

L’Appello e la validità della motivazione per relationem

Contro la sentenza della CTR, la contribuente ha proposto ricorso in Cassazione, articolando due motivi principali. Il fulcro della sua difesa era la presunta nullità della sentenza d’appello per violazione delle norme sulla motivazione. In sostanza, si sosteneva che i giudici di secondo grado si fossero limitati a richiamare e approvare la sentenza di primo grado, senza esaminare in modo autonomo e specifico le critiche mosse dall’appellante. Questo, secondo la ricorrente, equivaleva a una motivazione per relationem meramente apparente e, quindi, a una sentenza nulla.

Il secondo motivo di ricorso

Inoltre, la contribuente lamentava l’omessa pronuncia su specifiche argomentazioni difensive, tra cui l’illegittimità dell’accertamento parziale e l’insufficienza delle presunzioni utilizzate dall’Ufficio per ricostruire il reddito.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, fornendo importanti chiarimenti sulla corretta applicazione della motivazione per relationem.

Gli Ermellini hanno innanzitutto ribadito un principio consolidato: una sentenza d’appello è nulla per difetto di motivazione se si limita a una ‘mera adesione’ a quella di primo grado, senza illustrare le censure dell’appellante e le ragioni per cui vengono disattese. Una tale modalità, infatti, impedisce di ricostruire il percorso logico-giuridico (il thema decidendum) seguito dal giudice.

Tuttavia, questo non era il caso di specie. La Suprema Corte ha osservato che, pur contenendo espressi riferimenti alla sentenza di primo grado, la pronuncia della CTR non si era fermata a questo. I giudici d’appello avevano infatti espresso una ‘valutazione autonoma’ sulla questione cruciale dell’inesistenza delle operazioni commerciali, condividendo le conclusioni del primo giudice ma sulla base di un proprio, seppur sintetico, ragionamento. Questa valutazione autonoma è stata ritenuta sufficiente a escludere il vizio di motivazione apparente.

Anche il secondo motivo è stato respinto, in parte perché assorbito dal rigetto del primo e in parte perché infondato. La Cassazione ha evidenziato come la sentenza impugnata contenesse una motivazione specifica sia sull’ammissibilità dell’accertamento parziale (ex art. 41-bis del D.P.R. n. 600/1973) sia sulla natura delle presunzioni utilizzate, ritenute ‘gravi, precise e concordanti’.

Le conclusioni: Implicazioni pratiche della Sentenza

La decisione in esame consolida un importante principio processuale: la motivazione per relationem non è di per sé vietata, ma deve essere utilizzata correttamente. Il giudice d’appello può richiamare la sentenza di primo grado, ma deve dimostrare di aver effettivamente esaminato i motivi di gravame, fornendo una risposta autonoma e comprensibile. Non è richiesta una motivazione prolissa, ma è indispensabile che emerga una valutazione critica e indipendente delle argomentazioni delle parti. Questa ordinanza serve da monito: la sinteticità è una virtù, ma non deve mai tradursi in una abdicazione alla funzione giurisdizionale di rendere una decisione motivata e autonoma.

Quando una sentenza d’appello che richiama quella di primo grado è considerata nulla?
È nulla quando si limita a una ‘mera adesione’ alla sentenza precedente, senza illustrare le censure sollevate dall’appellante e le considerazioni che hanno indotto la Commissione a disattenderle, impedendo così l’individuazione del percorso logico-giuridico seguito.

È sufficiente che il giudice d’appello esprima una valutazione autonoma per rendere valida la motivazione per relationem?
Sì. Secondo la Corte, se il giudice d’appello, pur richiamando la sentenza precedente, esprime una propria valutazione autonoma sulle questioni contestate, la motivazione è da considerarsi valida e non meramente apparente. Nel caso di specie, la CTR aveva espresso una propria valutazione sull’inesistenza delle operazioni commerciali.

L’accertamento fiscale basato su presunzioni è legittimo?
Sì, a condizione che le presunzioni siano gravi, precise e concordanti. La Corte ha confermato la legittimità dell’operato dell’Agenzia delle Entrate, la cui determinazione induttiva del reddito si basava su presunzioni che rispettavano tali requisiti, come l’accertamento di incongruenze tra ricavi dichiarati e quelli desumibili dall’attività.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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