Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2766 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 2766 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 915/2016 R.G. proposto da :
COGNOME, ARTIGIANA TIPOGRAFIA DI COGNOME E COGNOME SNC, COGNOME, con l’avvocato NOME COGNOME, nel domicilio eletto presso il suo studio in Roma, alla INDIRIZZO
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (ADS80224030587) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. ROMA n. 3355/2015 depositata il 11/06/2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/11/2024 dal Co: COGNOME NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
In ragione della cessione di ramo d’azienda, nella fattispecie un laboratorio di tipografia, l’Ufficio riprendeva a tassazione sull’anno d’imposta 2004 la relativa plusvalenza da cessione, non esposta in dichiarazione dei redditi.
Conseguentemente, veniva notificato un avviso di accertamento nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE nonché avviso di accertamento per rideterminazione del reddito nei confronti di ciascuno dei due soci, in ragione della loro quota paritaria nel capitale della prefata società.
Venivano proposti tre distinti ricorsi avanti il giudice di prossimità che li riuniva e li rigettava. Ne scaturiva ricorso in appello per ribadire l’infondatezza delle pretese impositive, ricorso che tuttavia non trovava apprezzamento presso il giudice di secondo grado, nello specifico non ritenendo raggiunta la prova della correttezza della mancata dichiarazione della plusvalenza.
Propongono ricorso per Cassazione i soci in proprio, nella loro qualità di soci ed il signor COGNOME NOME anche nella sua qualità di liquidatore della società di cui è legale rappresentante, articolando l’impugnazione su tre motivi di doglianza, cui replica con tempestivo controricorso il Patrono erariale.
CONSIDERATO
Preliminarmente si dà atto della rinuncia al mandato dell’avvocato della parte privata, pur rilevando che essa non incide sul giudizio, stante i principi di perpetuatio ed impulso officioso, come già da tempo enunciati (cfr. Cass. III, n. 16121/2009).
Vengono proposti tre motivi di ricorso.
Con il primo motivo si profila censura ai sensi dell’articolo 360 numero 3 del codice di procedura civile per violazione degli articoli 36 e 61 del decreto legislativo numero 546 del 1992. Nella sostanza si critica la motivazione per relationem resa dal giudice di secondo grado in rapporto alla sentenza di primo grado, senza vaglio critico autonomo.
Con il secondo motivo si prospetta censura ai sensi dell’articolo 360 numero 5 del codice di procedura civile per omessa o insufficiente motivazione circa un fatto decisivo nonché censura ai sensi dell’articolo 360 numero 3 del codice di procedura civile per violazione degli articoli 36 e 61 del decreto legislativo numero 546 nel 1992, per non aver la Commissione tributaria regionale di Roma valutato tutte le doglianze avanzate dai ricorrenti in sede di appello. Nello specifico si osserva che l’accertamento dipende dalla mancata produzione essenzialmente del registro dei beni ammortizzabili, necessario al fine di poter verificare il valore effettivo e residuale dei beni ceduti da cui la ricorrenza o meno di plusvalenze, rappresentando che le scritture contabili ed il libro dei beni ammortizzabili non sono più nella disponibilità dei ricorrenti, non essendo stati rinvenuti neppure in sede di sequestro penale.
Con il terzo motivo si profila ancora censura ai sensi dell’articolo 360 numero 3 del codice di procedura civile per violazione falsa applicazione degli articoli 58 e 86 del DPR numero 917 del 1986. Nel concreto si lamenta che non siano state esaminate le risultanze degli elementi contabili indicati nel libro giornale.
Il primo motivo è infondato. La sentenza in scrutinio, infatti, opera un’autonoma valutazione dell’apporto probatorio offerto dalle parti, anche con supplemento istruttorio in un secondo momento. Nello specifico si dà conto della solo apparente contraddizione nella motivazione della sentenza di primo grado, laddove pur tenendo conto della sussistenza della forza maggiore veniva esaminata la documentazione offerta non trovandovi quella prova capace di giustificare la mancata esposizione della plusvalenza da cessione.
In altri termini, non si rileva la contestata carenza di motivazione, laddove il collegio d’appello ha vagliato criticamente e fatto proprie le risultanze cui era pervenuto il collegio di primo grado, in questo attenendosi ai principi più volte ribaditi da questa Suprema Corte di legittimità.
Ed infatti, si è affermato che, nel processo tributario, la motivazione di una sentenza può essere redatta “per relationem” rispetto ad altra sentenza non ancora passata in giudicato, purché resti “autosufficiente”, riproducendo i contenuti mutuati e rendendoli oggetto di autonoma valutazione critica nel contesto della diversa, anche se connessa, causa, in modo da consentire la verifica della sua compatibilità logico – giuridica. La sentenza è, invece, nulla, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., qualora si limiti alla mera indicazione della fonte di riferimento e non sia, pertanto, possibile individuare le ragioni poste a fondamento del dispositivo (Cass. VI -5, n. 107/2015; n. 5209/2018; n. 17403/2018; n. 21978/2018). Deve, poi, considerarsi nulla la sentenza di appello motivata “per relationem” alla sentenza di primo grado, qualora la laconicità della motivazione non consenta di appurare che alla condivisione della decisione di prime cure il giudice d’appello sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame, previa specifica ed adeguata considerazione delle allegazioni difensive, degli elementi di prova e dei motivi di appello (Cass. VI -5, n. 22022/2017).
La sentenza in scrutinio si colloca quindi ben al di sopra del predetto limite minimo, articolando la motivazione in più rationes , tutte capaci di autosostenersi.
Il primo motivo non può dunque essere accolto.
Il secondo motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.
Preliminarmente, per questa Corte è ammissibile il ricorso per cassazione il quale cumuli in un unico motivo le censure di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, n. 4 e n. 5, c.p.c., allorché esso comunque evidenzi specificamente la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (Cass. V, 11 aprile 2018, n. 8915), essendo sufficiente che la
formulazione del motivo consenta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate, sì da consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se essere fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (Cass., S.U., 6 maggio 2015, n. 9100, in linea Cass. V. n. 14756/2020).
Il motivo è peraltro inammissibile per il profilo di cui al numero 5 dell’articolo 360 del codice di procedura civile, trattandosi di censura posta in violazione all’articolo 348 ter del medesimo codice di rito, laddove non è più possibile detta censura di fronte ad una ‘doppia conforme’ nel merito, ove la parte ricorrente non rappresenti trattarsi di uguale conclusione, ma basata su diverse argomentazioni.
Lo stesso motivo, ove non inammissibile, è infondato dove lamenta la mancata valutazione di tutte le doglianze prospettate dai ricorrenti in sede di appello. Ed infatti, dall’esame della sentenza in scrutinio, nel confronto tra parte espositiva e parte argomentativa, non emerge il lamentato vizio, né la parte ricorrente rappresenta, ai fini della completezza della censura, i passi degli atti processuali dei gradi di merito ove le censure su cui la sentenza non si sarebbe pronunciata erano state proposte, dimostrando così non trattarsi di doglianza nuova, sollevata per la prima volta nel giudizio di legittimità.
6. Parimenti inammissibile il terzo motivo, ove la doglianza si traduce in una richiesta di rivalutazione dell’apporto probatorio offerto dalle parti, chiedendone un apprezzamento diverso ed opposto a quello a cui è pervenuto il collegio di merito nella sentenza qui all’esame.
È appena il caso di rammentare che il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della
stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione (tra le tante: Cass. 11 gennaio 2016 n. 195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26610).
Come è noto, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente la prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. 4 novembre 2013 n. 24679; Cass. 16 novembre 2011 n. 27197; Cass. 6 aprile 2011 n. 7921; Cass. 21 settembre 2006 n. 20455; Cass. 4 aprile 2006 n. 7846; Cass. 9 settembre 2004 n. 18134; Cass. 7 febbraio 2004 n. 2357).
Né il giudice del merito, che attinga il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, è tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (ad es.: Cass. 7 gennaio 2009 n. 42; Cass. 17 luglio 2001 n. 9662).
Per completezza argomentativa, quanto alla denuncia di vizio di motivazione, poiché è qui in esame un provvedimento pubblicato dopo il giorno 11 settembre 2012, resta applicabile ratione temporis il nuovo testo dell’art. 360, comma primo, n. 5) c.p.c. la cui riformulazione, disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, secondo le Sezioni Unite deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici
dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez.Un. 7 aprile 2014 n. 8053).
In conclusione, il ricorso è infondato e deve essere rigettato. Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in €. cinquemilaseicento/00, oltre alle spese prenotate a debito, a favore dell’Agenzia delle entrate.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 115/2002 la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 26/11/2024.