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Motivazione per relationem: quando è legittima?

Una società immobiliare si è opposta a un preavviso di iscrizione ipotecaria da parte dell’ente di riscossione. L’appello della società è stato respinto perché un motivo di difesa cruciale (la diversa soggettività giuridica rispetto al debitore originario) è stato introdotto tardivamente. Le altre censure sono state rigettate con una motivazione per relationem, confermando la decisione di primo grado. La Corte di Cassazione ha ritenuto legittimo questo approccio, specialmente quando i motivi di appello sono mere ripetizioni di quelli già esaminati, e ha quindi rigettato il ricorso.

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Pubblicato il 26 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Motivazione per relationem: quando è legittima in appello?

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito i confini di applicabilità della motivazione per relationem nel giudizio di appello, specialmente in materia tributaria. La decisione chiarisce quando un giudice di secondo grado può legittimamente rigettare un gravame richiamando le argomentazioni della sentenza impugnata, senza incorrere in un vizio di motivazione. Il caso analizzato riguarda l’impugnazione di un preavviso di iscrizione ipotecaria per un debito fiscale superiore al milione di euro.

I Fatti di Causa

Una società immobiliare ha impugnato una comunicazione preventiva di iscrizione ipotecaria emessa da un ente di riscossione per il mancato pagamento di 42 cartelle esattoriali, per un valore complessivo di circa 1,2 milioni di euro. Il ricorso della società è stato rigettato sia in primo grado sia in appello.

La Commissione Tributaria Regionale ha respinto l’appello per due ragioni principali:
1. Ha ritenuto inammissibile, perché nuova, la questione sollevata dalla società circa la sua diversa soggettività giuridica rispetto al debitore originario, a seguito di una scissione societaria.
2. Ha rigettato le altre censure, ritenendole prive di specificità e mere reiterazioni di quanto già dedotto in primo grado, confermando di fatto la decisione del primo giudice.

Contro questa decisione, la società ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando molteplici violazioni di legge, tra cui l’errata dichiarazione di inammissibilità e la carenza di motivazione della sentenza d’appello.

L’Analisi della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha esaminato i vari motivi di ricorso, rigettandoli integralmente. L’ordinanza offre spunti fondamentali su due principi processuali chiave: il divieto di domande nuove in appello e la validità della motivazione per relationem.

Il Divieto di Introdurre Domande Nuove in Appello

La Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito nel considerare inammissibile la difesa relativa alla carenza di responsabilità della società appellante. Questa difesa, basata sugli effetti di una scissione societaria, non era stata proposta in primo grado. Secondo la Cassazione, tale argomentazione non costituisce una mera eccezione, ma una vera e propria nuova domanda. Essa, infatti, si fonda su fatti e presupposti giuridici diversi da quelli originariamente contestati (relativi alla notifica delle cartelle), ampliando indebitamente l’oggetto del contendere, in violazione delle norme del processo tributario.

La Legittimità della Motivazione per Relationem in Appello

Il punto centrale della decisione riguarda la validità della sentenza d’appello che rigetta il gravame richiamando la motivazione della sentenza di primo grado. La società ricorrente lamentava che i giudici di secondo grado non si fossero pronunciati su specifiche censure (come la nullità di notifiche PEC, l’omessa indicazione degli immobili da ipotecare, la violazione del contraddittorio preventivo).

La Cassazione ha chiarito che la corte d’appello non ha dichiarato il ricorso inammissibile, ma lo ha rigettato nel merito. La sua motivazione è consistita nel rinvio alle argomentazioni del primo giudice, condividendole. Questo metodo è legittimo a determinate condizioni:

* La fonte richiamata (la sentenza di primo grado) deve essere chiaramente identificabile.
* Il giudice d’appello deve dimostrare di aver preso in esame i motivi di impugnazione, concludendo che non introducono elementi di novità rispetto a quanto già deciso.

Nel caso di specie, la sentenza d’appello, dopo aver constatato la mera riproposizione delle censure di primo grado, ha motivato il rigetto riportando integralmente le argomentazioni del primo giudice. Per la Cassazione, questo è sufficiente. Un giudice non è tenuto a formulare argomentazioni nuove se le critiche dell’appellante sono ripetitive; può limitarsi a ribadire la risposta già fornita, purché lo faccia in modo esplicito.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Suprema Corte si fondano su un principio di economia processuale e di coerenza logica. Se l’appello non fa che ripetere le stesse argomentazioni già respinte, senza introdurre nuove riflessioni critiche sulla decisione di primo grado, il giudice d’appello può legittimamente confermare quella decisione facendo proprie le sue ragioni. Non si tratta di un’adesione acritica, ma di una valutazione che riconosce l’assenza di nuovi elementi meritevoli di una diversa e autonoma argomentazione. Inoltre, la Corte ha dichiarato inammissibile per difetto di ‘autosufficienza’ il motivo relativo alla nullità delle notifiche a mezzo PEC, poiché la ricorrente non aveva specificato nel ricorso in quale atto e in quale sede processuale avesse sollevato tale specifica doglianza, impedendo alla Corte stessa di valutarne la tempestività e la ritualità.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un importante orientamento giurisprudenziale. In primo luogo, ribadisce che il giudizio di appello non può essere utilizzato per introdurre temi di indagine completamente nuovi. In secondo luogo, legittima l’uso della motivazione per relationem come strumento per respingere appelli meramente ripetitivi, a condizione che il richiamo alla decisione precedente sia esplicito e che la sentenza d’appello dia conto, anche sinteticamente, delle ragioni della conferma. Questa decisione ha implicazioni pratiche significative: chi intende appellare una sentenza deve formulare critiche specifiche e puntuali alla motivazione del primo giudice, evitando la semplice riproposizione dei medesimi argomenti, pena il rigetto del gravame con una motivazione che si limita a confermare la decisione impugnata.

È possibile presentare in appello un motivo di difesa completamente nuovo rispetto al primo grado?
No. Secondo la sentenza, una difesa che si fonda su fatti e presupposti giuridici diversi da quelli dedotti in primo grado costituisce una domanda nuova, vietata nel processo d’appello, in quanto amplia indebitamente l’oggetto del contendere.

Un giudice d’appello può rigettare un ricorso semplicemente richiamando la sentenza di primo grado?
Sì, può farlo attraverso la cosiddetta ‘motivazione per relationem’. Questo è legittimo quando i motivi di appello sono una mera reiterazione di quelli già esaminati e respinti in primo grado. Il giudice d’appello deve però indicare chiaramente di aver esaminato i motivi e di condividerne la reiezione sulla base delle argomentazioni già espresse nella sentenza impugnata.

Cosa significa il principio di ‘autosufficienza del ricorso’ in Cassazione?
Significa che il ricorso presentato alla Corte di Cassazione deve contenere tutti gli elementi necessari (fatti, riferimenti agli atti processuali, motivi di diritto) per consentire alla Corte di decidere la questione senza dover consultare altri documenti del fascicolo. Se una censura non è presentata in modo completo e autosufficiente, viene dichiarata inammissibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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