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Motivazione per relationem: nullità senza giudicato

Un socio impugnava un avviso di accertamento per redditi da partecipazione in una società, basato su un accertamento presupposto notificato alla società stessa. I giudici di merito annullavano l’atto al socio, poiché era stato annullato quello societario. La Corte di Cassazione ha annullato tale decisione, definendola viziata da ‘motivazione apparente’. Il giudice d’appello si era infatti limitato a richiamare un’altra sentenza non ancora definitiva (motivazione per relationem), senza riprodurne e valutarne criticamente il contenuto. Questo vizio, secondo la Corte, rende la sentenza nulla per mancanza del ‘minimo costituzionale’ di motivazione.

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Pubblicato il 24 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Motivazione per Relationem: Quando una Sentenza è Nulla

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 19550/2025, torna a delineare i confini di un principio fondamentale del nostro ordinamento processuale: la motivazione per relationem. Questa tecnica, che permette a un giudice di motivare la propria decisione richiamando un altro atto, non è priva di rischi. La pronuncia in esame chiarisce che, se la sentenza richiamata non è ancora definitiva, il semplice rinvio non basta: la motivazione deve essere autonoma e autosufficiente, pena la nullità della decisione per ‘motivazione apparente’.

I Fatti di Causa: dall’Accertamento Societario a quello del Socio

La vicenda trae origine da un avviso di accertamento notificato a un contribuente per l’anno d’imposta 2009. L’Agenzia delle Entrate imputava al socio i redditi derivanti dalla sua partecipazione, pari al 50%, in una società a ristretta base partecipativa. Tali redditi corrispondevano a utili extra-contabili che l’amministrazione finanziaria aveva accertato in capo alla società stessa con un separato avviso.

Il contribuente impugnava l’atto, eccependo in via preliminare la nullità per omessa notifica dell’avviso di accertamento presupposto, quello emesso nei confronti della società. La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso, basandosi su una precedente sentenza che aveva annullato l’accertamento societario per un vizio di notifica. Secondo i giudici di primo grado, il legame diretto tra il reddito della società e quello imputato al socio comportava che la nullità del primo si riflettesse inevitabilmente sul secondo.

La Decisione della Commissione Tributaria Regionale e il vizio della motivazione per relationem

L’Agenzia delle Entrate proponeva appello, ma la Commissione Tributaria Regionale (CTR) lo rigettava. Il cuore della decisione della CTR risiedeva nell’affermare che l’annullamento dell’accertamento societario, confermato dalla stessa CTR in un’altra sentenza emessa lo stesso giorno, causava l’automatico venir meno della pretesa fiscale nei confronti del socio.

Il problema, tuttavia, era che la CTR si era limitata a richiamare apoditticamente la propria decisione parallela sul giudizio societario, senza esporre le ragioni specifiche del rigetto dell’appello. Fondamentalmente, aveva utilizzato la tecnica della motivazione per relationem riferendosi a una sentenza che non era ancora passata in giudicato.

Il Ricorso in Cassazione: la Motivazione Apparente

L’Amministrazione finanziaria ricorreva in Cassazione, affidandosi a quattro motivi. Il quarto motivo, esaminato in via prioritaria dalla Suprema Corte, denunciava la violazione di legge per apparenza della motivazione. Secondo la ricorrente, la CTR non aveva fornito una vera e propria motivazione, ma si era limitata a un mero rinvio a un’altra pronuncia, rendendo impossibile comprendere il ragionamento logico-giuridico alla base della sua decisione.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il quarto motivo, ritenendolo fondato e assorbendo gli altri. Gli Ermellini hanno ribadito un principio consolidato: la motivazione per relationem è legittima solo a condizioni ben precise. In particolare:

1. Se si fa riferimento a una sentenza passata in giudicato tra le parti, il richiamo è sufficiente.
2. Se si fa riferimento a una sentenza non ancora passata in giudicato, come nel caso di specie, il giudice deve ‘riprodurre i contenuti mutuati e renderli oggetto di autonoma valutazione critica nel contesto della diversa causa’. In altre parole, non basta dire ‘si veda l’altra sentenza’, ma è necessario riportarne i passaggi salienti e spiegare perché quelle ragioni si applicano anche al caso in esame.

Nel caso specifico, la CTR non ha seguito questa seconda via. Si è limitata a un rinvio generico, senza integrare la propria decisione con le argomentazioni necessarie. Questo comportamento, secondo la Corte, priva la sentenza del cosiddetto ‘minimo costituzionale’, ovvero di quel nucleo di argomentazioni indispensabile per poter essere considerata una decisione motivata. Una motivazione così strutturata è solo ‘apparente’ e, come tale, rende la sentenza nulla.

Le Conclusioni

La Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata e ha rinviato la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado, in diversa composizione, per un nuovo esame. Questa ordinanza rappresenta un importante monito per i giudici di merito: la connessione tra cause, come quella tra l’accertamento a una società e quello al suo socio, non giustifica scorciatoie motivazionali. Ogni sentenza deve essere autosufficiente e permettere alle parti e al giudice di legittimità di comprendere pienamente l’iter logico seguito. La tecnica della motivazione per relationem, se usata in modo improprio, non semplifica il processo, ma crea sentenze invalide destinate a essere annullate.

Un giudice può motivare una sentenza facendo riferimento a un’altra decisione non ancora definitiva?
Sì, ma solo a condizione che il giudice riproduca nella propria sentenza i contenuti della decisione richiamata e li sottoponga a una valutazione critica autonoma, spiegando come si applichino al caso specifico. Un mero rinvio non è sufficiente.

Cos’è una ‘motivazione apparente’ e quali sono le sue conseguenze?
È una motivazione che esiste solo in apparenza ma che, per la sua genericità, contraddittorietà o superficialità, non rende comprensibile il ragionamento del giudice. La conseguenza è la nullità della sentenza, in quanto viola l’obbligo costituzionale di motivare i provvedimenti giurisdizionali.

Nel caso di accertamenti fiscali collegati (società e socio), l’annullamento del primo comporta automaticamente l’annullamento del secondo?
La sentenza della Cassazione chiarisce che la connessione esiste, ma la decisione sul socio non può basarsi automaticamente su una sentenza non definitiva riguardante la società. Il giudice del caso del socio deve comunque fornire una motivazione completa e autonoma o attendere (sospendendo il giudizio) che la sentenza sulla società diventi definitiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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