LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Motivazione per relationem: i limiti della Cassazione

Un contribuente ha impugnato un avviso di accertamento per operazioni inesistenti. La Cassazione ha rigettato il ricorso, chiarendo i limiti della motivazione per relationem. La Corte ha stabilito che non basta un mero rinvio alla sentenza precedente; il giudice deve dimostrare una valutazione autonoma e critica dei fatti, come avvenuto nel caso di specie.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 3 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Motivazione per relationem: quando un giudice può richiamare un’altra sentenza?

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale del processo: la motivazione per relationem. Questa tecnica, che consente a un giudice di motivare la propria decisione facendo riferimento a un altro atto, presenta dei limiti precisi per garantire il diritto di difesa. Il caso analizzato riguarda un contenzioso tributario, ma i principi espressi hanno una valenza generale.

I fatti del caso: dall’avviso di accertamento al ricorso in Cassazione

La vicenda trae origine da un avviso di accertamento notificato a un contribuente per l’anno d’imposta 2012. L’Amministrazione Finanziaria contestava maggiori imposte (Irpef, Irap, Iva e addizionali) e sanzioni, sulla base di presunte fatturazioni per operazioni inesistenti intrattenute con un’altra ditta.
Il contribuente ha impugnato l’atto, lamentando diversi vizi, tra cui la mancanza di delega del funzionario firmatario e l’insufficiente motivazione. I primi due gradi di giudizio si sono conclusi in modo sfavorevole per il cittadino, che ha quindi deciso di ricorrere alla Corte di Cassazione. Il fulcro della sua difesa in sede di legittimità era la critica alla sentenza d’appello, accusata di essersi limitata a una mera adesione alla decisione di primo grado, senza una valutazione critica propria: una classica censura sulla legittimità della motivazione per relationem.

La questione della motivazione per relationem nel processo

Il cuore del problema legale risiede nel capire fino a che punto un giudice d’appello possa ‘appoggiarsi’ alla sentenza del giudice precedente. Un semplice ‘copia e incolla’ o un generico richiamo non sono sufficienti, poiché svuoterebbero di significato il giudizio di secondo grado, che deve rappresentare un riesame effettivo della controversia. La legge e la giurisprudenza hanno quindi delineato i confini entro cui questa pratica è ammissibile.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso del contribuente, ritenendolo infondato. Pur considerando ammissibile il motivo di ricorso che cumulava diverse censure, i giudici hanno concluso che, nel caso specifico, la corte d’appello non si era limitata a un’adesione passiva. Al contrario, la sentenza impugnata mostrava un’autonomia di giudizio, con ampi e pertinenti riferimenti a precedenti giurisprudenziali e una valutazione delle prove, come le dichiarazioni del titolare dell’altra ditta coinvolta.

Le motivazioni della Corte: i limiti alla motivazione per relationem

La Cassazione ha colto l’occasione per ribadire con chiarezza i principi che governano la materia. La motivazione di una sentenza può essere redatta ‘per relationem’ rispetto a un’altra decisione (anche non definitiva) solo a due condizioni fondamentali:

1. Deve essere ‘autosufficiente’: La sentenza deve riprodurre i contenuti essenziali dell’atto richiamato, in modo che il lettore possa comprendere le ragioni della decisione senza dover consultare altri documenti.
2. Deve contenere una valutazione critica e autonoma: Il giudice non può limitarsi a fare proprio il ragionamento altrui. Deve dimostrare di averlo analizzato, vagliato e contestualizzato nella causa specifica, esplicitando le ragioni che lo portano a condividerlo. In sostanza, deve far emergere la propria, personale, valutazione.

Una sentenza che si limiti a indicare la fonte di riferimento, senza questi elementi, è nulla per vizio di motivazione.

Le conclusioni e le implicazioni pratiche

Questa ordinanza conferma un orientamento consolidato, fondamentale per la tutela del diritto di difesa. Le parti di un processo hanno diritto a una motivazione completa ed esaustiva in ogni grado di giudizio. Una sentenza d’appello deve dimostrare che le lamentele (i motivi di gravame) sono state esaminate e valutate nel merito. Per i difensori, ciò significa che è sempre possibile e doveroso contestare una sentenza d’appello che appaia come una mera fotocopia di quella di primo grado. Per i giudici, rappresenta un monito a non abdicare al proprio dovere di valutazione autonoma, anche quando condividono le conclusioni del collega che li ha preceduti.

Un giudice può motivare una sentenza facendo riferimento a un altro atto?
Sì, ma a condizioni molto precise. Secondo la Corte di Cassazione, la ‘motivazione per relationem’ è legittima solo se la sentenza che la adotta riproduce i contenuti essenziali dell’atto richiamato e, soprattutto, li sottopone a una propria, autonoma e critica valutazione nel contesto specifico della causa. Un mero rinvio passivo non è sufficiente.

È possibile presentare in Cassazione un unico motivo di ricorso che contiene più critiche diverse alla sentenza impugnata?
Sì. La Corte ha ritenuto ammissibile un ricorso che cumula in un unico motivo diverse censure (in questo caso, violazione di legge e vizi procedurali), a condizione che la formulazione consenta di cogliere con chiarezza le singole doglianze, permettendone un esame separato e specifico.

Perché la Corte ha ritenuto che in questo caso la motivazione per relationem fosse valida?
Perché la sentenza d’appello, pur richiamando la decisione di primo grado, non si è limitata a una mera adesione. I giudici di Cassazione hanno riscontrato che la corte territoriale aveva sviluppato un’argomentazione autonoma, con ampi riferimenti a principi giurisprudenziali e un’analisi delle prove (come le dichiarazioni di terzi), dimostrando così di aver riesaminato criticamente la vicenda processuale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati