Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 28907 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 28907 Anno 2025
Presidente: LA COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18566/2016 R.G. proposto da : COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende; -ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della PUGLIA n. 35/2016 depositata il 14/01/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/09/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ha ricevuto la notifica di tre avvisi di accertamento da parte dell’RAGIONE_SOCIALE relativi agli anni d’imposta 2007 e 2008, con contestazioni in materia di IRPEF, IRAP e IVA e richiesta dei maggiori importi dovuti. Gli accertamenti si fondavano
su indagini bancarie che avevano rilevato versamenti e prelievi ritenuti non giustificati. L’Ufficio ha ricondotto tali movimentazioni a redditi non dichiarati, qualificandoli come redditi d’impresa.
Il contribuente ha impugnato gli avvisi dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Bari, sostenendo che le somme versate derivavano da redditi già dichiarati, da incassi aziendali, da fitti regolarmente tassati e da somme ricevute da familiari. Ha inoltre eccepito l’erronea applicazione RAGIONE_SOCIALE norme sull’accertamento fiscale, la mancata considerazione degli studi di settore e dei costi deducibili, nonché l’illegittima applicazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni.
La CTP di Bari, con sentenza n. 206/01/2013, ha riunito i ricorsi e li ha accolti parzialmente: ha annullato le riprese a tassazione relative ai prelievi, ritenendo le giustificazioni del contribuente sufficienti o riferibili a importi modesti, ma ha confermato integralmente le riprese sui versamenti. Per l’anno 2007 ha riconosciuto l’adeguamento spontaneo agli studi di settore per € 24.718,00, rideterminando il reddito accertato da € 132.634,00 a € 107.916,00. Per l’anno 2008 ha confermato integralmente l’accertamento.
Il contribuente ha proposto appello dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale di Bari, ribadendo le doglianze già espresse in primo grado. L’Ufficio ha resistito con controdeduzioni, chiedendo la conferma della sentenza di primo grado. La CTR, con sentenza n. 35/14/2016, ha rigettato integralmente l’impugnazione, ritenendo prive di valore probatorio le giustificazioni fornite dal contribuente in merito alle movimentazioni bancarie effettuate in contanti.
Il ricorso per cassazione del contribuente è ora affidato a otto motivi. Resiste con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo , il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 38, commi 1 e 3, del D.P.R. 600/1973, per non aver la CTR scomputato dal
reddito accertato quello già regolarmente dichiarato. Secondo il contribuente, l’Ufficio ha sommato l’intero importo RAGIONE_SOCIALE movimentazioni bancarie al reddito già dichiarato, generando una duplicazione d’imposta e ignorando il principio di capacità contributiva.
Con il secondo motivo , si deduce, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione dell’art. 38, comma 1, del D.P.R. 600/1973, per aver l’Ufficio proceduto alla rettifica del reddito d’impresa del contribuente, pur avendo operato ai sensi di una norma che consente la rettifica del solo reddito complessivo RAGIONE_SOCIALE persone fisiche. Tale impostazione ha comportato l’illegittima applicazione di IRAP, IVA e contributi previdenziali.
Con il terzo motivo , il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione dell’art. 116, comma 1, c.p.c., per omessa valutazione RAGIONE_SOCIALE prove documentali offerte, tra cui scritture contabili, dichiarazioni dei redditi, ricevute di fitti e prospetti riepilogativi. La CTR avrebbe ignorato tali elementi, limitandosi a considerare le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà come meri indizi.
Con il quarto motivo , si deduce, a mente dell’art. 360, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, costituito dalla legittima disponibilità RAGIONE_SOCIALE somme versate sui conti correnti, derivanti da redditi già tassati o da fonti lecite (incassi aziendali, fitti, somme da coniuge e genitore). La mancata valutazione di tali circostanze ha impedito una corretta ricostruzione del reddito.
Con il quinto motivo , si contesta la nullità della sentenza per motivazione assente o meramente apparente in relazione a una pluralità di eccezioni, ossia segnatamente: omessa considerazione dei costi deducibili, in violazione del principio di capacità contributiva e della giurisprudenza costituzionale e di legittimità; omessa considerazione degli studi di settore, nonostante il contribuente risultasse congruo e coerente; non completa
riferibilità dei movimenti bancari al contribuente, in particolare per conti cointestati; errata applicazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni, sia in relazione al cumulo giuridico pluriennale, sia per la duplicazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni IVA (omessa emissione e dichiarazione infedele).
Con il sesto motivo , si lamenta la violazione dell’art. 36, comma 2, D.lgs. 546/1992 e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., per aver la CTR omesso una motivazione autonoma, limitandosi a un generico rinvio alla sentenza di primo grado e alle controdeduzioni dell’Ufficio, prive a loro volta di motivazione specifica sulle eccezioni sollevate.
Con il settimo motivo , si deduce la nullità della sentenza per mancanza di contenuto certo, attuale e concreto, in quanto la CTR non ha proceduto alla determinazione dell’ammontare RAGIONE_SOCIALE imposte e RAGIONE_SOCIALE sanzioni dovute, violando l’art. 35, comma 3, D.lgs. 546/1992.
Con l’ ottavo motivo , si denuncia la violazione e falsa applicazione del medesimo art. 35, comma 3, D.lgs. 546/1992, per aver la CTR emesso una sentenza non definitiva, omettendo di pronunciarsi su tutte le domande dell’appellante e di rideterminare il quantum dell’imposizione.
Il primo motivo di ricorso non coglie nel segno e deve essere disatteso.
Dalla lettura della sentenza impugnata emerge chiaramente che il recupero fiscale è stato operato in relazione a versamenti effettuati dal contribuente e non giustificati, secondo quanto accertato dalla Commissione territoriale. Il ricorso, per contro, risulta carente sotto il profilo della specificità e dell’autosufficienza, in quanto non riproduce né indica puntualmente il contenuto degli atti impositivi, limitandosi ad affermare, in modo generico, l’esistenza di una duplicazione d’imposta, senza tuttavia fornire gli elementi necessari per verificare l’effettiva sussistenza di un errore nel calcolo del maggior reddito accertato.
Come più volte ribadito da questa Corte, il ricorso per cassazione, in ossequio al principio di autosufficienza, deve contenere in sé tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni della censura e a consentire al giudice di legittimità di valutarne la fondatezza, senza dover ricorrere all’esame diretto degli atti del giudizio di merito (cfr. Cass. 15 luglio 2015, n. 14784; Cass. 27 luglio 2017, n. 18679; Cass., Sez. U., 27 dicembre 2019, n. 34469). Il ricorrente ha, pertanto, l’onere di indicare specificamente -a pena di inammissibilità – gli atti e i documenti su cui fonda le proprie doglianze, mediante la loro riproduzione diretta o, quantomeno, indiretta, con precisa indicazione della parte rilevante e del luogo in cui tali atti risultano prodotti nel fascicolo di causa.
Anche a voler tener conto dell’orientamento più recente RAGIONE_SOCIALE Sezioni Unite (Cass., Sez. U., 18 marzo 2022, n. 8950), secondo cui il principio di autosufficienza non deve essere interpretato in senso eccessivamente formalistico, in modo da comprimere il diritto di difesa e l’accesso alla giustizia, resta fermo l’onere per il ricorrente di indicare con puntualità il contenuto degli atti richiamati e la loro collocazione nel fascicolo, al fine di consentire al giudice di cogliere con chiarezza la portata RAGIONE_SOCIALE censure sollevate.
Il secondo motivo è infondato.
L’art. 38, comma 1, del D.P.R. n. 600 del 1973 consente all’Amministrazione finanziaria di procedere alla rettifica del reddito complessivo RAGIONE_SOCIALE persone fisiche quando quello dichiarato risulti inferiore a quello effettivo, anche sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti. La norma prevede che la rettifica possa avvenire con riferimento analitico alle singole categorie reddituali, tra cui rientra anche il reddito d’impresa, e consente altresì la determinazione sintetica del reddito sulla base RAGIONE_SOCIALE spese sostenute nel periodo d’imposta.
Pertanto, non è corretto ritenere che l’Ufficio abbia applicato erroneamente l’art. 38 solo perché ha proceduto alla rettifica del
reddito d’impresa. La norma, infatti, non limita l’accertamento al solo reddito da lavoro dipendente o da altre fonti, ma consente di intervenire anche sulle componenti reddituali di natura imprenditoriale, purché facenti parte del reddito complessivo della persona fisica.
Nel caso di specie, la rettifica ha riguardato proprio il reddito d’impresa, come accertato in fatto dal giudice di merito. Il contribuente non ha fornito alcuna prova idonea a dimostrare che le somme versate sui conti correnti avessero una provenienza estranea all’attività economica esercitata.
Inoltre, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, la presunzione legale relativa di disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle movimentazioni bancarie ai sensi dell’art. 32, comma 1, n. 2, del medesimo D.P.R. n. 600 del 1973, si applica alla generalità dei contribuenti, e non solo ai titolari di reddito d’impresa o di lavoro autonomo (Cass. 9403/2024; Cass. 29572/2018). A seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, è stato chiarito che i prelevamenti bancari assumono valore presuntivo solo per i titolari di reddito d’impresa, mentre i versamenti mantengono efficacia presuntiva per tutti i contribuenti, salvo prova contraria specifica, analitica e documentale.
Nel caso in esame, tale prova non è stata fornita, né è sufficiente una giustificazione generica o cumulativa. Non è inoltre ammissibile una presunzione semplice in senso contrario.
Il terzo motivo è inammissibile.
Il motivo difetta dei requisiti di specificità e autosufficienza richiesti dall’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., in quanto non riporta né riassume adeguatamente il contenuto degli atti e dei documenti su cui si fonda la censura, né ne indica con precisione la collocazione nel fascicolo di causa. Come costantemente affermato da questa Corte (Cass. 15 luglio 2015, n. 14784; Cass. 27 luglio 2017, n. 18679; Cass., Sez. U., 27 dicembre 2019, n. 34469), il ricorso per
cassazione deve contenere in sé tutti gli elementi necessari a consentire la valutazione della fondatezza RAGIONE_SOCIALE doglianze, senza rinvii a fonti esterne.
Come già si è osservato, l’orientamento più recente RAGIONE_SOCIALE Sezioni Unite (Cass., Sez. U., 18 marzo 2022, n. 8950) supera l’interpretazione eccessivamente formalistica del principio di autosufficienza ma non esclude che il ricorrente debba comunque indicare puntualmente il contenuto degli atti richiamati e la loro presenza nel fascicolo, in modo da consentire al giudice di cogliere con chiarezza la portata della censura.
Nel caso di specie, il giudice di merito ha esercitato il proprio potere valutativo secondo il principio del prudente apprezzamento RAGIONE_SOCIALE prove, valorizzando le risultanze istruttorie. La doglianza relativa alla violazione dell’art. 116 c.p.c. è inammissibile, poiché non si denuncia l’attribuzione di un valore probatorio diverso da quello previsto dalla legge, ma si contesta, in realtà, il modo in cui il giudice ha esercitato il proprio apprezzamento, censura che può essere fatta valere solo nei limiti dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (Cass., Sez. U., 9 ottobre 2020, n. 20867).
Parimenti, il vizio di violazione di legge non può consistere in una diversa ricostruzione dei fatti di causa, ma deve riguardare un errore nell’interpretazione della norma giuridica applicata (Cass. 27 settembre 2017, n. 22707). Spetta infatti al giudice di merito selezionare e valutare le prove, attribuendo loro il valore ritenuto più idoneo, anche escludendo, anche implicitamente, quelle ritenute irrilevanti (Cass. 11 giugno 2014, n. 13485; Cass. 14 luglio 2009, n. 16499).
Quanto alle dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà, il giudice d’appello ha correttamente applicato il principio secondo cui, nel processo tributario, tali dichiarazioni -pur ammissibili come elementi indiziari – sono soggette alla libera valutazione del giudice (Cass. 7 ottobre 2024, n. 28022). Resta fermo, tuttavia, che esse
non possono assumere valore probatorio pieno, non potendo surrogare mezzi di prova non ammessi nel processo tributario, quali il giuramento o la prova testimoniale (Cass. 13 dicembre 2019, n. 32568), in conformità all’art. 7, comma 4, del d.lgs. n. 546 del 1992.
Il quarto motivo è inammissibile.
La censura, formalmente ricondotta al vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non supera il vaglio di ammissibilità, in quanto non individua alcun ‘fatto storico’ in senso tecnico -giuridico, ossia un fatto principale o secondario, costitutivo, impeditivo, modificativo o estintivo del diritto controverso, che sia stato oggetto di discussione tra le parti e il cui esame sarebbe stato omesso dal giudice di merito.
La ricorrente si limita a richiamare genericamente la ‘legittima disponibilità’ RAGIONE_SOCIALE somme versate sui conti correnti, asseritamente derivanti da fonti lecite o già tassate (incassi aziendali, fitti, somme da coniuge o genitore), senza tuttavia indicare in modo puntuale e autosufficiente quale sia il fatto concreto, specifico e controverso che sarebbe stato trascurato dalla Commissione tributaria regionale. In tal modo, la censura si risolve in una mera deduzione difensiva, priva di riferimenti precisi a un fatto storico rilevante e decisivo, come richiesto dalla giurisprudenza di legittimità (Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053; Cass., 8 settembre 2016, n. 17761; Cass., 13 dicembre 2017, n. 29883).
Come chiarito dalle Sezioni Unite, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo può dirsi sussistente solo quando il fatto sia stato effettivamente dedotto in giudizio, sia stato oggetto di discussione tra le parti e, se esaminato, avrebbe potuto condurre a una diversa decisione. Non è sufficiente, invece, il mancato esame di elementi istruttori o di argomentazioni difensive, né è ammissibile una censura che solleciti una nuova valutazione del materiale probatorio (Cass., Sez. U., 20 giugno 2018, n. 16303).
Nel caso in esame, la sentenza impugnata espone una motivazione coerente e comprensibile, fondata sulla mancata giustificazione di versamenti bancari ‘ripetuti’ e ‘per importi elevati’, ritenuti sintomatici di maggior reddito non dichiarato. Non ricorre, pertanto, alcuna RAGIONE_SOCIALE ipotesi di anomalia motivazionale che integrano violazione di legge costituzionalmente rilevante, secondo i parametri fissati dalla giurisprudenza di legittimità (Cass., Sez. U., 28 ottobre 2020, n. 23746; Cass., n. 7090/2022).
In definitiva, il motivo è inammissibile per difetto di specificazione del fatto storico decisivo e per la sua sostanziale riconduzione a una richiesta di rivalutazione del merito, inammissibile in sede di legittimità.
Il quinto motivo è fondato.
La sentenza impugnata si limita a un generico rinvio per relationem alla motivazione della sentenza di primo grado e alle controdeduzioni dell’Ufficio, senza sviluppare un autonomo percorso argomentativo in ordine alle specifiche censure sollevate dall’appellante.
In particolare, la Commissione territoriale, dopo aver esaminato alcune RAGIONE_SOCIALE doglianze principali, conclude il proprio iter motivazionale affermando testualmente:
«Con riguardo agli ulteriori motivi di gravame, si rinvia alla motivazione della sentenza impugnata ed alle controdeduzioni dell’Ufficio impositore, che si condividono integralmente.»
Tale affermazione, priva di ulteriori specificazioni, non consente di comprendere se e in che misura il giudice d’appello abbia effettivamente esaminato le censure proposte, né consente di ricostruire il percorso logico -giuridico seguito per giungere al rigetto dell’appello. Il rinvio per relationem , per essere legittimo, deve essere sorretto da una motivazione che dia conto RAGIONE_SOCIALE ragioni per cui il giudice d’appello ritiene di condividere le argomentazioni
richiamate, e non può risolversi in una mera adesione acritica e indifferenziata (cfr. Cass. n. 9105/2017; Cass. n. 16037/2019).
Nel caso di specie, la motivazione per relationem si presenta come generica e non autosufficiente, in quanto, risolvendosi in un’abdicazione sostanziale all’esercizio di un vaglio critico svincolato e indipendente, non permette di verificare se il giudice d’appello abbia effettivamente esaminato le questioni devolute alla sua cognizione, né se abbia valutato in modo autonomo e consapevole le difese dell’appellante.
Il sesto motivo , il settimo motivo e l’ ottavo motivo rimangono assorbiti.
Il ricorso va, in ultima analisi, accolto in relazione al quinto motivo, disattese le prime quattro censure e assorbiti gli ulteriori mezzi. La sentenza d’appello va cassata e la causa rinviata per un nuovo esame e per la regolazione RAGIONE_SOCIALE spese del presente giudizio alla Corte di Giustizia Tributaria della Puglia in diversa composizione.
P.Q.M.
accoglie il quinto motivo del ricorso, respinti i primi quattro e assorbiti gli ulteriori motivi. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa per un nuovo esame e per la regolazione RAGIONE_SOCIALE spese del presente giudizio alla Corte di Giustizia Tributaria della Puglia in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 25/09/2025
Il Presidente NOME COGNOME