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Motivazione per relationem: Cassazione annulla sentenza

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza tributaria che si basava su un’altra decisione non ancora definitiva. La Corte ha stabilito che la motivazione per relationem è illegittima se non riproduce e valuta criticamente il contenuto richiamato, configurandosi altrimenti come ‘motivazione apparente’. Il caso riguardava l’accertamento fiscale a carico di un socio, legato a quello della società partecipata.

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Pubblicato il 24 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Motivazione per Relationem: la Cassazione annulla la sentenza che si limita a richiamare un’altra decisione

L’ordinanza in esame offre un importante chiarimento sui limiti della motivazione per relationem nel processo, specialmente quando la decisione richiamata non è ancora passata in giudicato. La Suprema Corte ha ribadito che un giudice non può limitarsi a un mero rinvio a un’altra sentenza, ma deve rendere le ragioni del proprio convincimento autonome e verificabili, pena la nullità della sentenza per ‘motivazione apparente’.

I Fatti di Causa: L’accertamento al socio e il legame con la società

Il caso trae origine da un avviso di accertamento fiscale notificato a un contribuente per l’anno d’imposta 2010. L’Amministrazione Finanziaria imputava al socio i redditi derivanti dalla sua partecipazione (pari al 50%) in una società a ristretta base partecipativa. Tali redditi corrispondevano a presunti utili extra-contabili che l’Agenzia aveva accertato in capo alla società stessa con un atto separato.

Il contribuente impugnava l’atto, sostenendo, tra le altre cose, che l’accertamento presupposto, quello nei confronti della società, era stato annullato in un altro giudizio per un vizio di notifica. I giudici di primo e secondo grado (Commissione Tributaria Provinciale e Regionale) accoglievano le ragioni del socio. In particolare, la Commissione Tributaria Regionale (CTR) rigettava l’appello dell’Ufficio Fiscale affermando che l’annullamento dell’accertamento societario, confermato dalla stessa CTR in un’altra sentenza, comportava automaticamente il venir meno della pretesa fiscale nei confronti del socio, data la stretta connessione tra i due atti.

Il Ricorso in Cassazione e il problema della motivazione per relationem

L’Agenzia delle Entrate ha presentato ricorso per cassazione, basandolo su quattro motivi. Tra questi, il più rilevante, esaminato in via preliminare dalla Suprema Corte, denunciava la nullità della sentenza della CTR per motivazione apparente. Secondo l’Agenzia, i giudici d’appello si erano limitati a richiamare apoditticamente la decisione assunta nel parallelo giudizio societario, senza esporre le ragioni specifiche del rigetto dell’appello e, soprattutto, facendo riferimento a una sentenza non ancora passata in giudicato. Questo, secondo la ricorrente, rendeva impossibile un controllo sulla logicità e correttezza del ragionamento seguito.

Le Motivazioni della Suprema Corte: Quando la motivazione è solo apparente

La Corte di Cassazione ha accolto il motivo relativo alla motivazione apparente, assorbendo tutti gli altri. Gli Ermellini hanno riaffermato un principio consolidato nella loro giurisprudenza: una sentenza è viziata da omessa o apparente motivazione quando il giudice non indica gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento o li espone senza un’adeguata disamina logico-giuridica. In questi casi, la decisione è priva del cosiddetto ‘minimo costituzionale’ richiesto dall’art. 111 della Costituzione.

La Corte ha specificato che la motivazione per relationem è legittima solo a due condizioni:
1. Se si riferisce a una sentenza che ha già valore di giudicato tra le parti.
2. Se, pur riferendosi a una sentenza non definitiva, ne riproduce i contenuti essenziali, li recepisce autonomamente e li vaglia criticamente nel contesto della causa da decidere.

Nel caso di specie, la CTR si era limitata a un mero rinvio alla sentenza relativa alla società, senza riprodurne il contenuto e senza sottoporlo a una valutazione critica autonoma. Tale modo di procedere, secondo la Cassazione, non permette di individuare le ragioni a fondamento della decisione e rende la sentenza nulla ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c. La sentenza impugnata è stata quindi cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado in diversa composizione.

Conclusioni: L’obbligo di motivazione autonoma del giudice

Questa pronuncia sottolinea un principio fondamentale dello stato di diritto: ogni decisione giurisdizionale deve essere autosufficiente e permettere alle parti e al giudice superiore di comprendere l’iter logico-giuridico seguito. Il ricorso alla motivazione per relationem è uno strumento che deve essere usato con cautela. Quando si fa riferimento a un’altra pronuncia, specialmente se non definitiva, il giudice ha l’obbligo di ‘farla propria’, ovvero di incorporarne il contenuto nel suo ragionamento e dimostrare di averlo analizzato criticamente alla luce del caso specifico. Un semplice rinvio formale non è sufficiente e trasforma la motivazione in un guscio vuoto, con la conseguente nullità della sentenza.

Un giudice può motivare una sentenza semplicemente richiamando un’altra decisione?
No, non può farlo in modo acritico. La motivazione ‘per relationem’ è legittima solo se si riferisce a una sentenza già passata in giudicato oppure se, pur riferendosi a una non definitiva, ne riproduce i contenuti essenziali e li sottopone a una valutazione autonoma e critica.

Cosa succede se la sentenza richiamata non è ancora definitiva?
Se la sentenza richiamata non è definitiva, il giudice deve essere particolarmente rigoroso. Deve riprodurre i contenuti rilevanti della decisione richiamata e integrarli nel proprio percorso logico-argomentativo, rendendo la sua sentenza ‘autosufficiente’ e comprensibile senza la necessità di consultare l’altro atto.

Qual è la conseguenza di una ‘motivazione apparente’ in una sentenza?
Una motivazione apparente, che si verifica quando il giudice si limita a un mero rinvio a un’altra fonte senza esporre un proprio ragionamento, determina la nullità della sentenza. Questo vizio può essere fatto valere in Cassazione e comporta l’annullamento della decisione con rinvio a un altro giudice per un nuovo esame.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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