Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16843 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 16843 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CANDIA COGNOME
Data pubblicazione: 19/06/2024
contribuente condurrebbe ad un risultato tre volte maggiore di quello dichiarato dalla contribuente, in quanto il conteggio era stato effettuato senza prendere in considerazione il valore indicato dalla società (340.000,00 per l’anno 2013, ma il contestato importo di 680.000,00 €), segnalando sul punto che, comunque, il valore che ne era derivato (pari a 3.000.000,00 €) era di gran lunga maggiore di quello accertato nell’avviso impugnato (di oltre 4.400.000,00 €).
Con il quarto motivo di impugnazione, la ricorrente ha denunciato, nella prospettiva di cui all’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame RAGIONE_SOCIALE circostanze di fatto, secondo cui:
«in nessuno degli anni antecedenti alla stipula del contratto di cessione dell’azienda RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE, la prima aveva percepito canoni per l’affitto della propria azienda pari a 990.000,00 €» (v. pagina n. 36 del ricorso).
-l’RAGIONE_SOCIALE aveva rappresentato negli avvisi di accertamento emessi per gli anni 2013 e 2014, ai fini RAGIONE_SOCIALE imposte dirette ed Iva, che il canone annuo di affitto di azienda per l’anno 2013 era di 340.000,00 €.
Con la quinta ragione di contestazione, avanzata in via subordinata, la società ha dedotto, con riguardo al parametro dell’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 132, secondo comma, num. 4 e 118 disp att./trans. cod. proc. civ., nonché dell’art. 36, comma 2, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, lamentando la manifesta ed evidente illogicità della sentenza impugnata e l’irriducibile contrasto tra le sue inconciliabili affermazioni, nella parte in cui prima ha assunto che il canone di affitto originariamente pattuito (pari secondo l’Ufficio a 990.000,00 €) non aveva subito riduzioni, per poi accertare che esso ammontava per le annualità successive al 2013 a 680.000,00 €, senza considerare che l’ente impositore aveva applicato il suddetto criterio, capitalizzando il canone annuo di 990.000,00 € per un arco temporale di sei anni, ponendo quindi in rilievo che coerentemente alla motivazione addotta avrebbe dovuto annullare quantomeno parzialmente l’atto impositivo, rilevando l’erronea determinazione dell’importo capitalizzato.
Tanto ricapitolato, va preliminarmente dichiarata la tardività della notifica del controricorso dell’RAGIONE_SOCIALE, siccome eseguita il 27 aprile 2020, a fronte di un ricorso notificato il 4 giugno 2019 e, quindi, ben oltre il termine (di quaranta giorni) di cui all’art. 370, primo comma, cod. proc. civ. ratione temporis applicabile prima RAGIONE_SOCIALE modifiche introdotte dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149.
Il ricorso va accolto nei termini che seguono.
Va respinto il primo motivo di impugnazione con cui la società ha sostenuto che l’avviso di liquidazione fosse radicalmente nullo per difetto di motivazione, in ragione di una sua elaborazione tramite astratte formule matematiche stereotipate, senza nessun aggancio alla concreta realtà aziendale oggetto di cessione ed alla documentazione offerta.
Si tratta di un profilo formale preliminare, attinente alla giuridica esistenza dell’atto, non sovrapponibil e ed equiordinato rispetto alle questioni di merito (cfr., su tali principi, Cass., Sez. II, 9 gennaio 2024, n.693), che può condurre ad esiti dirimenti, il che ne impone la trattazione.
8.1. Il contenuto dell’avviso impugnato, correttamente riportato nel ricorso, dà conto che l’accertamento è stato fondato sulla documentazione contabile esibita dalla società ricorrente all’esito del questionario richiesto dall’Ufficio e si è basato sul «metodo della capitalizzazione del rendimento medio degli affitti», ritenuta «la modalità più aderente ai fini della valutazione del ramo aziendale», procedendo, in particolare, l’Ufficio «alla capitalizzazione del canone annuo pari a € 990.000,00 per un arco temporale di anni 6, durata minima di una locazione commerciale e per un tasso di attualizzazione del 9,50 rappresentato dal tasso di rischio specifico del settore dell’impresa (mediamente 7% per le aziende commerciali) e del tasso di mercato per investimenti a basso rischio (2%) » (così nell’avviso impugnato).
Risulta, quindi, che nell’avviso è stato chiaramente indicato come l’Ufficio abbia provveduto a determinare il valore dell’azienda ceduta ed in tale direzione va ribadito il principio consolidato espresso da questa Corte, secondo cui «in tema di determinazione dell’imposta di registro, l’obbligo di motivazione dell’avviso di accertamento in rettifica, avendo la funzione di delimitare l’ambito RAGIONE_SOCIALE ragioni deducibili dall’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa e, al contempo, di consentire l’esercizio del diritto di difesa del contribuente, deve ritenersi adempiuto mediante l’enunciazione del criterio astratto, in base al quale la rettifica è stata operata, poiché solo nella fase contenziosa l’Amministrazione ha l’onere di provare l’effettiva sussistenza dei presupposti fattuali per l’applicazione del criterio prescelto (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 25153 del 08/11/2013; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 11560 del 06/06/2016; Sez. 5, Ordinanza n. 22148 del 22/09/2017; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 24449 del 08/08/2022)» (così, anche da ultimo, Cass., Sez. T, 15 gennaio 2024, n. 1451 e anche, tra le tante, Cass., Sez. V, 24 giugno 2021, n. 18106 e 18103).
In relazione al merito della controversia, risulta prioritario, sul piano logico e giuridico e per il suo carattere decisivo, l’esame del quinto motivo relativo al dedotto, insanabile, contrasto tra affermazioni della motivazione ritenute non conciabili tra di loro, come tali integranti l’eccepita nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ.
E ciò, dando seguito, a fronte della proposizione del motivo «in via subordinata», al principio applicato in tema di ricorso incidentale subordinato, secondo cui la natura condizionata dello stesso « non ne preclude ineludibilmente l’esame e la decisione con priorità, ossia senza tenere conto della sua subordinazione all’accoglimento del ricorso principale, “quando sia fondato su una ragione più liquida che consenta di modificare l’ordine RAGIONE_SOCIALE questioni da trattare, in adesione alle esigenze di celerità del giudizio e di economia processuale di cui agli artt. 24 e 111 Cost.” (Cass. n. 23531 del 18/11/2016)» (cfr. Cass. Sez. T. 19 aprile 2018, n. 9671).
La censura risulta fondata.
Come sopra esposto, l’avviso impugnato ha ricalcolato il valore del ramo di azienda, commisurandolo alla somma complessiva di 4.441.041,00 € (di cui 4.393.041,00 e per avviamento e 48.000,00 e per le immobilizzazioni materiali), il tutto capitalizzando il canone annuo, stimato in 990.000,00 €.
Il Giudice regionale ha, preliminarmente, dato atto che la Commissione provinciale Giudice aveva accertato che il primo contratto di affitto (del 31 marzo 2009) aveva stabilito un canone annuo di 990.000,00 € ed ha, poi, ritenuto che «La circostanza addotta dalla contribuente RAGIONE_SOCIALE intervenute modificazioni del contratto di affitto che avrebbero comportato la riduzione del canone risulta smentita dalla documentazione prodotta dalla stessa società contribuente. Infatti, dall’atto notarile in data 10.05.2012 modificativo del contratto d’affitto in azienda sottoscritto in data 31.03.2009, risulta che il canone annuo dal 14.05.2012 al 13.05.2013 è stato è pari ad euro 340.000,00, per le annualità successive il canone è di euro 680.000,00».
Da quanto precede deriva che il Giudice d’appello ha, in punto di fatto, accertato che il canone iniziale dell’affitto di azienda era stato stabilito nella somma di 990.000,00 €, mentre dal 14 maggio 2012 al 13 maggio 2013 era stato determinato nell’importo di 340.000,00 €, laddove per le annualità successive il canone era stato quantificato nella misura di 680.000,00 €.
Ciò nondimeno, a fronte di una accertata diversità dei canoni verificati, non si comprende come la Commissione sia giunta alla conclusione secondo cui le dedotte modifiche del canone erano risultate smentite dalla documentazione prodotta dalla medesima società.
In realtà, tale statuizione, confermata dall’accoglimento dall’appello proposto dall’RAGIONE_SOCIALE e dall’espressa conferma dell’avviso impugnato, basato -come detto sull’invariato canone unico annuo di 990.000,00 €, risulta -all’evidenza – irrimediabilmente inconciliabile con il menzionato accertamento di una significativa diversità dei canoni.
Sotto tale profilo, pertanto, sussiste il dedotto, insanabile, contrasto tra le suddette affermazioni e statuizioni, che vale ad integrare l’eccepita ipotesi di nullità della sentenza, tenuto conto che «Le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 RAGIONE_SOCIALE preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. S.U. n. 8053/2014)» (così, tra le
tante, Cass., Sez., I, 3 marzo 2022, n. 7090 e, nello stesso senso, sul piano dei principi, da ultimo, Cass., Sez. T. 23 gennaio 2024, n. 2251 e Cass., Sez. III, 15 gennaio 2024, n. 1555).
L’accoglimento del quinto motivo comporta la nullità della sentenza, che va quindi cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria della Lombardia -in altra composizione – restando in tale esito assorbito l’esame del secondo, terzo e quarto motivo di impugnazione, tutti attinenti alla determinazione, sotto vari profili, del valore dell’avviamento, dovendo il Giudice del merito rinnovare la sua valutazione e motivazione sulla determinazione del valore dell’azienda ceduta e, quindi, della base imponibile dell’imposta in oggetto, esaminando gli elementi probatori processualmente acquisiti e, dunque, anche quelli della cui omessa valutazione o errata percezione la contribuente si è doluta.
Il Giudice del rinvio regolerà anche le spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
la Corte accoglie il quinto motivo di ricorso, rigetta il primo, dichiara assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in altra composizione, perchè provveda agli accertamenti indicati in parte motiva, oltre a regolare le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 13 febbraio 2024.