Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19768 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 19768 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 8185/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rapp.te pro tempore NOME COGNOME rappresentata e difesa, per procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME presso il quale ha eletto domicilio in ROMA, INDIRIZZO
-ricorrente – contro
AGENZIA DELLE ENTRATE
IRES ACCERTAMENTO
-intimata –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia n. 2889/2015, depositata il 30 dicembre 2015; udita la relazione svolta dal consigliere dott. NOME COGNOME nella pubblica udienza del 5 giugno 2025; dato atto che il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle entrate notificò a RAGIONE_SOCIALE un avviso di accertamento con il quale ne rettificava il reddito, a fini Ires per l’anno d’imposta 2007, oltre ad irrogare sanzioni.
La pretesa erariale traeva origine da un’articolata operazione negoziale della quale l’Erario aveva ritenuto il carattere elusivo ai sensi dell’art. 37 -bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.
Detta operazione, in particolare, era così congegnata:
-il 5 dicembre 2006 NOME COGNOME, legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE ne aveva ceduto l’80% delle quote a RAGIONE_SOCIALE, controllata al 90% da RAGIONE_SOCIALE, riconducibile al medesimo COGNOME;
successivamente, RAGIONE_SOCIALE aveva ceduto verbalmente alla stessa RAGIONE_SOCIALE il credito d’imposta, pari a € 650.000,00, avente ad oggetto le imposte sui redditi relative all’anno 2003, rinunciando al corrispettivo onde migliorare il valore della partecipazione; detta cessione era poi stata formalizzata con scrittura privata registrata;
-nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno 2006, Tra.RAGIONE_SOCIALE aveva indicato l’importo del credito d’imposta fra le variazioni in diminuzione , come previsto dall’art. 88 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR) allora vigente, che escludeva le rinunzie dei soci ai crediti dalle sopravvenienze attive.
Secondo l’Amministrazione, tale operazione era sostanzialmente consistita nell’interposizione di RAGIONE_SOCIALE all’acquisto di parte del capitale sociale di RAGIONE_SOCIALE da parte di RAGIONE_SOCIALE; infatti, se le quote fossero state acquistate direttamente da tale società, la cessione gratuita del credito d’imposta avrebbe costituito liberalità tassabile .
L ‘operazione, pertanto, era stata congegnata al solo scopo di far conseguire a RAGIONE_SOCIALE un indebito vantaggio fiscale.
Infatti, al fine di non costituire sopravvenienza attiva, la rinunzia al credito nei confronti della società da parte di RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto dare luogo, ai sensi dell’art. 94, comma 6, TUIR allora vigente, all’iscrizione del suo importo in un fondo del n etto patrimoniale.
L’Ufficio rilevò, infine, che la sopravvenienza attiva, indicata a bilancio nel 2006, aveva prodotto in realtà i suoi effetti economici nell’esercizio successivo e, pertanto, la tassazione andava attribuita al corrispondente anno d’imposta.
La società impugnò l’atto impositivo innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Bari, che ne riconobbe le ragioni.
Il successivo appello erariale fu accolto con la sentenza indicata in epigrafe.
I giudici regionali ritennero, in via premessa, che la contestazione, operata dall’Ufficio nell’atto impositivo, di un atto elusivo ex art. 37bis del d.P.R. n. 600/1973 fosse incongrua ed indimostrata; come correttamente rilevato dalla C.T.P., infatti, il COGNOME aveva scelto liberamente di cedere ad RAGIONE_SOCIALE la propria partecipazione in RAGIONE_SOCIALE, vieppiù sul rilievo del fatto che la cessionaria, per la consistenza del suo netto patrimoniale, aveva risorse sufficienti per far fronte all’acquisto.
Meritava condivisione invece, la tesi erariale secondo cui la sopravvenienza attiva indicata a bilancio nel 2006 aveva in realtà prodotto i suoi effetti nell’anno d’imposta successivo, al quale dunque doveva imputarsi la relativa tassazione.
Infatti, nel bilancio 2006 di RAGIONE_SOCIALE il credito d’imposta ceduto da RAGIONE_SOCIALE e la contemporanea rinunzia al corrispettivo da parte di quest’ultima risultavano dalla giustapposizione nell’attivo della posta ‘crediti verso altri’ e nel conto economico della posta ‘proventi straordinari’, mentre la società contribuente aveva inserito l’importo fra le sopravvenienze attive non tassabili.
Ed invero, secondo la C.T.R. tale rappresentazione non era conforme alle finalità che RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE sostenevano di aver voluto conseguire con la cessione del credito e la successiva rinunzia allo stesso.
Infatti , per il caso di rinunzia di un socio al credito, l’art. 88, comma 4, TUIR allora vigente non autorizzava il recupero in minus di una sopravvenienza attiva, ma negava che la rinunzia avesse tale ultima natura, mentre, come sostenuto dall’Amministrazione, l’art. 94, comma 6, imponeva l’iscrizione in una specifica riserva del netto patrimoniale.
Non si giustificava, pertanto, il ritardo con il quale, dopo la rinunzia al credito, la cessionaria aveva notificato la cessione all’Agenzia delle entrate, ciò che avrebbe dovuto fare nello stesso anno in cui la stessa aveva avuto luogo; in alternativa, sarebbe stato necessario attribuire data certa alla rinunzia, onde attribuire inequivocabilmente al 2006 i relativi effetti di beneficio fiscale.
Era invece accaduto che la rinunzia al credito fosse stata appostata al contempo da RAGIONE_SOCIALE come sopravvenienza attiva e da RAGIONE_SOCIALE come sopravvenienza passiva, con attribuzione alla
stessa del carattere di liberalità, nello stesso anno d’imposta errato; ciò costituiva macroscopico indizio del fatto che la cessione e la rinunzia erano avvenute nell’anno successivo, nelle more della redazione delle scritture di chiusura e del bilancio di quell’anno, a seguito di una tardiva riconsiderazione dell’operazione.
Tanto aveva consentito alla società di non tassare la sopravvenienza, senza però riconoscere al socio cedente il maggior valore della sua partecipazione, come indirettamente confermato dal fatto che, conformemente a quanto rilevato dall’Amministrazione, nell’anno 2007 la partecipazione di RAGIONE_SOCIALE in RAGIONE_SOCIALE era stata limitata all’importo di acquisto di € 186.002,00.
Né, infine, la libertà delle forme che vige per la validità del negozio di cessione poteva consentire l’opponibilità all’Erario dell’affermata cessione verbale nell’anno 2006.
La sentenza d’appello è stata impugnata da RAGIONE_SOCIALE con ricorso per cassazione affidato a un unico motivo.
L ‘Agenzia delle entrate , ricevuta tempestiva e rituale notifica del ricorso, non ha svolto difese in questa sede.
Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
L’unico motivo denunzia nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, comma quarto, cod. proc. civ., dell’art. 36 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e dell’art. 111, comma sesto, della Costituzione.
La ricorrente assume che la pronunzia impugnata sarebbe sorretta da motivazione illogica e contraddittoria, in quanto l’avviso di accertamento oggetto del giudizio si fondava soltanto sul rilievo di un’operazione elusiva, che , invece, era stata esclusa
dapprima dai giudici di primo grado e, soprattutto, anche dagli stessi giudici d’appello.
Ad avviso della società, venuta a cadere tale ipotesi, la C.T.R. avrebbe dovuto rilevare il difetto di causa della ripresa a tassazione, essendo del tutto inconferente il diverso tema dell’errata imputazione temporale, posto invece a fondamento della statuizione che aveva riconosciuto come fondata la pretesa erariale.
Il motivo è fondato.
2.1. Com’è noto, in conformità all’orientamento inaugurato da questa Corte con le pronunzie nn. 8053 e 8054/2014 rese a Sezioni Unite, la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico, ma anche quelle che presentano un «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» ovvero una «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile».
In particolare, la motivazione illogica o contraddittoria alla quale si ricollega la sanzione della nullità è quella in esito al cui esame le ragioni della decisione risultano incomprensibili o rappresentante mediante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’ iter logico seguito per la formazione del convincimento del giudice, dimodoché non ne viene consentito alcun effettivo controllo di esattezza e coerenza (così, fra le altre, Cass. n. 27411/2021; Cass. sez. U, n. 16599/2016).
2.2. A tale ultimo novero, secondo la ricorrente, andrebbe acclusa la decisione impugnata, affetta da insanabile contraddittorietà laddove, una volta esclusa la fattispecie posta dall’Ufficio a sostegno della pretesa impositiva, ha comunque ritenuto di condivid ere quest’ultima in base ad una diversa ragione.
Ora, e come si è rilevato in fatto, i giudici regionali hanno ritenuto infondata l ‘ articolata contestazione, svol ta dall’Ufficio, di un’operazione artificiosa realizzata al fine di eludere l’imposizione, ai sensi dell’art. 37 -bis del d.P.R. n. 600/1973 allora vigente, concretizzatasi -come efficacemente esposto nella stessa sentenza d’appello (pag. 2) nel rilievo «di una liberalità tassabile ai sensi dell’rt. 88, comma 2, lett. b ), TUIR, anziché di una sopravvenienza attiva non tassabile».
Nondimeno, e sempre per le ragioni già esposte, essi hanno attribuito fondatezza alla pretesa erariale valutando in ottica diversa i fatti indicati dall’Amministrazione.
2.3. Una tale rivalutazione non ha comportato, ad avviso del Collegio, un’ immutazione della fattispecie sottoposta al l’esame del giudice tributario -ciò che, ad avviso della costante giurisprudenza di questa Corte, avrebbe comportato la nullità della sentenza per l’impiego, da parte sua, de l potere amministrativo tributario sostanziale che gli è invece precluso, in quanto spettante all’amministrazione finanziaria (così, espressamente, Cass. n. 5929/2010; Cass. n. 2531/2002; nello stesso senso, più recentemente, Cass. n. 502/2022) -ma ha riqualificato il quadro fattuale tracciato dall’atto impositivo, traendone diverse conseguenze sul piano effettuale (cfr. Cass. n. 6837/2023, Cass. n. 22400/2014), in conformità al principio in base al quale il giudizio ha ad oggetto il rapporto, e non unicamente l’atto impositivo.
Sennonché, nel punto in cui evidenzia in quali termini gli effetti delle operazioni poste in essere manterrebbero rilievo fiscale con riferimento alla posizione dell’odierna ricorrente , la stessa sentenza d’appello ha affermato (pag. 8) che «entrambe le società hanno inteso attribuire alla rinuncia al credito il
carattere di liberalità da parte del socio RAGIONE_SOCIALE, con ciò recuperando, pertanto, la connotazione di elusività dell’operazione oggetto di contestazione nell’atto impositivo.
In tal senso, pertanto, la decisione impugnata disvela la sua contraddittorietà: le affermazioni in essa contenute non appaiono infatti conciliabili e, in ogni caso, non consentono di individuare in quali termini, una volta esclusa la sussistenza di un’ope razione elusiva, permangano i presupposti per la ripresa a tassazione del reddito dell’odierna ricorrente.
Nei termini esposti, pertanto, il motivo va accolto e la sentenza d’appello dev’essere cassata con rinvio al giudice a quo , il quale, in diversa composizione, procederà al riesame della controversia, provvedendo altresì alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di