Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8797 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 8797 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/04/2025
Oggetto: II.DD. – IVA –
operazioni infragruppo
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9782/2023 R.G. proposto da AGENZIA DELLE RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t.; COGNOME, n.q. di curatore legale rappresentante del fallimento RAGIONE_SOCIALE; NOME COGNOME, n.q. di custode giudiziario della RAGIONE_SOCIALE;
avverso la sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Calabria n. 3467/2/2022 depositata il 9.11.2022 e non notificata.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 16 gennaio 2025 dal consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La sentenza della Commissione tributaria regionale della Calabria n. 3467/2/2023 depositata il 9.11.2022 e non notificata decideva sul l’appello proposto da ll’ Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Cosenza n. 6245/02/2021 che aveva accolto il ricorso introduttivo della RAGIONE_SOCIALE in fallimento.
Dalla lettura del ricorso si apprende che oggetto del contendere è un avviso di accertamento con il quale, in relazione all’anno 2015, venivano recuperate una maggiore IVA, IRAP, IRES e sanzioni sulla base di p.v.c., per un importo complessivo di euro 4.949.968,00 oltre interessi. Sulla base dell’indagine della Guardia di Finanza veniva contestato un meccanismo di compensazioni operato dalla società finalizzato a non far versare ai soci/dipendenti alcun contributo previdenziale e assicurativo a fronte di retribuzioni molto alte, sproporzionate rispetto a quelle generalmente percepite da dipendenti con la stessa qualifica, con il risultato di ottenere prestazioni previdenziali milionarie artificiosamente e indebitamente costituite. Per la società ricorrente, peraltro, come per altre facenti parte di un medesimo ‘gruppo’, era emersa una costante anti-economicità nella gestione imprenditoriale laddove, a fronte dei notevoli acquisti effettuati (dai quali scaturiva l’IVA a credito), erano state riscontrate vendite di entità notevolmente inferiore (da cui nasceva l’IVA a debito).
Nella sentenza impugnata si legge che la CTP aveva accolto il ricorso introduttivo del giudizio per violazione del principio del contraddittorio, risultando il pvc consegnato non all’amministratore assembleare, ma all’amministratore giudiziario della società, posta sotto sequestro giudiziario.
Al contrario, il giudice d’appello accoglieva la prospettazione dell’Agenzia ritenendo il contraddittorio endoprocedimentale correttamente instaurato. Osservava, inoltre, che nessuna doglianza rimasta assorbita in primo grado era stata riproposta e rigettava il gravame compensando le spese di lite, per la novità della questione di diritto affrontata.
Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per Cassazione l’ Agenzia delle entrate deducendo due motivi, mentre la contribuente è rimasta intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso viene dedotta, in relazione all’art. 360, comma 1, n.4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza e del procedimento per violazione e falsa applicazione degli artt. 111 Cost., commi 1, 2, e 36 del d. lgs. n. 546/1992, 132 n. 4 e 156 cod. proc. civ. e 118 delle disposizioni di attuazione, per insanabile contrasto tra quanto esposto in motivazione e quanto statuito in dispositivo, antinomia evidente che rende impossibile comprendere quale sia stata l’effettiva determinazione assunta dal giudice.
Il motivo è fondato.
2.1. In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente
mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (cfr. Cass. Sez. 1, ordinanza n. 7090 del 03/03/2022; conforme a Cass. Sez. 6-3, ordinanza n. 22598 del 25/09/2018 e Cass. Sez. U, sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
2.2. Tale è il caso di specie, in cui la laconica sentenza impugnata accoglie il motivo di appello dell’Agenzia, ma poi non esamina il merito della controversia e rigetta il gravame compensando le spese di lite per la pretesa novità della questione.
2.3. Né un’argomentazione logica che giustifichi tale conclusione distonica con la premessa motivazionale può essere tratta dall’aver il giudice apoditticamente considerato «nessuna doglianza rimasta assorbita in primo grado è stata riproposta».
Il Collegio rammenta che nel processo tributario, l’onere d’impugnazione specifica richiesto dall’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, norma speciale rispetto all’art. 342 c.p.c., è assolto anche ove l’Amministrazione finanziaria si limiti a ribadire e a riproporre in appello le stesse ragioni ed argomentazioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato già dedotte in primo grado. (Cass. Sez. 5, sentenza n. 25191 del 19/09/2024; conforme a Cass. Sez. 6 – 5, ordinanza n. 24641 del 05/10/2018)
Infatti, nel processo tributario la riproposizione a supporto dell’appello delle ragioni inizialmente poste a fondamento dell’impugnazione del provvedimento impositivo, dal lato del contribuente, ovvero della dedotta legittimità dell’accertamento, dal lato dell’Amministrazione finanziaria, in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado, assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dall’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992. Ciò che è necessario è che il dissenso investa la decisione nella sua interezza e, comunque, che dall’atto di gravame, interpretato nel suo complesso,
le ragioni di censura siano ricavabili, seppur per implicito, in termini inequivoci (Cass. Sez. 5, sentenza n. 32954 del 20/12/2018).
2.4. Nel ricorso a pag.6 si legge che l’Agenzia ha proposto appello «ribadendo la legittimità del proprio operato» e che «la società nel ricorso introduttivo, non aveva allegato alcuna documentazione comprovante le spese in contestazione e riprese a tassazione, in primis per violazione dell’art.109 TUIR » , a conferma che con l’appello, devolutivo, sono state poste all’attenzione del giudice anche le questioni di merito. Perciò, la motivazione è insanabilmente contraddittoria poiché accoglie la prospettazione dell’appellante sulla questione preliminare, non decide il merito, ma poi rigetta l’appello .
La fondatezza del primo motivo determina l’assorbimento del secondo, relativo alla violazione di legge circa il contraddittorio endoprocedimentale di cui all’a rt. 12, comma 7, L. n. 212/2000.
4 . La sentenza impugnata è perciò cassata e, per l’effetto, la controversia va rinviata alla Corte di Giustizia di secondo grado della Calabria, in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione al profilo, a quelli rimasti assorbiti, e per la liquidazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, dichiara la nullità della sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Calabria, in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione al profilo, a quelli rimasti assorbiti, e per la liquidazione delle spese di lite.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 16.1.2025