Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7620 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 7620 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: LIBERATI NOME
Data pubblicazione: 21/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28223/2020 R.G. proposto da : COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Liguria, sede di GENOVA n. 235/2020 depositata il 25/02/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’ 11/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il contribuente ha presentato nel 2011 una pratica Do.C.RAGIONE_SOCIALE, in ragione della diversa distribuzione degli spazi interni, proponendo una nuova classificazione catastale in categoria Zona Censuaria: l; Categoria: A/2; Classe: 7; Consistenza: 9,5 vani, relativamente ad immobile sito in Genova.
Con riferimento alla nuova variazione proposta, l’Agenzia ha rettificato la richiesta nell’anno 2012, notificando l’avviso di accertamento oggetto della presente controversia.
Il contribuente ha indi impugnato il classamento innanzi alla CTP territorialmente competente, la quale ha respinto il ricorso con sentenza n. 1385/2016.
E’ stato qui ndi proposto appello e la CTR, con la sentenza in epigrafe indicata, ha confermato la decisione di primo grado ritenendo che l’obbligo di motivazione dell’avviso di classamento fosse stato correttamente adempiuto con la semplice indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita; che il sopralluogo non fosse obbligatorio e che il termine previsto dal D.M. 19/4/1994 n. 701 non abbia natura perentoria. Ha infine affermato, per quanto riguarda il merito, che il degrado dell’immobile va considerato dovuto all’inerzia dei proprietari e non costituisce quindi motivo per un declassamento.
Avverso la suddetta sentenza di gravame il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato ad unico motivo, cui ha resistito con controricorso l’Agenzia delle Entrate .
La Procura Generale ha depositato requisitoria scritta, chiedendo l’accoglimento del primo motivo, con assorbimento dei restanti.
Successivamente, parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 380. bis c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 1, si deduce il difetto di motivazione, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7, L. n. 212/2000, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3, L. n. 241/1990, la violazione della circolare dell’Agenzia del Territorio-Direzione centrale consulenze e stime n. 8/2001, la violazione del divieto di integrazione postuma della motivazione del provvedimento amministrativo, con conseguente illegittimità dell’avviso di accertamento impugnato. La sentenza impugnata avrebbe valorizzato gli elementi che l’Amministrazione intimata ha introdotto per la prima volta in giudizio, così legittimando una integrazione postuma della motivazione.
1.1. La censura è infondata.
1.2. La motivazione del provvedimento tributario costituisce il mezzo attraverso il quale l’amministrazione finanziaria esplicita le ragioni alla base della propria decisione, permettendo al contribuente di comprenderne il contenuto e, se necessario, di predisporre una difesa adeguata. La giurisprudenza ha da tempo in proposito stabilito requisiti chiari che la motivazione deve rispettare, in modo che l’atto tributario possa ritenersi legittimo e idoneo a garantire il diritto di difesa del destinatario.
1.3. Come sostenuto dal ricorrente, in sede di giudizio la motivazione del provvedimento tributario non può essere integrata con elementi nuovi o argomentazioni diverse rispetto a quelle contenute nell’atto originario. Ciò significa che l’amministrazione finanziaria, qualora sia chiamata a difendere il proprio operato in contenzioso, deve basarsi esclusivamente sugli elementi già esplicitati nell’atto impugnato. Questo principio si ricava dall’art. 7 della Legge n. 212/2000 (c.d. Statuto del Contribuente), che sancisce l’obbligo di motivazione degli atti tributari in combinato disposto con l’art. 3 della legge n. 241/1990, applicabile ratione temporis .
In sostanza, l’amministrazione non può “aggiungere” o “modificare” le ragioni dell’atto originario durante il processo, poiché ciò violerebbe il principio di parità delle armi tra le parti e il diritto del contribuente a difendersi in base agli elementi già noti. Tuttavia, l’amministrazione può – e deve – addurre in sede difensiva le argomentazioni necessarie a giustificare il proprio originale operato, in relazione alle contestazioni di controparte.
1.4. Nel caso descritto, il provvedimento tributario è stato ritenuto adeguatamente motivato dalla CTR. La giurisprudenza ha invero confermato che, affinché l’atto sia legittimo, la motivazione deve essere sufficientemente dettagliata da consentire al contribuente di comprendere il fondamento del provvedimento e predisporre un’eventuale impugnazione e che non è necessario che l’atto mo tivi ogni dettaglio in modo analitico, purché fornisca gli elementi essenziali per comprendere i presupposti della pretesa tributaria.
1.5. Con specifico riferimento alla fattispecie in analisi, in particolare, questa Corte ha sancito che in tema di classamento di immobili, qualora l’attribuzione della rendita catastale avvenga a seguito della cd. procedura DOCFA, quando gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano disattesi dall’Ufficio e l’eventuale differenza tra la rendita proposta e quella attribuita derivi da una diversa valutazione tecnica riguardante il valore economico dei beni, l’obbligo di motivazione del relativo avviso è soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita; mentre, ove vi sia una diversa valutazione degli elementi di fatto, la motivazione deve essere più approfondita e specificare le differenze riscontrate, al fine di consentire il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente e di delimitare l’oggetto dell’eventuale contenzioso (Cass. 19/11/2024, n. 29754 (Rv. 673082 – 01)).
1.6. Nel caso di specie, nel corso del giudizio non si è proceduto a un’integrazione della motivazione, ma si è semplicemente dimostrato
che l’atto originario rispettava i requisiti previsti dalla normativa e dalla giurisprudenza, garantendo con ciò al contribuente la piena possibilità di esercitare il proprio diritto di difesa, ed argomentando nei limiti dei principi stabiliti dalla giurisprudenza di questa Corte.
1.7. Quanto alla tesi prospettata dalla Procura Generale, deve rilevarsi, invece, che il numero dei vani rilevato dalla Agenzia era in realtà il medesimo (pari cioè 9,5) rispetto a quello indicato nella DOCFA (v. ricorso pag.3), mentre ad essere variata è stata solo la classe rettificata (7), sicché la giurisprudenza invocata non appare pertinente al caso in esame.
1.8. Il motivo è dunque infondato e va rigettato.
Con il secondo motivo di ricorso, avente ad oggetto la violazione dell’art. 360, c. 1, n. 4, c.p.c., è stata contestata l’o messa pronuncia in violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112, c.p.c.: non sarebbero state prese in considerazione le doglianze sollevate dal contribuente in punto di incongruità del classamento contestato rispetto all’inquadramento catastale di analoghe e comparabili unità immobiliari presenti nel medesimo contesto cittadino.
Con il terzo motivo di ricorso, avente ad oggetto la violazione dell’art. 360, c. 1 , n. 4, c.p.c., il contribuente ha lamentato l’ error in procedendo per motivazione inesistente in ordine alle caratteristiche estrinseche dell’immobile accertato, che giustificherebbero il classamento in contestazione: sarebbe meramente apparente la motivazione posta dai Giudici di merito a fondamento del rigetto delle doglianze attraverso le quali il contribuente ha evidenziato l’esistenza di numerosi elementi atti a dimostrare l’assenza, con riguardo all’immobile per cui è causa, delle caratteristiche estrinseche che, secondo quanto indicato dalla Circolare n. 5/1992, dovrebbero giustificare il classamento in contestazione. In particolare il contribuente aveva sottolineato: la posizione, esposta ad eventi alluvionali e quindi ad alto rischio, con conseguenti danni e limiti di
utilizzo; lo stato di degrado della struttura; la presenza di altre costruzioni sorte nelle vicinanze dopo l’edificazione dell’immobile in questione, modificandone le condizioni estrinseche, mentre la sentenza d’appello ha ritenuto irrilevante tale documentazione, fornendo una motivazione considerata tautologica e insufficiente a giustificare la decisione.
Con il quarto motivo di ricorso, avente ad oggetto la violazione dell’art. 360, c. 1 , n. 4, c.p.c., è stato dedotto l’errore in procedendo per motivazione inesistente in ordine alle caratteristiche estrinseche dell’immobile accertato, che giustificherebbero il classamento in contestazione. Similmente al terzo motivo, si contesta la motivazione apparentemente fornita dai giudici di merito per il rigetto delle censure del contribuente: nel ricorso d’appello, il contribuente ha argomentato in merito alla conformazione dell’unità immobiliare; alla superficie netta dell’immobile; alle caratteristiche costruttive; alle dimensioni del bagno; alla presenza di “più servizi igienici ‘ , ma anche con riferimento a tali elementi, la sentenza d’appello sarebbe tautologica e insufficiente, non prendendo minimamente posizione sulle numerose considerazioni del contribuente.
Con il quinto motivo di ricorso, avente ad oggetto la violazione dell’art. 360, c. 1 , n. 3, c.p.c., per violazione e/o falsa applicazione del RDL n. 652/1939, convertito in L. n. 1249/1939 e variato con D.Lgs. n. 514/1948, violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 1142/2019, violazione e/o falsa applicazione del D.L. n. 70/1988, convertito in L. n. 154/1988, violazione dei criteri e dei principi affermati con circolare MEF 5/1992, si contesta la arbitrarietà della valutazione operata dalla Commissione Tributaria Regionale rispetto alle norme sopra indicate, in quanto sarebbe avulsa dagli specifici criteri (come la circolare MEF 5/1992) cui dette disposizioni attribuiscono rilievo ai fini delle operazioni del classamento.
I motivi 2, 3, 4 e 5 possono essere trattati congiuntamente, stante la stretta correlazione ed interdipendenza.
6.1. Gli stessi risultano infondati alla luce dei principi enunciati da questa Corte.
6.2. Va in proposito rammentato che, nella motivazione della propria decisione, il giudice è libero di attingere il proprio convincimento utilizzando i dati probatori che ritiene rilevanti e (così) concludenti ai fini della definizione della lite contestata, né è tenuto ad analiticamente disattendere tutte le risultanze processuali prospettate dalle parti, essendo sufficiente che egli abbia indicato gli elementi posti a fondamento del decisum dai quali possano desumersi come confutati per implicito quelli non accolti (v. Cass., 5 febbraio 2024, n. 3232; Cass., 4 luglio 2017, n. 16467; Cass., 18 ottobre 2001, n. 12751; Cass., 24 maggio 1999, n. 5045).
Nel caso di specie non sussiste dunque il vizio motivatorio, dedotto sotto i molteplici profili sopra descritti, atteso che la CTR ha evidentemente vagliato il materiale probatorio, derivandone le proprie convinzioni ed estrinsecando il proprio convincimento in virtù delle prove che ha ritenuto rilevanti. Per il resto, le doglianze paiono piuttosto indirettamente sollecitare in questa sede di legittimità un nuovo vaglio delibativo di aspetti fattuali, tanto più inammissibile a seguito di pronuncia ‘doppia conforme’ sul punto.
6.3. I motivi da 2 a 5 vanno dunque rigettati.
Con l’ultimo motivo di ricorso, il sesto, in relazione alla violazione dell’art. 360, c. 1, n. 3, c.p.c., si contesta la tardività dell’avviso di accertamento catastale, la violazione dell’art. 1, comma 3, D.M n. 701/1994, la violazione dell’art. 74, L. n. 342/2000, l’i llegittimità dell’avviso di accertamento catastale impugnato: si è censurata la sentenza nella parte in cui ha rigettato le doglianze formulate in termini di tardività della notifica d ell’ avviso di accertamento.
7.1. La censura è infondata.
7.2. Questa Corte (Cass. 23/02/2021, n. 4752 Rv. 660667 – 01)) ha avuto già modo di precisare, con orientamento dal quale non vi è ragione di discostarsi, che in tema di catasto dei fabbricati, la procedura di cui al d.m. 19 aprile 1994, n. 701, che consente al titolare di diritti reali sui beni immobili di proporne la rendita, ha il solo scopo di rendere più rapida la formazione del catasto ed il suo aggiornamento, attribuendo alle dichiarazioni presentate ai sensi dell’art. 56 del d.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142, la funzione di “rendita proposta”, fino a quando l’ufficio finanziario non provveda alla quantificazione della rendita definitiva, sicché il termine massimo di dodici mesi dalla presentazione della dichiarazione, assegnato all’ufficio per la “determinazione della rendita catastale definitiva”, ha natura meramente ordinatoria, non essendone il carattere perentorio espressamente previsto dalla norma regolamentare né potendo ricavarsi dalla disciplina legislativa della materia, con cui è assolutamente incompatibile un limite temporale alla modificazione o all’aggiornamento delle rendite catastali. Ne consegue che il verificarsi delle scadenze non comporta la decadenza per l’amministrazione dal potere di rettifica (Cass. 19/03/2014, n.6411).
7.3. La censura va dunque rigettata.
In conclusione, in considerazione delle argomentazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza, e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.
In conseguenza dell’esito del giudizio ricorrono i presupposti processuali per dichiarare la sussistenza dei presupposti per il pagamento di una somma pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, com ma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3500,00 per compensi oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dov uto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, in data 11/03/2025.