Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7609 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 7609 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 18098/2023 rg proposto da:
NOME, nata a Napoli il 28/11/1956 (C.F.: CODICE_FISCALE, residente in Napoli, alla INDIRIZZO rappresentata e difesa, giusta procura speciale in calce al ricors o, dall’ Avv. NOME COGNOME (FAX: 0815524200; C.F.: CODICE_FISCALE; PEC: EMAIL) ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Napoli, alla INDIRIZZO, ed ai fini delle notifiche in Roma, alla INDIRIZZO, presso lo studio del Dott. NOME COGNOME
-ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate (C.F.: 06363391001), in persona del Direttore pro tempore , e Agenzia delle Entrate – Riscossione (C.F.: NUMERO_DOCUMENTO), in persona del Direttore pro tempore , rappresentate e difese ex lege
Cartella pagamento imposta di registro
dall’Avvocatura Generale dello Stato (C.F.: P_IVA; fax: 0696514000; PEC: EMAIL), presso i cui uffici sono domiciliate in Roma, alla INDIRIZZO
– controricorrente –
-avverso la sentenza 1159/2023 emessa dalla CTR Campania il 13/02/2023 e non notificata;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Rilevato che
COGNOME NOME impugnava dinanzi alla CTP di Napoli la cartella di pagamento n. 071 2020 003611796 08, con la quale si richiedeva il pagamento di un’imposta di registro 2014 per € 22.299,00, oltre sanzioni (€ 6.690,00), interessi ed accessori, per un totale di € 30.207,89, per mancanza di adeguata motivazione.
L’adìta CTP rigettava il ricorso, deducendo che <>.
Sull’impugnazione della contribuente, la CTR della Campania rigettava il gravame, affermando che <>
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione COGNOME
NOME sulla base di due motivi. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
In prossimità dell’adunanza camerale la ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
Considerato che
1. Con memoria illustrativa la ricorrente ha esposto che:
-in seguito a decisioni della Giustizia Tributaria, che avevano ridotto l’importo originario dell’imposta di registro (€ 45.000,00) pretesa dall’A.d.E. sulla citata sentenza 3737/2014 ad € 22.290,00, erano state emesse dall’A.d.E. due cartelle di pagamento uguali nel contenuto (€ 22.290,00), ma diverse nella numerazione;
-una di tali cartelle (la n. 071 2020 NUMERO_CARTA) è oggetto del presente processo, notificata alla ricorrente NOME COGNOME mentre l’altra (la n. 071 NUMERO_CARTA) è stata notificata ai condebitori solidali NOME ed NOME COGNOME i quali hanno provveduto al regolare pagamento;
-il tutto è stato oggetto di una sentenza 11952/23/2024 della Corte di Giustizia Tributaria di Primo Grado di Napoli, che ha ordinato all’A.d.E. lo sgravio della cartella diretta a NOME COGNOME oggetto del presente processo.
In ordine a siffatta memoria, va rilevato che, sebbene, dalla sentenza n. 11952/24 (avente ad oggetto l’avviso di liquidazione per l’imposta di registro dovuta) emessa dalla CTP di Napoli risulti che la contribuente abbia versato, prima della notifica della cartella, la somma di euro 22.701 (pari alla metà dell’originaria pretesa tributaria) e che i due coobbligati solidali avrebbero nel frattempo pagato l’intero debito, da un lato, nella predetta sentenza la CTP non ha, come invece sostenuto dalla contribuente, ordinato all’A.d.E. lo sgravio della cartella a lei diretta, oggetto del presente processo , e, dall’altro, l a medesima, con la memoria illustrativa, non ha dichiarato di volersi avvalere dell’avvenuto pagamento integrale da parte dei coobbligati solidali, ma <>.
Del resto, la rinuncia all’azione, per quanto non richieda formule sacramentali, potendo essere anche tacita, va riconosciuta solo quando vi sia incompatibilità assoluta tra il comportamento dell’attore e la volontà di proseguire nella domanda proposta. Essa presuppone, cioè, il riconoscimento dell’infondatezza dell’azione, accompagnato dalla dichiarazione di non voler insistere nella medesima. Solo a queste condizioni la rinuncia all’azione determina, indipendentemente dall’accettazione della controparte, l’estinzione dell’azione e la cessazione della materia del contendere (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 19845 del 23/07/2019).
Orbene, nel caso di specie, non vi è univoca dichiarazione di volersi avvalere dei pagamenti altrui (né concorde istanza di cessazione della materia del contendere) e quanto segnalato in memoria non vale come rinuncia al ricorso, vista l’istanza prioritaria di decisione nel merito.
Con il primo motivo la ricorrente deduce la nullità della sentenza per motivazione apparente, in violazione degli artt. 111, sesto comma, Cost., 132, comma 2, n. 4, c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., 36, comma 2, d.lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360 , primo comma, nn. 3 o 4, c.p.c., per non essersi, a suo dire, la CTR pronunciata sulle sue richieste, formulate in ricorso e ribadite nell’appello, di esentarla dal pagamento della cartella di pagamento 071 2020 00361796 08 per inesistente motivazione.
3 . Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 7 l. n. 212/2000, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., per non aver la CTR rilevato che la sentenza indicata nella cartella di pagamento, come atto presupposto, non era stata resa nei suoi confronti.
Il ricorso non può essere accolto.
In primo luogo, la motivazione resa dalla CTR non si pone senz’altro al di sotto del cd. minimo costituzionale, atteso che, dopo aver dato atto dei marginali errori presenti nelle motivazioni della cartella di pagamento (dal punto di vista dell’indicazione dell’Autorità Giudiziaria che aveva emesso la sentenza – C.T.P., in luogo di C.T.R. – e della data del deposito – 12.12.18, in luogo del 13.12.18 – ), ha evidenziato che la presenza nel corpo del
provvedimento del riferimento al ruolo n. 2020/00349, al periodo di imposta 2014 e all’atto impugnato, ovvero avviso di liquidazione n. 2014/01/SC/3737 (con dettaglio degli importi iscritti a ruolo e indicazione delle somme dovute a titolo di imposta di registro, imposta di bollo, interessi e sanzioni per un totale complessivo di € 30.207,89) non avevano di fatto impedito alla contribuente di conoscere le ragioni della pretesa erariale, vieppiù se si considerava che la medesima aveva diretta conoscenza del provvedimento giudiziale sulla cui base era avvenuta l’iscrizione a ruolo, in quanto provvedimento giudiziale reso all’esito di un procedimento intentato dalla stessa.
Avuto riguardo alla motivazione della cartella di pagamento qui impugnata, la stessa presenta un mero refuso nell’indicazione del provvedimento, la cui tassazione costituiva oggetto dell’avviso di liquidazione portato a riscossione con la cartella impugnata, circostanza, tuttavia, che, come evidenziato da entrambi i giudici dei precedenti gradi di giudizio, con valutazioni attinenti al merito della controversia e, quindi, non suscettibili di riforma innanzi a codesta Suprema Corte, non aveva impedito alla contribuente di conoscere le ragioni della pretesa erariale.
Inoltre, la contribuente era ben a conoscenza del provvedimento giudiziale sulla cui base era avvenuta l’iscrizione a ruolo, in quanto reso all’esito di un procedimento intentato dalla stessa insieme ad altri contribuenti (che sono stati, peraltro, indicati nella cartella di pagamento, come responsabili in solido del pagamento delle somme dovute in quanto coobbligati).
In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi radicali che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. (Cass. n. 23940/2017).
Del resto, l’onere della indicazione specifica dei motivi di impugnazione, imposto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366, comma 1, n. 4 c.p.c., qualunque sia il tipo di errore (“in procedendo” o “in iudicando”) per cui è proposto, non può essere assolto per relationem con il generico rinvio ad atti del giudizio di appello, senza la esplicazione del loro contenuto, essendovi il preciso onere di indicare, in modo puntuale, gli atti processuali ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, nonché le circostanze di fatto che potevano condurre, se adeguatamente considerate, ad una diversa decisione e dovendo il ricorso medesimo contenere, in sé, tutti gli elementi che diano al giudice di legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione della decisione impugnata (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 342 del 13/01/2021). Viceversa, la ricorrente ha formulato i due motivi di ricorso in maniera del tutto generica e non circostanziata, limitandosi a sostenere la sussistenza del vizio lamentato sulla base di una mera petizione di principio, non correlata, tuttavia, alla spiegazione dei profili dai quali risulterebbe in concreto, rispetto alle specifiche peculiarità di causa, l’integrazione di un siffatto vizio.
5. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano coma da dispositivo. Considerato che la trattazione del ricorso è stata chiesta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. a seguito di proposta di inammissibilità a firma del Consigliere delegato, la Corte, avendo definito il giudizio in conformità della proposta, deve applicare l’art. 96, commi 3 e 4, c.p.c., come previsto dal citato art. 380-bis c.p.c.
La novità normativa introdotta dall’art. 3, comma 28, lett. g), d.lgs. 149/2022 contiene, nei casi di conformità tra proposta e decisione finale, una valutazione legale tipica, ad opera del legislatore, della sussistenza dei presupposti per la condanna ad una somma equitativamente determinata a favore della controparte (art. 96, terzo comma, c.p.c.) e di una ulteriore somma di denaro non inferiore ad euro 500,00 e non superiore ad euro 5.000,00 a favore della Cassa delle ammende (art. 96, quarto comma,
c.p.c.). In tal modo, risulta codificata una ipotesi di abuso del processo, peraltro da iscrivere nel generale istituto del divieto di lite temeraria nel sistema processuale.
Sulla scorta di quanto esposto, ed in assenza di indici che possano far propendere per una diversa applicazione della norma, la parte ricorrente va condannata al pagamento della somma equivalente alle spese liquidate in favore del controricorrente ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c. e al pagamento della di euro 1.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in euro 2.400,00, oltre a spese prenotate a debito;
condanna la ricorrente, ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c., al pagamento in favore della resistente dell’ulteriore somma di euro 2.400,00; condanna la ricorrente, ai sensi dell’art. 96, quarto comma, c.p.c., al pagamento della somma di euro 1.500,00 in favore della Cassa delle ammende;
ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio tenutasi in data 11.2.2025.