Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7656 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 7656 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8776/2024 R.G., proposto DA
RAGIONE_SOCIALE, con sede in Roma, in persona dell’amministratore unico pro tempore , rappresentata e difesa dal l’Avv. NOME COGNOME, con studio in Roma, ove elettivamente domiciliata (indirizzo pec per comunicazioni e notifiche del presente procedimento: EMAIL, giusta procura in allegato al ricorso introduttivo del presente procedimento;
RICORRENTE
CONTRO
Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore , autorizzata a resistere nel presente procedimento in virtù di determinazione resa dal Capo dell’Avvocatura Capitolina il 7 maggio 2024, n. 1347, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME, con studio in Roma (presso gli Uffici dell’Avvocatura C apitolina), ove elettivamente domiciliata (indirizzo pec per comunicazioni e notifiche del presente procedimento: EMAILcomuneEMAIL ),
TARSU TARI TIA ACCERTAMENTO FATTURA MOTIVAZIONE
giusta procura in calce al controricorso di costituzione nel presente procedimento;
CONTRORICORRENTE
avverso la sentenza depositata dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio il 29 settembre 2023, n. 5377/12/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 14 febbraio 2025 dal Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
La ‘ RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio il 29 settembre 2023, n. 5377/12/2023, che, in controversia avente ad oggetto l’impugnazione di f attura emessa dall” RAGIONE_SOCIALE il 31 dicembre 2018 col n. 111890063550 per l’importo di €. 23.762,85 per la TARI relativa all’anno 2018, con riguardo ad immobili situati in Roma al INDIRIZZO, ha rigettato -dopo aver dichiarato l’ammissibilità del ricorso originario -l’appello proposto dalla medesima nei confronti di Roma Capitale avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria provinciale di Roma l’1 febbraio 2021, n. 1119/19/2021;
Dopo aver rilevato che: « I giudici di primo grado, nel dichiarare inammissibile il ricorso in quanto notificato a Roma Capitale e non ad AMA S.p.aRAGIONE_SOCIALE, non hanno tenuto conto della Deliberazione n.33 del 30.3.2018 dell’Assemblea Capitolina che ha stabilito: ‘In coerenza con la natura tributaria della TARI e le disposizioni contenute nella legge n. 147/2013, Roma Capitale è ente titolare dell’entrata cui competono l’applicazione del tributo nonché tutte le relative attività di
riscossione, accertamento e difesa in giudizio’. Tant’è che lo stesso documento impugnato, n. 111890063550 emesso da RAGIONE_SOCIALE, riporta l’avviso che l’eventuale ricorso deve essere notificato a Roma Capitale », la Corte di giustizia tributaria di secondo grado ha riformato la decisione di prime cure -che aveva dichiarato l’inammissibilità del ricorso originario della contribuente, sul presupposto che: « Si rileva – anche dalle numerose sentenze che hanno visto contrapposti RAGIONE_SOCIALE Lido di RAGIONE_SOCIALE e Roma Capitale – che l’appellante conduce da molti anni in concessione l’attività commerciale e che Roma Capitale, essendo titolato a rilascio/rinnovo della concessione è in possesso dei dati sulle superfici in questione »).
Roma Capitale ha resistito con controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
CONSIDERATO CHE:
Il ricorso è affidato a due motivi.
Con il primo motivo, si denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 70,71 e 73 del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di appello che: « Nella fattura impugnata sono dettagliate le singole categorie prese in esame (uffici, autorimesse, ristoranti, stabilimento) con relativi metri quadri nonché l’importo della quota fissa, della quota variabile e del tributo esercizio funzioni ambientali. La pretesa tributaria è, quindi, pienamente comprensibile e, dal punto di vista della parte pubblica, provata. A fronte di tali evidenze, spetta alla ricorrente dimostrare che la superficie tassabile sia diversa da quella indicata in fattura. Nell’appello, tuttavia, si contesta, invero genericamente, la correttezza dell’operato di Roma
Capitale, assumendo come necessaria una attività di verifica ulteriore a cura dell’appellata quando, al contrario, l’onere di dimostrare che la tassazione è stata calcolata ponendo a base superfici maggiori di quelle reali grava sulla ricorrente; onere che essa avrebbe potuto assolvere, ad esempio, mediante la produzione di una perizia. Inoltre, i calcoli effettuati dalla parte pubblica si basano su dati dedotti da una planimetria che la stessa appellante ha comunicato all’ufficio competente ».
Secondo la ricorrente: « L’onere probatorio è e resta a carico dell’ente impositore che provvede alla richiesta del tributo, nel caso di specie o tramite l’indicazione delle superfici catastali risultanti nei registri (essendo categoria D/8 tali metrature non sono indicate), ovvero tramite un sopralluogo effettuato da tecnici del Comune e/o dell’RAGIONE_SOCIALE in contraddittorio (mai avvenuto) ovvero su autodenuncia a firma della proprietà e nella specie del legale rappresentante se trattasi di una società (anche qui non si rinviene alcun documento), come espressamente indicato e richiesto nelle memorie illustrative depositate dalla società ricorrente dinanzi alla CTP in primo grado (pagg. 1 e 2 dell’ALL. 3), e come ribadito alle pagg 6 e 7 dell’atto di appello depositato presso la CGT 2°Lazio (ALL. 5) ».
2.1 Il predetto motivo è infondato.
2.2 A ben vedere, in base al tenore della relativa formulazione, si ha l’impressione che il mezzo incorra in una palese confusione tra la ‘ motivazione ‘ dell’avviso di accertamento, che è finalizzata alla conoscenza da parte del contribuente degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto della pretesa impositiva, e la ‘ prova ‘ della pretesa impositiva (o della sua infondatezza), che va riferita al documento, quale mezzo da far valere nel processo. Questa distinzione tra piano della
motivazione e piano della prova trova conferma normativa nell’art. 7, comma 1, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (nel testo novellato dall’art. 1, comma 1, lett. f, del d.lgs. 30 dicembre 2023, n. 219), che, mentre richiede l’allegazione dell’atto a cui l’avviso si riferisce, sempre che non sia già stato portat o a conoscenza dall’interessato o l’avviso ne riproduca il contenuto essenziale, prevede soltanto l’indicazione dei mezzi di prova, che potranno essere prodotti o acquisiti nell’eventuale processo a seguito dell’impugnazione dell’atto impositivo (in termini: Cass., Sez. Trib., 25 marzo 2024, n. 8016 -vedasi anche: Cass., Sez. Trib., 12 gennaio 2025, n. 799).
L’ iter argomentativo del giudice di appello è in sintonia con l’orientamento di questa Corte, secondo cui , in tema di TARSU (ma i principi valevoli per tale disciplina sono tendenzialmente applicabili anche alla TARI, per la palese identità di ratio – tra le tante: Cass., Sez. 5^, 22 dicembre 2017, n. 22130; Cass., Sez. 5^, 26 gennaio 2018, n. 1963; Cass., Sez. 5^, 15 maggio 2019, n. 12979; Cass., Sez. 5^, 16 novembre 2021, n. 34635; Cass., Sez. 6^-5, 3 febbraio 2022, n. 3355), la verifica dell’adeguatezza della motivazione dell’avviso di accertamento in rettifica va condotta in base alla disciplina dettata, per l’accertamento dei tributi di competenza degli enti locali, dall’art. 1, comma 162, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (a tenore del quale: « Gli avvisi di accertamento in rettifica e d’ufficio devono essere motivati in relazione ai presupposti di fatto ed alle ragioni giuridiche che li hanno determinati; se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama, salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale »), sicché, ove la rettifica venga effettuata sulla base della variazione della superficie tassabile o della
tariffa o della categoria, deve ritenersi sufficiente l’indicazione nell’atto della maggiore superficie accertata o della diversa tariffa o categoria ritenute applicabili, in quanto tali elementi, integrati con gli atti generali (quali i regolamenti o altre delibere comunali), sono idonei a rendere comprensibili i presupposti della pretesa tributaria, senza necessità di indicare le fonti probatorie e le indagini effettuate per rideterminare la superficie tassabile, potendo ciò avvenire nell’eventuale successiva fase contenziosa (in termini: Cass., Sez. 6^-5, 9 maggio 2017, n. 11270; Cass., Sez. 5^, 31 luglio 2019, n. 20620; Cass., Sez. 6^-5, 1 luglio 2020, n. 13334; Cass., Sez. 6^-5, 2 novembre 2021, n. 31217; Cass., Sez. 6^-5, 22 dicembre 2022, n. 37400; Cass., Sez. 5^, 30 giugno 2023, nn. 18608 e 18612; Cass., Sez. 5^, 10 luglio 2023, n. 19524; Cass., Sez. 5^, 19 gennaio 2024, n. 2083).
Aggiungasi che questa Corte ha più volte affermato che alla fattura contenente la richiesta della tariffa di igiene ambientale (TIA), così come al relativo procedimento di quantificazione e riscossione del prelievo in questione, si devono applicare i principi generali del procedimento tributario di accertamento e di riscossione. In particolare, si è ribadito quanto già espresso da questa Corte (Cass., Sez. 5^, 9 agosto 2007, n. 17526) e quanto pure affermato dalla Corte Costituzionale (Corte Cost., 24 luglio 2009, n. 238), ossia che gli atti con cui il gestore del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani richiede al contribuente quanto da lui dovuto a titolo di tariffa di igiene ambientale, anche quando gli stessi dovessero avere la forma di fattura commerciale, non attengono al corrispettivo di una prestazione liberamente richiesta, ma a un’entrata pubblicistica. Ne consegue che, avendo natura di atti impositivi, anche le fatture TIA debbono rispondere ai requisiti
sostanziali propri di questi provvedimenti e possono essere impugnate davanti alle commissioni tributarie, nonostante non siano espressamente ricomprese tra l’elenco degli atti opponibili (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 9 agosto 2007, n. 17526; Cass., Sez. 5^, 10 maggio 2013, n. 11157; Cass., Sez. 6^-5, 18 luglio 2016, n. 14675; Cass., Sez. 5^, 31 ottobre 2018, n. 27805; Cass., Sez. 5^, 23 aprile 2020, nn. 8088 e 8089; Cass., Sez. 5^, 19 agosto 2020, n. 17339; Cass., Sez. 6^-5, 24 maggio 2021, n. 14200; Cass., Sez. 5^, 8 aprile 2022). Tali principi sono stati pedissequamente ribaditi da questa Corte anche per le fatture TARI (Cass., Sez. Trib., 19 gennaio 2024, n. 2029).
Ne discende che, in relazione al versamento del tributo per l’annata di riferimento, la complessiva indicazione della tassa liquidata, della tariffa applicata e della superficie occupata (come si desume dalla fattura annessa alla produzione della controricorrente) era più che sufficiente ad assicurare l’adeguatezza motivazionale della fattura impugnata.
3. Con il secondo motivo, si denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 32 – applicabile anche in grado di appello ex art. 61 -del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., per essere stato omesso dal giudice di appello, « dopo aver correttamente indicato, nella parte della sentenza relativa allo svolgimento del processo, che Roma Capitale si era costituita in data 21.9.2023 e che la decisione della controversia era avvenuta all’udienza del 26.9.2023, in violazione delle norme procedurali », non soltanto di rilevare « la tardività dell’atto di controdeduzione depositata dall’appellata e della documentazione allegata all’atto stesso, rilevabile d’ufficio e comunque eccepita dall’appellante in sede di discussione », ma anche di richiamare
la planimetria così tardivamente depositata a giustificazione dei calcoli effettuati dall’ente impositore, nel ritenere la legittimità della fattura impugnata.
3.1 Il predetto motivo è infondato.
3.2 La censura concerne la valorizzazione ai fini probatori da parte del giudice di appello della planimetria prodotta dall’ente impositore nel giudizio di appello, che era stata utilizzata a suffragio della pretesa impositiva con riguardo alla conferma della superficie imponibile, nonostante la tardiva costituzione in giudizio.
3.3 Invero, per il giudizio di appello, è pacifico che, in tema di contenzioso tributario, l’art. 58 del d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, consente alle parti di produrre nuovi documenti in appello al di fuori degli stretti limiti consentiti dall’art. 345 cod. proc. civ., purché tale produzione avvenga -stante il richiamo dell’art. 61 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, alla disciplina del giudizio di primo grado – entro il termine previsto dall’art. 32 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ossia entro venti giorni liberi prima dell’udienza: tuttavia, l’inosservanza di detto termine è sanata ove il documento sia stato già depositato, benché irritualmente, nel giudizio di primo grado, poiché nel processo tributario i fascicoli di parte restano inseriti in modo definitivo nel fascicolo d’ufficio sino al passaggio in giudicato della sentenza, senza che le parti abbiano la possibilità di ritirarli, con la conseguenza che la documentazione ivi prodotta è acquisita automaticamente e ‘ ritualmente ‘ nel giudizio di impugnazione (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 7 marzo 2018, n. 5429; Cass., Sez. 5^, 16 gennaio 2019, n. 947; Cass., Sez. 5^, 17 novembre 2020, n. 26115; Cass., Sez. 5^, 21 ottobre 2021, n. 29328; Cass., Sez. 5^, 24 giugno 2021, n. 18103; Cass,., Sez. 6^-5, 5 novembre 2021, n. 32046; Cass., Sez.
5^, 16 novembre 2021, n. 34540; Cass., Sez. 5^, 14 marzo 2022, n. 8156; Cass., Sez. Trib., 26 luglio 2023, n. 22694; Cass., Sez. Trib., 13 dicembre 2024, n. 12498; Cass., Sez. Trib., 1 marzo 2025, n. 5450). Per cui, essendo pienamente utilizzabili, il giudice di appello ne può tener conto per formare il proprio convincimento e rendere la decisione sul gravame. 3.4 Ma, a ben vedere, nel caso di specie, per quanto irritualmente depositata meno di venti giorni prima dell’udienza , in palese violazione delle prescrizioni dettate dal combinato disposto degli artt. 32 e 61 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, la planimetria non è stata utilizzata dal giudice di appello per desumere ex novo elementi probatori a discapito della contribuente, ma ha semplicemente rammentato ad abundantiam che i dati riportati in fattura erano stati forniti dalla stessa contribuente mediante un documento trasmesso all’ente impositore. In altri termini, la produzione tardiva è viziata, ma non vizia la decisione del gravame, che non ne ha tenuto alcun conto.
Secondo il giudice di appello, infatti, « i calcoli effettuati dalla parte pubblica si basano su dati dedotti da una planimetria che la stessa appellante ha comunicato all’ufficio competente ». Per cui, la produzione del documento rimasto inutilizzato a fini probatori deve considerarsi ‘ neutra ‘ , e quindi ininfluente, rispetto alla decisione presa ed è superfluo il rilievo ex post della sua inammissibilità.
Alla stregua delle suesposte argomentazioni, valutandosi l’infondatezza dei motivi dedotti, il ricorso deve essere respinto.
Le spese giudiziali seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo.
6. A i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alla rifusione delle spese giudiziali in favore della controricorrente, liquidandole nella misura di € 200,00 per esborsi e di € 3.000,00 per compensi, oltre al rimborso forfettario nella misura del 15% sui compensi e ad altri accessori di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso a Roma nella camera di consiglio del 14 febbraio