Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 26691 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 26691 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Data pubblicazione: 03/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4106/2024 R.G. proposto da:
COMUNE DI SINISCOLA rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO SARDEGNA n. 896/2023 depositata il 19/12/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/09/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1.La società RAGIONE_SOCIALE impugnava l’accertamento Tares annualità di imposta 2013, chiedendone l’annullamento per asserita nullità della notificazione e l’esenzione per stagionalità dell’attività esercitata.
Il Giudice di prima istanza, disapplicando il regolamento comunale TARES e ritenendo indimostrata la pretese impositiva dell’Ente, annullava l’atto accertativo.
L’ente comunale appellava la decisione di prime cure richiedendone alla Corte di Giustizia Tributaria regionale sarda la riforma integrale.
Il Collegio d’appello confermava la pronuncia di prime cure, così statuendo .
Avverso detta sentenza, il Comune propone ricorso affidato ad un unico motivo.
Replica con controricorso la società.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con un unico motivo proposto ai sensi dell’art.360, primo comma, numero 5, c.p.c., si deduce la violazione degli artt. 7, comma 1 della legge 212/2000, 24, comma 2, del d.lgs. 546/1992 e 112 del codice di rito per illogicità della motivazione. Si afferma che, contrariamente a quanto asserito nella motivazione impugnata, l’accertamento emesso dal Comune di Siniscola soddisfaceva pienamente i requisiti di cui all’articolo 7, comma 1, della legge 212/2000, in quanto alla resistente erano stati indicati tutti i presupposti giustificativi della pretesa impositiva; in particolare, venivano richiamate le normative di legge e di regolamento che disciplinano il tributo, gli estremi catastali dei cespiti oggetto di imposizione, le rispettive categorie, e aliquote applicate, il lasso di tempo considerato, la base imponibile, la percentuale di possesso, le modalità e i termini per proporre eventuali impugnazioni, l’Ufficio Giudiziario innanzi al quale presentarle, il responsabile del procedimento. Ad avviso del Comune si appalesa erronea l’asserzione contenuta a pagina 4 della pronuncia impugnata, secondo cui
‘…la generica indicazione non consente al contribuente di esercitare il proprio diritto di difesa (fosse anche solo per verificare la correttezza dei calcoli matematici di imposizione), e come tale concretizza una carenza di motivazione che inficia l’atto impositivo…’ .
Si osserva che secondo il precetto normativo contenuto nell’articolo 1, comma 161, primo periodo, della legge 296/2006 ‘… Gli enti locali, relativamente ai tributi di propria competenza, procedono…all’accertamento d’ufficio delle omesse dichiarazioni o degli omessi versamenti, notificando al contribuente, anche a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, un apposito avviso motivato…’.
Si obietta che la mancata produzione dell’atto regolamentare non ha comportato una menomazione del diritto di difesa e che il Collegio, incurante della circostanza che il documento non indicato fosse costituito da un atto amministrativo di carattere generale, infrangeva l’insegnamento della Corte secondo cui l’obbligo di allegazione degli atti sui quali si basa l’atto impositivo non opera per quelli che – essendo assoggettati a forme di pubblicità legale per il loro carattere generale e normativo -debbono ritenersi da questi conosciuti o conoscibili.
Si lamenta altresì che nei motivi d’appello era stata censurata la statuizione di primo grado con riferimento alla affermata illegittimità del regolamento, in quanto tale doglianza non era stata dalla contribuente indicata quale motivo di ricorso introduttivo ma era stata sollevata, inammissibilmente, soltanto nella memoria aggiuntiva, in palese violazione dell’articolo 24, comma 2, del decreto legislativo n. 546/1992 che ammette la possibilità di integrare gli originari motivi di ricorso esclusivamente nel caso di ‘…deposito di documenti non conosciuti…o per ordine della commissione…’ . Tuttavia, nel giudizio, il Comune aveva depositato esclusivamente il regolamento Tares che non poteva certamente definirsi ignoto alla resistente.
L’amministrazione ricorrente aggiunge che il potere del giudice di rilevare d’ufficio la nullità di un atto va necessariamente coordinato con il principio dispositivo e con quello della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, cosicché quando la parte chieda la dichiarazione di invalidità di un atto pregiudizievole, la pronuncia del giudice deve essere circoscritta alle ragioni di illegittimità denunciate dall’interessato, senza potersi fondare su elementi rilevati d’ufficio o tardivamente indicati. Come evidenziato nel gravame di seconde cure, la contribuente giammai aveva richiesto al Giudicante la dichiarazione di nullità e/o la disapplicazione dell’atto regolamentare: conseguentemente, il decidente non avrebbe dovuto pronunciarsi sulla legittimità del medesimo, disapplicandolo, né avrebbe potuto annullare l’accertamento perché scaturito da regolamento asseritamente illegittimo.
Il motivo è fondato.
2.1. L’art. 71, comma 2, del d.lgs. n. 507 del 1993, abrogato dall’art. 1, comma 172, l n. 296/2006 (e, quindi, ratione temporis non applicabile alla fattispecie in esame, riferentesi alla Tarsu dovuta per l’anno 2013) obbligava il Comune ad indicare in ciascun atto impositivo soltanto la tariffa applicata e la relativa delibera, con la conseguenza che non è necessario riportare o esplicitare la formula utilizzata per la determinazione della tariffa, la quantità totale dei rifiuti o la superficie totale iscritta a ruolo, né, tantomeno, i dati numerici fondamentali per il calcolo del tributo (Cass. n. 24267 del 18/11/2011; conf. Cass. n. 22470 del 09/09/2019; Cass. n. 15793/2025).
2.2.In tema di TARSU, in questo caso Tares, la verifica dell’adeguatezza della motivazione dell’avviso di accertamento va ora condotta in base alla disciplina dettata, per l’accertamento dei tributi di competenza degli enti locali, dall’art. 1, comma 162, della l. n. 296 del 2006, sicché, ove l’accertamento venga effettuata sulla base dell’omesso versamento, deve ritenersi sufficiente l’indicazione nell’atto della superficie accertata o della tariffa ritenuta applicabile, in quanto tali elementi, integrati con gli atti generali (quali i regolamenti o altre delibere comunali), sono idonei a rendere comprensibili i presupposti della pretesa tributaria, senza necessità di indicare le fonti probatorie e le indagini effettuate per rideterminare la superficie tassabile, potendo ciò avvenire nell’eventuale successiva fase contenziosa (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 20620 del 31/07/2019).
2.3. Orbene, l’avviso di accertamento in esame riporta il prospetto delle somme da pagare con l’indicazione delle superfici e delle tariffe applicabili a ciascuna di esse, la quota fissa e quella variabile, l’acconto versato e la somma ancora dovuta, nonché il riferimento alla delibera C.C. n. 45 del 28 ottobre 2013. Ebbene detto avviso contiene tutti gli elementi necessari per comprendere i presupposti di fatto e di diritto dell’imposizione (vale a dire, l’indirizzo, le superfici, le tariffe e l’importo).
Le delibere comunali al pari di qualsiasi atto amministrativo a contenuto generale o collettivo, si rivolgono ad una pluralità indistinta, anche se determinabile ex post, di destinatari occupanti o detentori, attuali o futuri,
di locali ed aree tassabili (cfr. Cass. sez. 5, 23 ottobre 2006, n. 22804; Cass. sez. 5, 26 marzo 2014, n. 7044; Cass. n. 16165 del 2018 e n. 7437 del 2019), sono atti generali per i quali è prevista una pubblicità legale e non sono, pertanto, soggette all’obbligo di allegazione ovvero di indicazione dei loro estremi, perché la loro conoscibilità è presunta (cfr., ex plurimis , Cass. n. 26336 del 09/10/2024;Cass. 25/11/2022 n 34879, che adde Cass., 21 novembre 2018, n. 30052; Cass., 3 novembre 2016, n. 22254; Cass., 13 giugno 2012, n. 9601; Cass., 16 marzo 2005, n. 5755; Cass., 21 novembre 2018, n. 30052; Cass., 3 novembre 2016, n. 22254; Cass., 13 giugno 2012, n. 9601; Cass., 16 marzo 2005, n. 5755).
4.In continuità con quanto già affermato da questa Corte in merito agli oneri motivazionali di ogni atto impositivo va innanzitutto ribadito che l’avviso di accertamento soddisfa l’obbligo di motivazione quando pone il contribuente nella condizione di conoscere esattamente la pretesa impositiva, individuata nel “petitum” e nella “causa petendi”, mediante una fedele e chiara ricostruzione degli elementi costitutivi dell’obbligazione tributaria, anche quanto agli elementi di fatto ed istruttori posti a fondamento dell’atto impositivo, in ragione della necessaria trasparenza dell’attività della Pubblica Amministrazione, in vista di un immediato controllo della stessa.( vedi da ultimo Cass. n. 30039 del 2018). Tale condivisibile principio di portata generale, è fondato sulla necessità che in ogni avviso di accertamento e di rettifica siano presenti gli elementi identificativi della pretesa tributaria, dovendosi escludere ogni formalismo nell’indicazione delle norme di diritto violate, quando chiaramente evincibili, o di tutti gli elementi di prova, eventualmente integrabili in sede di giudizio purché siano indicati gli elementi di fatto e istruttori del procedimento; in sintesi l’obbligo di motivazione può ritenersi assolto ove dalla motivazione dell’avviso emerga una fedele e chiara ricostruzione di tutti gli elementi costitutivi dell’obbligazione tributaria, così da consentire una adeguata, efficace e piena difesa in giudizio del contribuente. Un tale estensione dell’obbligo motivazionale soddisfa del resto la declinazione di legittimità di cui all’art. 7 legge n. 212 del 2000 (Statuto del contribuente), che a sua
volta richiama l’art. 3 legge n. 241 del 1990, secondo cui all’Amministrazione finanziaria è tenuta ad indicare nei suoi atti “i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione”.
In materia opera, poi, altro principio per il quale “la poli sistematicità del sistema tributario comporta necessariamente che, in relazione a ciascuna imposta, la esistenza e la congruità della motivazione del singolo atto impositivo sia verificata secondo le regole dettate per il tributo cui l’atto stesso afferisce” (Vedi Cass. n. 5190 del 2015; n. 24267 del 2011; n. 1332 e n. 8451 del 2005, n. 17356 del 2003).
Va pertanto escluso che possa essere censurata come mancanza di motivazione l’omessa individuazione di tutte le fonti regolamentari per rideterminare l’area, ben potendo tali indicazioni essere fornite nell’eventuale successiva fase contenziosa, in cui l’Amministrazione ha l’onere di provare l’effettiva sussistenza dei presupposti per l’applicazione del criterio prescelto ed il contribuente la possibilità di contrapporre altri elementi sulla base del medesimo criterio o di altri parametri.
7.Quanto alla disapplicazione del regolamento comunale operata dal giudice d’appello per la carente disciplina in materia di rifiuti speciali, si osserva che secondo l’orientamento già espresso da questa Corte e a cui si intende dare continuità, il potere del giudice tributario di disapplicare gli atti presupposti non può prescindere completamente dai motivi di impugnazione dedotti in relazione all’atto impugnato, ma deve essere effettuato con riferimento alla domanda del contribuente, alla luce di quanto disposto dall’art. 7, ultimo comma, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (Cass. n. 12545/2016; Cass. 2012/6724. In senso conforme, Cass. 2008/15285).
7.1.Nel caso di specie, la Commissione tributaria regionale, in violazione del principio sopra enunciato, ha disapplicato il regolamento del Comune di Siniscola in materia di rifiuti, per la mancanza di una disciplina in relazione ai rifiuti speciali, ancorché la contribuente, con il ricorso introduttivo, avesse posto a base dell’impugnazione dell’avviso di accertamento Tares, oltre al motivo relativo al deficit motivazionale dell’atto impositivo, la circostanza
della natura stagionale dell’attività, come emerge dal testo delle decisioni di primo e secondo grado. Il tutto in violazione del principio secondo il quale, nel processo tributario, caratterizzato dall’introduzione della domanda nella forma dell’impugnazione dell’atto fiscale, l’indagine sul rapporto sostanziale è limitata ai motivi di contestazione dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa dell’Amministrazione che il contribuente deve specificamente dedurre nel ricorso introduttivo di primo grado, con la conseguenza che il giudice deve attenersi all’esame dei vizi di invalidità dedotti in ricorso, il cui ambito può essere modificato solo con la presentazione di motivi aggiunti, ammissibile, ex art. 24 del d.lgs. n. 546 del 1992, esclusivamente in caso di “deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della commissione( Cass. n.23856/2024; Cass. n. 9637 del 2017).
7.2. Né dal testo della sentenza di primo grado né da quella di appello emerge che la società abbia dedotto -con il ricorso originario -la censura relativa alla in tassabilità di parte delle superfici produttive in via esclusiva di rifiuti speciali previa presentazione della necessaria denuncia relativa alla produzione di rifiuti speciali non assimilabili agli urbani e di averli autosmaltiti, allegazione proposta evidentemente in seguito alla produzione in giudizio del regolamento comunale, ma che si rivela del tutto disancorata da detto documento (peraltro già conoscibile dalla contribuente) e che addirittura introduce nel giudizio un thema decidendum del tutto originale rispetto al ricorso introduttivo. Il tutto trova conferma nella circostanza che i giudici di primo grado hanno citato altra decisione della Commissione -n. 27/2015 -che si era già occupata di questioni ulteriori e diverse rispetto a quelle oggetto della presente controversia.
8. Sotto altro profilo, anche a voler considerare l’inammissibile domanda proposta con i motivi aggiunti, occorre chiarire che, in tema di TARES (Tributo comunale sui rifiuti e sui servizi), la tariffa si articola in una quota fissa e una quota variabile. La quota fissa è sempre dovuta per intero sul mero presupposto del possesso o detenzione di superfici nel territorio comunale astrattamente idonee ad ospitare attività inquinanti, in quanto destinata a finanziare i costi essenziali e generali del servizio nell’interesse
della collettività, indipendentemente dalla qualità e quantità dei rifiuti prodotti e dall’effettiva fruizione del servizio comunale, purché questo sia apprestato e messo a disposizione. La quota variabile non è invece dovuta, o è soggetta a riduzione, solo qualora il contribuente provi di produrre in maniera esclusiva rifiuti speciali non assimilabili o non assimilati e di provvedere al loro smaltimento autonomamente tramite ditte autorizzate. A tal fine non è sufficiente la mera presentazione della denuncia relativa alle superfici esenti, ma occorre che il contribuente dimostri sia la natura dei rifiuti, mediante formulari di identificazione e altra documentazione idonea, sia le specifiche superfici che generano esclusivamente tali rifiuti, sia l’effettivo auto smaltimento mediante operatori autorizzati (MUD, contratti, fatture). La disponibilità dell’area produttrice di rifiuti determina infatti una presunzione iuris tantum di produttività degli stessi, che può essere superata solo dalla prova contraria del detentore e la natura dei rifiuti non può essere desunta dalla sola tipologia di attività svolta dall’impresa. Del resto, l’eventuale produzione di rifiuti speciali in una porzione dell’insediamento produttivo non esclude la produzione anche di rifiuti urbani ordinari, collegata ex lege al fatto materiale della detenzione dei locali. Le condizioni per la non applicazione della tassa non sono automatiche ma devono essere di volta in volta dedotte e accertate con procedimento amministrativo basato su elementi obiettivi o idonea documentazione (Cass. n.23530/2024; Cass. n. 8205-8222/22; Cass. n. 7187/21; Cass. n. 5360/20).
9.Ne consegue che, in ogni caso, pur volendo esaminare le inammissibili nuove censure formulate dalla società, i giudici distrettuali non potevano confermare l’annullamento totale dell’avviso, ma al più accertare, sulla base di motivi originariamente proposti, le superfici ove si producevano in via esclusiva nell’anno 2013 come da preventiva obbligatoria denuncia -rifiuti speciali non assimilati o non assimilabili. Al riguardo vale osservare che le esclusioni dall’imposizione previste dall’art. 62 del d.lgs. n. 507 del 1993, in difetto di una regolamentazione specifica a livello locale, non sono applicabili in maniera automatica, ma postulano che il contribuente dia
indicazione dei relativi presupposti nella denuncia originaria o in quella di variazione in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione, non essendo all’uopo sufficiente la sola dimostrazione successiva della sussistenza di un’ipotesi di esenzione connessa alla tipologia di rifiuto prodotto (Cass. n. 8595/2025).
10. Infine, l’uso stagionale degli immobili non esclude la ricorrenza del presupposto impositivo, qual legato alla disponibilità dell’area produttrice di rifiuti (d.lgs. n. 507 del 1993, art. 62, c. 1; v., ex plurimis, Cass., 9 marzo 2020, n. 6551; Cass., 23 maggio 2019, 14037; Cass., 14 settembre 2016, n. 18054; Cass., 23 settembre 2004, n. 19173; Cass., 18 dicembre 2003, n. 19459; con riferimento al d.lgs. n. 507 del 1993, art. 66, Cass., 23 maggio 2019, n. 14037 cui adde Cass., 3 dicembre 2019, n. 31460): la mancata utilizzazione della struttura in questione per alcuni mesi dell’anno di per sè non può corrispondere alla previsione di esenzione dal tributo. L’art. 62, comma 2, d.lgs. n. 507/1993 (a l’art. 33 del Regolamento presuppone una licenza stagionale) indica, difatti, come causa di esclusione dell’obbligo del tributo le condizioni di “obiettiva” impossibilità di utilizzo dell’immobile, che – di certo – non possono essere individuate nella mancata utilizzazione dello stesso legata alla volontà o alle esigenze del tutto soggettive dell’utente (Cass. 18316/04, 17524/09), e neppure al mancato utilizzo di fatto del locale o dell’area, non coincidendo – com’è evidente – le prime ed il secondo con l’obiettiva non utilizzabilità dell’immobile, ai sensi del d.lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 2 (Cfr. Cass. n. 22576/2016; Cass. n. 9633 del 13/06/2012; Cass. 22770/09).
10.1.Occorre considerare, dunque, che parte contribuente deve adeguatamente provare di avere diritto ad esenzioni o riduzioni in ragione del carattere stagionale della attività sulla scorta delle previsioni regolamentari del Comune adottate in relazione alla normativa vigente (art. 33 del Regolamento TARI; v. Cass. n.21181/2024).
11. Il ricorso va pertanto accolto; la sentenza deve essere cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sardegna, in diversa composizione, che dovrà accertare se la società era fornita di licenza
stagionale – unica residua doglianza proposta e non esaminata – e se era prevista dal regolamento comunale una riduzione tariffaria per detta attività non applicata nell’avviso opposto.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sardegna, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese di lite del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione tributaria della Corte di cassazione del 18.09.2025.
Il Presidente
NOME COGNOME