Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22433 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22433 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9839/2020 R.G. proposto da:
COGNOME (CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME del foro di Catania, giusta procura speciale in calce al ricorso, con indicazione di domicilio digitale all’indirizzo pecEMAIL;
-ricorrente –
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore generale pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici, in Roma, INDIRIZZO, è domiciliata;
-controricorrente – avverso la sentenza n. 4933/6/2019 della Commissione tributaria regionale della Sicilia, sez. distaccata di Catania, depositata in data 5.8.2019, non notificata;
udita la relazione svolta all’udienza camerale del 22.05.2025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.NOME COGNOME ha impugnato, con ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, la sentenza indicata in epigrafe, con la quale la C.T.R. della Sicilia, sez. distaccata di Catania, respingeva
Accertamento -notifica motivazione -indagini bancarie
–
l’appello avverso la sentenza n. 4694/2017 della C.T.P. di Catania, ritenendo che l’avviso di accertamento impugnato, relativo all’anno di imposta 2007, era stato ritualmente notificato a mezzo del servizio postale e recapitato personalmente all’appellante, il quale aveva in ogni caso proposto tempestivo ricorso, sanando ogni eventuale irregolarità. Infondata -ad avviso della C.T.R. – era pure la doglianza relativa al difetto di motivazione dell’atto impugnato, posto che, seppure non notificato unitamente all’avviso di accertamento, era stato descritto il contenuto dell’allegato A e tanto era sufficiente a soddisfare l’obbligo motivazionale, fermo restando che si trattava di un elenco di immobili o beni mobili registrati di proprietà dell’appellante, la cui esistenza e consistenza risultava da pubblici registri. L’ufficio aveva tenuto conto dei costi documentati e dei costi di ristrutturazione, mentre l’appellante, a fronte dell’esiguo reddito dichiarato , non aveva fornito giustificazioni circa la capacità di reddito necessaria ad affrontare le operazioni immobiliari contestate, né aveva fornito prova contraria in merito alle movimentazioni bancarie sui conti intestati al coniuge.
L’ Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
E’ stata fissata l’ adunanza camerale del 22.5.2025.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo -rubricato « violazione e falsa applicazione dell’art. 156 c.p.c. e dell’art. 60 d.p.r. 600/73, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c .» – il ricorrente deduce che la C.T.R. ha errato a non ritenere inesistente la notifica dell’atto impositivo, in quanto l’Ufficio si era avvalso del procedimento di notifica di cui all’art. 14, comma 1 della legge n. 890/1982, sicch é avrebbe dovuto rispettare la previsione di cui al comma 3 della medesima disposizione di legge. Errato, altresì, era il richiamo all’art. 156 c.p.c., norma che notoriamente si applica ai soli atti processuali.
1.1. Il motivo è manifestamente infondato.
Come ammesso dallo stesso ricorrente, la notifica dell’avviso di accertamento è avvenuta ai sensi del primo comma dell’art. 14 della legge n. 890/1982 ossia mediante raccomandata con avviso di ricevimento spedita direttamente da parte dell’Ufficio finanziario e quindi con la cosiddetta raccomandata ‘ordinaria’, che esclude l’intermediazione dell’ufficiale giudiziario.
Questa Corte ha infatti costantemente affermato (da ultimo, Cass. n . 6702 / 2025), che la notificazione di atti impositivi da parte dell’Ufficio finanziario, ai sensi dell’art. 14 della l. n. 890 del 1982, può avvenire direttamente a mezzo del servizio postale, secondo le norme concernenti la consegna dei plichi raccomandati e, in tal caso, non necessita di relata di notifica, né di annotazioni specifiche sull’avviso di ricevimento in ordine alla persona cui è stato consegnato il plico, atteso che l’atto pervenuto all’indirizzo del destinatario deve ritenersi ritualmente consegnato a quest’ultimo in base alla presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c..
1.2. Nel caso di specie, la consegna del plico raccomandato a mani del destinatario da parte dell’agente postale rendeva la notifica del tutto valida e regolare, per come ritenuto dalla C.T.R., che, solo per ragioni di mera completezza, ha richiamato l’effetto sanante derivante dall’impugnazione tempestiva dell’atto impositivo, in conformità con il costante indirizzo di questa Corte, secondo cui la tempestiva proposizione del ricorso del contribuente avverso l’atto impositivo produce l’effetto di sanare ” ex tunc ” la nullità della relativa notificazione, per raggiungimento dello scopo dell’atto, ex art. 156 c.p.c. ( ex multis , Cass. n. 17198/2017 e Cass. n. 27326/2024).
Con il secondo motivo si denuncia la «v iolazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge n. 212/2000, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c .», per avere la C.T.R. ritenuto sufficiente la descrizione del contenuto dell’allegato A menzionato nell’avviso di accertamento, essendo piuttosto evidente che l’art. 7 dello
Statuto del Contribuente non consente all’amministrazione finanziaria di eludere l’obbligo ivi indicato, sostituendolo con la mera descrizione del contenuto di un documento cui l’avviso fa riferimento.
2.1. Il motivo è infondato.
2.2. In primo luogo, va osservato che la C.T.R. non si è limitata a ritenere sufficiente la descrizione del contenuto dell’allegato A, avendo aggiunto: ‘ Peraltro, il documento omesso fa riferimento ai beni immobili o mobili registrati di proprietà del ricorrente, la cui esistenza e consistenza risulta da pubblici registri », argomentazione rimasta priva di censura.
2.3 . Inoltre, l’art. 7 dello Statuto del contribuente è stato costantemente interpretato da questa Corte nel senso che, in primo luogo, la prescrizione di cui al secondo periodo del primo comma si riferisce esclusivamente agli atti di cui il contribuente non abbia già integrale e legale conoscenza (v., da ultimo, Cass. n. 5112/2025). Di poi, è stato precisato che il contribuente ha diritto di conoscere la motivazione dell’atto impositivo, e perciò ha sempre diritto di conoscere tutti gli atti il cui contenuto viene richiamato per integrare tale motivazione, ma non ha il diritto di conoscere il contenuto di tutti gli atti ai quali si faccia rinvio nell’atto impositivo sol perché ad essi si faccia riferimento, se tale contenuto non serve ad integrare la motivazione dell’atto impositivo in quanto essa sia già sufficiente (e il richiamo ad altri atti abbia pertanto solo valore narrativo), oppure se, comunque, il contenuto di tali ulteriori atti (almeno nella parte rilevante ai fini della motivazione dell’atto impositivo) è già riportato nell’atto noto (Cass. n. 23595/2011). In altri termini, non è sufficiente che il contribuente alleghi l’esistenza di atti a lui sconosciuti ai quali si faccia riferimento nell’atto impositivo, ma occorre provare che almeno una parte del contenuto di tali atti sia necessaria ad integrare la motivazione del suddetto atto impositivo e che tale parte non sia stata già riportata
in tale ultimo atto, come invece è avvenuto nel caso di specie, essendo pacifico che l’atto impositivo conteneva la descrizione del contenuto dell’allegato A.
Tale interpretazione trova conforto nella previsione speciale di cui all’art. 42 del d.p.r. 600/73 che, a proposito della motivazione degli avvisi di accertamento, statuisce, al secondo comma, secondo periodo, che « Se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama, salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale ».
2.4. Non a caso, il legislatore ha recentemente provveduto (cfr. articolo 1 del D.lgs. n. 219/2023) a modificare direttamente l’articolo 7, comma 1, dello Statuto del contribuente, prevedendo che solo se nella motivazione si faccia riferimento ad un altro atto sconosciuto all’interessato, lo stesso dovrà essere allegato all’atto che lo richiama, salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale, allineandosi pertanto alla previsione speciale di cui all’art. 42 sopra citato ed all’orientamento di legittimità sopra riportato.
La C.T.R. si è pertanto conformata sia alle disposizioni di legge (art. 7 l. 212/2000 e 42 d.p.r. 600/73), che alla consolidata interpretazione giurisprudenziale di legittimità.
Con i successivi motivi terzo, quarto e quinto, rubricati quali vizi di motivazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., il ricorrente denuncia difetto di motivazione sui seguenti aspetti: a) relativamente all’errata ricostruzione dei presupposti dell’accertamento, assume che la C.T.R. si sarebbe soffermata solo su una delle argomentazioni contenute nell’atto di appello, omettendo di considerare che l’Agenzia delle Entrate è attore in senso sostanziale e che pertanto avrebbe dovuto ritenere non provata ed argomentata la contestazione della plusvalenza; b) quanto ai movimenti bancari, beffarda sarebbe l’affermazione
secondo cui l’appellante non aveva neppure in sede di gravame saputo offrire la prova contraria, dal momento che era semmai stata la CTR ad aver omesso di valutare la copiosa documentazione probatoria prodotta in primo grado e riprodotta in appello, limitandosi a condividere sul punto la motivazione della C.T.P., incorrendo anche in questo caso in grave difetto di motivazione; c) quanto al conto cointestato con la moglie, la C.T.R. aveva omesso di del tutto di prendere posizione sul motivo di gravame con il quale era stato sostenuto che l’eventuale ripresa a tassazione avrebbe semmai dovuto essere divisa a metà tra i due coniugi ed imputata solo alla moglie per i conti correnti intestati personalmente a quest’ultima.
3.1. I motivi sono inammissibili, ai sensi del combinato disposto dei commi 4 e 5 dell’a rt. 348ter ‘ratione temporis’ applicabile nel presente giudizio, vertendosi in ipotesi di c.d. ‘doppia conforme’ sfavorevole al contribuente e non avendo quest’ultimo indicato nel ricorso per cassazione le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e del rigetto dell’appello, dimostrando, al fine di rendere i motivi ammissibili, che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 26774/2016; conf. Cass. n. 20994/2019; Cass. n. 8320/2021, Cass. n. 12788/2024) ed anzi affermando che le due pronunce sarebbero state in pratica sovrapponibili.
Il ricorso va, in definitiva, integralmente respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 115/2002, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M .
La Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in euro 5.600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 115/2002, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 22.5.2025.