Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 121 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 121 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3847/2020 R.G., proposto
DA
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME con studio in Latina, ove elettivamente domiciliato (indirizzo pec per comunicazioni e notifiche: EMAIL ), giusta procura in calce al ricorso introduttivo del presente procedimento;
RICORRENTE
CONTRO
Comune di Latina, in persona del Sindaco pro tempore ;
INTIMATO
avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale per il Lazio -sezione staccata di Latina il 25 giugno 2019, n. 3882/19/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 4 dicembre 2024 dal Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
NOME COGNOME ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale per
ICI IMU ACCERTAMENTO MOTIVAZIONE DELL’ATTO IMPOSITIVO LIQUIDAZIONE DELLE SPESE DEL GIUDIZIO DI APPELLO
il Lazio -sezione staccata di Latina il 25 giugno 2019, n. 3882/19/2019, la quale, in controversia sull ‘ impugnazione di avviso di accertamento n. 1378/2016 per l’omesso versamento dell’ ICI relativa a ll’anno 20 11, in relazione ad un’abitazione ubicata in Latina, ha rigettato l’appello proposto dal medesimo nei confronti del Comune di Latina avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria provinciale di Latina il 14 dicembre 2017, n. 1569/05/2017, con condanna alla rifusione delle spese giudiziali.
La Commissione tributaria regionale ha confermato la decisione di prime cure -che aveva rigettato il ricorso originario del contribuente -sul rilievo dell’insussistenza dei presupposti per beneficiare dell’esenzione prevista per l’abitazione principale.
Il Comune di Latina è rimasto intimato.
Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
CONSIDERATO CHE:
Il ricorso è affidato a sette motivi.
La stretta ed intima connessione suggerisce la trattazione congiunta del primo motivo, del secondo motivo, del terzo motivo, del quarto motivo e -in deroga all’ordine di prospettazione – del sesto motivo , lasciando all’esito l’esame separato del quinto motivo e del settimo motivo.
2.1 Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1, comma 162, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di secondo grado che l’avviso di accertamento fosse congruamente motivato in relazione ai presupposti di fatto e di diritto per l’insorgenza dell’obbligazione tributaria .
A dire del ricorrente: « (…) la CTR avrebbe dovuto esaminare l’atto impositivo impugnato, per verificare se la motivazione riportata nell’atto, ovvero l’omesso, parziale o tardivo versamento dell’ICI, era di per sé motivazione idonea ad assicurare la conoscibilità/comprensibilità della ragione impositiva (ovvero il mancato riconoscimento del diritto all’esenzione) e tale da garantire il diritto di difesa del contribuente, in base agli artt. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 e 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, nonché agli artt. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 1 l. 296/2006, comma 162 ».
2.2 Con il secondo motivo, si denuncia violazione degli artt. 112 e 132 cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per essersi pronunciato sull’appello il giudice di secondo grado con motivazione assente o apparente, non essendo state dedotte argomentazioni idonee a far conoscere il ragionamento posto a base del proprio convincimento.
A dire del ricorrente: « La sentenza d’appello, infatti, si limitava a dichiarare che <>, senz’altro aggiungere, anche riguardo il denunciato vizio motivazionale della stessa sentenza di primo grado. Contrariamente a quanto affermato però, la decisione d’appello non contiene alcun esame dell’atto originariamente impugnato, né la CTR indicava in sentenza quale fosse, materialmente, la motivazione dell’atto ritenuta sufficiente, né, infine argomentava la ragione per cui giudicava la motivazione sufficiente ».
2.3 Con il terzo motivo, si denuncia violazione degli artt. 112 e 132 cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per essersi
pronunciato sull’appello il giudice di secondo grado con motivazione perplessa e contraddittoria, laddove, per un verso, si afferma che l’atto impositivo sia sufficientemente motivato, e, per altro verso, si richiamano le difese allegate ed i documenti pro dotti dall’ente impositore in sede di costituzione nel giudizio di prime cure.
Secondo la prospettazione del ricorrente: « Pertanto la CTR non poteva affermare che l’atto impugnato è sufficientemente motivato riportando nella sentenza altri motivi dedotti successivamente ed al di fuori dell’atto. L’illogicità è manifesta ed emerge dalla stessa sentenza ».
2.4 Con il quarto motivo, si denuncia violazione degli artt. 99 e 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per essersi pronunciato il giudice di secondo grado sul disconoscimento dell’esenzione per l’abitazione principale, che non era stata posta a fondamento dell’atto impositivo né , per conseguenza, poteva essere censurata dal contribuente col ricorso originario, essendo stata dedotta ex post soltanto in sede di controdeduzioni dell’ente impositore.
Ad avviso del ricorrente: « Il sig. COGNOME non ha mai chiesto di valutare la fondatezza del proprio diritto all’esenzione e dunque il Giudice non era chiamato né a valutarla né a farne il fondamento della sua decisione. Era stato il Comune, nel proprio atto costitutivo in CTP, a richiamare per la prima volta le ragioni del mancato riconoscimento dell’esenzione per abitazione principale (pag. 2 e 4), ma senza che questa ulteriore deduzione integrasse, di per sé, una eccezione processuale del Comune o che rispondesse ad una domanda o eccezione del ricorrente (che sul punto non c’è mai stata) ».
2.5 Con il sesto motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 36 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, 112 cod. proc. civ., 24 e 111 Cost., 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per essere stato rigettato l’appello dal giudice di secondo grado senza esporre nella sentenza impugnata lo svolgimento del processo, i motivi di gravame e le rationes della decisione.
Secondo l’assunto del ricorrente: « È di tutta evidenza che la sentenza non riporta né la concisa esposizione dello svolgimento del processo; né espone motivi di fatto ovvero quali siano le doglianze dell’appellante (mancanza di motivazione delle ragioni giuridiche e di fatto dell’imposta); né i motivi diritto a sostegno dell’impugnazione della sentenza di primo grado; né le ragioni della CTP a sostegno della impugnata sentenza in CTR; né le argomentazioni che hanno indotto la CTR a condividere la decisione del primo grado. Tali omissioni determinavano l’impossibilità di definire il thema decidendum e probandum del giudizio e dunque la nullità della sentenza quivi impugnata ».
I predetti motivi sono infondati.
3.1 L’ art. 36, comma 2, nn. 2, 3 e 4, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 – la cui formulazione è similare a quella dell’art. 132, secondo comma, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., con il riferimento, rispettivamente, a « le conclusioni del pubblico ministero e quelle delle parti » ed a « la concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei motivi in fatto e in diritto della decisione» – statuisce che la sentenza della commissione tributaria deve contenere, tra l’altro, « la concisa esposizione dello svolgimento del processo », « le richieste delle parti » e la « succinta esposizione dei motivi in fatto e diritto ». Inoltre, l’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. – sicuramente applicabile anche al
nuovo rito tributario, in forza del generalissimo rinvio materiale alle norme del codice di procedura civile « compatibili » per quanto non disposto da quelle « speciali », operato dall’art. 1, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e, quindi, anche alle sue disposizioni di attuazione – statuisce, tra l’altro (primo comma), che « la motivazione della sentenza di cui all’art. 132 numero 4 del codice consiste nell’esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione ».
Le richiamate disposizioni costituiscono attuazione, anche nel processo tributario, del principio costituzionale, secondo cui « tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati » (art.111, sesto comma, Cost, quale novellato dall ‘art. 1 della legge cost. 23 novembre 1999, n. 2).
3.2 Per il processo civile ordinario, è pacifico che l’omessa trascrizione delle conclusioni delle parti e l’inadeguata esposizione dello svolgimento del processo di per sé non costituiscono motivo di nullità della sentenza, se le omissioni e le carenze espositive non hanno inciso in concreto sul processo decisionale del giudice, determinando una mancata pronunzia sulle domande o eccezioni proposte dalle parti, oppure una motivazione carente o apparente della decisione adottata dal giudice (tra le tante: Cass., Sez. 2^, 27 febbraio 2004, n. 4015; Cass., Sez. 2^, 26 novembre 2015, n. 24156; Cass., Sez. 1^, 18 luglio 2024, n. 19818).
Parallelamente, in forza del generale rinvio materiale alle norme del codice di rito compatibili (e, dunque, anche alle sue disposizioni di attuazione) contenuto nell’art. 1, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, è applicabile al rito tributario il principio desumibile dalle norme di cui agli artt. 132, secondo comma, nn. 3 e 4 cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ., secondo il quale la mancata esposizione dello svolgimento
del processo e dei fatti rilevanti della causa, ovvero la mancanza o l’estrema concisione della motivazione in diritto determinano la nullità della sentenza allorquando rendano impossibile l’individuazione del thema decidendum e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 22 settembre 2003, n. 13990; Cass., Sez. 6^-5, 18 aprile 2017, n. 9745; Cass., Sez. 5^, 29 ottobre 2021, n. 30829; Cass., Sez. 6^-Trib., 28 ottobre 2022, n. 31898; Cass., Sez. Trib., 6 marzo 2023, n. 6691; Cass, Sez. Trib., 12 novembre 2024, n. 29234).
3.3 A ben vedere, la sentenza impugnata contiene in narrativa una sufficiente illustrazione degli antefatti processuali, con un’esauriente sintesi delle rispettive difese, laddove si riporta che: « Con atto regolarmente depositato veniva proposto appello a questa commissione tributaria avverso la sentenza n. 1569/05/2017, emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Latina, che rigettava il ricorso presentato contro l’avviso di accertamento, in atti, con il quale veniva contestato il mancato pagamento dell’IMU, relativa al periodo di imposta 2011. L’appellante contestava la sentenza impugnata in quanto a suo dire I primi giudici non si sarebbero sufficientemente espressi sulle contestazioni mosse all’atto impugnato in prime cure. Nel sottolineare che pr esso l’immobile accertato vi è la sua dimora abituale, concludeva chiedendo l’accoglimento dell’appello e la riforma della impugnata sentenza. L’appellato si costituiva in giudizio con controdeduzioni, sostenendo la bontà del suo operato e contestando quan to riportato nell’atto di appello, concludeva chiedendone il rigetto ».
3.4 Per il resto, secondo una costante giurisprudenza di questa Corte, la mancanza di motivazione, quale causa di nullità della sentenza impugnata, va apprezzata, tanto nei casi di sua
radicale carenza, quanto nelle evenienze in cui la stessa si dipani in forme del tutto inidonee a rivelare la ratio decidendi posta a fondamento dell’atto, poiché intessuta di argomentazioni fra loro logicamente inconciliabili, perplesse od obiettivamente incomprensibili (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 30 aprile 2020, n. 8427; Cass., Sez. 6^-5, 15 aprile 2021, n. 9975; Cass., Sez. Trib., 20 dicembre 2022, n. 37344; Cass., Sez. Trib., 18 aprile 2023, n. 10354; Cass., Sez. Trib., 9 aprile 2024, n. 9446).
Peraltro, si è in presenza di una tipica fattispecie di ‘ motivazione apparente ‘, allorquando la motivazione della sentenza impugnata, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente e, talora, anche contenutisticamente sovrabbondante, risulta, tuttavia, essere stata costruita in modo tale da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio, e quindi tale da non attingere la soglia del ‘ minimo costituzionale ‘ richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost. (tra le tante: Cass., Sez. 1^, 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., Sez. 6^-5, 25 marzo 2021, n. 8400; Cass., Sez. 6^-5, 7 aprile 2021, n. 9288; Cass., Sez. 5^, 13 aprile 2021, n. 9627; Cass., Sez. 6^-5, 24 febbraio 2022, n. 6184; Cass., Sez. Trib., 18 aprile 2023, n. 10354; Cass., Sez. Trib., 9 aprile 2024, n. 9446).
In particolare, poi, il vizio di motivazione contraddittoria è rinvenibile soltanto in presenza di un contrasto insanabile ed inconciliabile tra le argomentazioni addotte nella sentenza impugnata, che non consenta la identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione (tra le tante: Cass., Sez. Lav., 17 agosto 2020, n. 17196; Cass., Sez. 6^-5, 14 aprile 2021, n. 9761; Cass., Sez. 5^, 26 novembre 2021, n. 36831; Cass., Sez. 6^-5, 14 dicembre
2021, n. 39885; Cass., Sez. 5^, 27 aprile 2022, nn. 13214, 13215 e 13220; Cass., Sez. Trib., 23 agosto 2023, n. 25079; Cass., Sez. Trib., 2 settembre 2024, n. 23530).
3.5 Nella specie, pur muovendo dalla premessa (coerente con le censure originarie del contribuente all’adeguatezza motivazionale dell’atto impositivo , secondo la trascrizione fattane alla nota 3 della pagina 5 del ricorso) che: « Va preliminarmente rilevato come questo collegio analizzando l’atto originariamente impugnato lo abbia trovato sufficientemente motivato al contrario di quanto sostenuto dall’odierno appellante », la sentenza impugnata perviene, però, al rigetto dell’appello con una motivazione esclusivamente incentrata sull’ accertata insussistenza dei requisiti (residenza anagrafica e dimora abituale) per usufruire dell’esenzione (non invocata dal contribuente) per l’abitazione principale, argomentando che: « Quindi a nulla vale che ricorrente abbia trasferito la propria dimora abituale in un determinato comune se il resto del suo nucleo familiare vive e risiede in altro comune. Altro sarebbe stato se tra i coniugi fosse intervenuta una sentenza di separazione legale, cosa che, nella causa oggi in discussione, non sembra vi sia stata, anzi il ricorrente non ha smentito quanto affermato dall’ente impositore. Come sopra detto e per quanto attiene le altre eccezioni sollevate in sede di ricorso, il ricorrente non ha fornito alcuna dimostrazione di quanto affermato, limitandosi ad ininfluenti lamentele prive di pregio e di qualsiasi fondatezza. Le motivazioni che precedono essendo assorbenti al fine del rigetto del ricorso inducono questa sezione a ritenere superate le ulteriori critiche proposte ».
Per cui, tenendo conto che il contribuente non ha contestato l’atto impositivo con riguardo al diniego dell’esenzione per
l’abitazione principale, bensì con riguardo all’ esposizione dei presupposti di fatto e delle ragioni di diritto posti a suo fondamento, è evidente che la ratio decidendi è solo apparente e non è aderente alle censure formulate con i motivi di appello. Cosicché, la frattura della coerenza argomentativa impedisce che la motivazione del decisum possa raggiungere la soglia del minimo costituzionale.
Il che esclude, comunque, che il vizio inficiante la sentenza impugnata possa essere apprezzato alla stregua di un’omessa pronuncia ex art. 112 cod. proc. civ., giacché il motivo di appello è stato esaminato e deciso, seppur in assenza di una congrua motivazione.
3.6 Ciò posto, è pacifico che il ricorso per cassazione che denunci il vizio di motivazione della sentenza, perché meramente apparente, in violazione dell’art. 132 cod. proc. civ., non può essere accolto qualora la questione giuridica sottesa sia comunque da disattendere, non essendovi motivo per cui un tale principio, formulato rispetto al caso di omesso esame di un motivo di appello, e fondato sui principi di economia e ragionevole durata del processo, non debba trovare applicazione anche rispetto al caso, del tutto assimilabile, in cui la motivazione resa dal giudice dell’appello sia, rispetto ad un dato motivo, sostanzialmente apparente, ma suscettibile di essere corretta ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ. (Cass., Sez. Lav., 1 marzo 2019, n. 6145; Cass., Sez. 5^, 27 ottobre 2020, n. 23526; Cass., Sez. 5^, 23 giugno 2021, n. 18036; Cass., Sez. Trib., 27 dicembre 2022, n. 37844; Cass., Sez. Trib., 3 novembre 2023, n. 30594; Cass., Sez. Trib., 13 novembre 2024, n. 29349; Cass., Sez. Trib., 15 novembre 2024, n. 29538).
3.7 Nella specie, non occorrendo ulteriori accertamenti in fatto, la valutazione in diritto del giudice di appello può essere pienamente confermata in relazione alla motivazione dell’atto impositivo, che è stato integralmente riprodotto in ricorso (alle pagine 3 e 4).
Secondo una costante giurisprudenza di questa Corte, l’obbligo motivazionale dell’avviso di accertamento in materia di ICI (ma le stesse argomentazioni possono valere anche per l’IMU) deve ritenersi adempiuto tutte le volte in cui il contribuente sia stato posto in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestare l’ an e il quantum dell’imposta; in particolare, il requisito motivazionale esige, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l’indicazione dei fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ente impositore nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando, poi, affidate al giudizio di impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 8 novembre 2017, n. 26431; Cass., Sez. 5^, 26 gennaio 2021, n. 1569; Cass., Sez. 6^-5, 3 febbraio 2021, n. 2348; Cass., Sez. 5^, 11 giugno 2021, n. 16681; Cass., Sez. 5^, 24 agosto 2021, n. 23386; Cass., Sez. Trib., 18 novembre 2022, n. 34014; Cass., Sez. Trib., 17 ottobre 2023, n. 28758; Cass., Sez. Trib., 31 gennaio 2024, n. 2929; Cass., Sez. Trib., 12 marzo 2024, n. 6501).
Pertanto, l’indicazione attraverso un prospetto analitico e riassuntivo -del l’identificazione catastale, della superficie rilevante, del valore imponibile, dell’aliquota applicabile e dell’imposta liquidata per ciascun immobile (come è avvenuto
nel caso di specie) è sufficiente ad assicurare la completezza motivazionale dell’avviso di accertamento in ossequio ai parametri dell’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212.
Aggiungasi anche che l’apparente ambiguità nella indicazione della causale dell’ obbligazione tributaria (che pure è stata marginalmente lamentata dal ricorrente, in relazione alla dizione onnicomprensiva « omesso, parziale o tardivo versamento dell’imposta comunale sugli immobili per l’anno d’imposta 2011 ») non è, comunque, idonea ad ingenerare una qualche incertezza nella comprensione della pretesa impositiva da parte del contribuente . Invero, l’addebito effettivo dell’omesso versamento dell’ICI relativa all’anno di riferimento era già desumibile dallo stesso contenuto dell’avviso di accertamento con l’annesso prospetto analitico, ove si consideri l’irrogazione della sanzione per l” omesso pagamento ‘ e la liquidazione dell’imposta dovuta per i singoli immobili sulla base della situazione dichiarata dal contribuente. 4. Con il quinto motivo, si denuncia omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., per non essere stata tenuta in conto dal giudice di secondo grado « la denunciata totale mancanza di motivazione » dell’atto impositivo, che si risolveva nella trascrizione di una tabella con la esposizione degli importi dovuti. A dire del ricorrente: « L’omissione concerneva, dunque, l’assenza di un qualsiasi riferimento, all’interno della sentenza, riguardante l’atto di accertamento impositivo: i Giudici tributari dell’appello hanno completamente omesso l’esame dell’atto sia del suo contenuto estrinseco sia riguardo la denunciata mancanza di motivazione, cosicché, al di là del dato espressivo, laddove in sentenza si riferisce di aver
esaminato l’atto, nel corpo della sentenza tale esame ed i risultati di tale esame non ci sono ».
4.1 Il predetto motivo è inammissibile per la preclusione derivante dalla c.d. ‘ doppia conforme ‘ (per la soccombenza in primo grado ed in secondo grado), che non consente di censurare l’omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (nella specie, comunque, non dedotto); difatti, in siffatta ipotesi, prevista dall’art. 348 -ter , quinto comma, cod. proc. civ. (applicabile, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012; detta norma è stata mantenuta, anche dopo l’abrogazione disposta dall’art. 3, comma 26, lett. e, del d.lgs. 1 ottobre 2022, n. 149, per i giudizi introdotti prima dell’1 gennaio 2023, dall’art. 35, comma 5, del d.lgs. 1 ottobre 2022, n. 149, quale modificato dall’art. 380, lett. a, della legge 29 dicembre 2022, n. 197), il ricorrente in cassazione per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (nel testo riformulato dall’art. 54, comma 3, del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, ed applicabile alle sentenze pubblicate dall’11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (tra le tante: Cass., Sez. 1^, 22 dicembre 2016, n. 26774; Cass., Sez. Lav., 6 agosto 2019, n. 20994; Cass., Sez. 5^, 12 luglio 2021, n. 19760; Cass., Sez. 5^, 1 aprile 2022, n. 10644; Cass., Sez. 5^, 11 aprile 2022, n. 11707;
Cass., Sez. 6^-5, 28 aprile 2022, n. 13260; Cass., Sez. Trib., 13 dicembre 2023, n. 34902; Cass., Sez. Trib., 27 giugno 2024, n. 17782); nella specie, però, a fronte della soccombenza nel doppio grado di merito, il ricorrente non ha indicato le ragioni di fatto differenti a seconda del giudizio; ne discende che le questioni sono state esaminate e decise in modo uniforme dai giudici del doppio grado di merito, per cui non ne è possibile alcun sindacato da parte del giudice di legittimità in relazione alla vi olazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (art. 348ter , quinto comma, cod. proc. civ.).
Con il settimo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dei parametri fissati dal d.m. 10 marzo 2014, n. 55, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per essere stati liquidati dal giudice di secondo grado i compensi a favore della parte vittoriosa in appello nella misura di € 1.000,00, determinandone l’ammontare in misura eccedente il limite massimo di € 792,00, in corrispondenza della riconducibilità del valore della controversia entro il tetto massimo del primo scaglione di € 1.100,00, senza alcuna giustificazione.
A dire del ricorrente: « (…) considerato che in materia di liquidazione delle spese giudiziali, il giudice d’appello, nel caso di rigetto del gravame non può, in mancanza di uno specifico motivo di impugnazione, modificare la statuizione sulle spese processuali di primo grado (…), appare evidente che la liquidazione delle spese riguarda il solo grado d’appello e che tale liquidazione sia ingiustificatamente superiore ai parametri cui si deve attenere il Giudice, salvo adeguata motivazione delle ragioni che lo avrebbero portato a ridurre od aumentare
gli importi previsti per legge, in violazione del DM 55/2014, e successive modifiche ».
5.1 Il predetto motivo è fondato.
5.2 In tema di liquidazione delle spese processuali successiva al d.m. 10 marzo 2014, n. 55, non sussistendo più il vincolo legale della inderogabilità dei minimi tariffari, i parametri di determinazione del compenso per la prestazione defensionale in giudizio e le soglie numeriche di riferimento costituiscono criteri di orientamento e individuano la misura economica standard del valore della prestazione professionale; pertanto, il giudice è tenuto a specificare i criteri di liquidazione del compenso solo in caso di scostamento apprezzabile dai parametri medi (tra le tante: Cass., Sez. 6^-3, 15 dicembre 2017, n. 30286; Cass., Sez. 6^-2, 1 giugno 2020, n. 10343; Cass., Sez. 6^-5, 3 giugno 2021, n. 15313; Cass., Sez. 6^-5, 26 ottobre 2021, n. 30087; Cass., Sez. 6^-2, 19 novembre 2021, n. 35591; Cass., Sez. 6^-5, 3 febbraio 2022, n. 3357; Cass., Sez. Trib., 22 dicembre 2022, n. 37589).
Alla luce del ritenuto carattere non vincolante dei parametri di liquidazione, questa Corte è giunta a sostenere che la quantificazione del compenso e delle spese processuali sia espressione di un potere discrezionale riservato al giudice, e che la liquidazione, se contenuta entro i valori tabellari minimi e massimi, non richiede un’apposita motivazione e non è sottoposta al controllo di legittimità, dovendosi, invece, giustificare la scelta del giudice di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, fatto salvo l’obbligo di non attribuire somme simboliche, lesive del decoro professionale (Cass., Sez. 6^-2, 1 giugno 2020, n. 10343; Cass., Sez. 3^, 7 gennaio 2021, n. 89; Cass., Sez. 3^, 13 luglio 2021, n. 19989; Cass., Sez. 2^, 5 maggio 2022, n.
14198; Cass., Sez. 6^-3, 29 settembre 2022, n. 28325; Cass., Sez. 2^, 11 luglio 2024, n. 19025).
5.3 Nella specie, tenendo conto delle voci corrispondenti alle varie fasi processuali (secondo la riproduzione fattane in ricorso), è agevole constatare che il giudice di appello si è discostato dai parametri massimi ex d.m. 10 marzo 2014, n. 55 (pari ad € 710,00), nella liquidazione dei compensi spettanti al difensore dell’appellato in relazione al valore della controversia (fascia fino ad € 1.100,00 ), senza giustificare in alcun modo le ragioni di tale scostamento. Pertanto, in difetto di idonea motivazione, la liquidazione a tale titolo della maggior somma di € 1.000,00 per il giudizio svoltosi dinanzi alla commissione tributaria regionale si rivela essere contra legem e deve essere ricondotta ad un ammontare rientrante entro il limite massimo.
E tanto è consentito anche al giudice di legittimità sempreché non si rendano indispensabili ulteriori accertamenti in fatto. Infatti, qualora sia impugnato per cassazione il quantum della liquidazione delle spese compiuta dal giudice di merito, e non siano necessari accertamenti di fatto, alla luce del principio di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111 Cost., che impone di non trasferire una c ausa dall’uno all’altro giudice quando il giudice rinviante potrebbe da sé svolgere le attività richieste al giudice cui la causa dovrebbe essere rinviata, è consentito alla Corte decidere la causa nel merito ex art. 384 cod. proc. civ., liquidando le spese non solo del giudizio di legittimità, ma anche dei gradi di merito, in quanto sarebbe del tutto illogico imporre il giudizio di rinvio, al solo fine di provvedere ad una liquidazione che, in quanto ancorata a parametri di legge, ben può essere direttamente compiuta dal giudice di legittimità (tra le tante: Cass., Sez.
Lav., 24 maggio 2021, n. 14199; Cass. Sez. 5^, 5 novembre 2021, n. 31935; Cass., Sez. 2^, 17 novembre 2022, n. 33916).
Per cui, valutandosi la fondatezza del settimo motivo e l’infondatezza/inammissibilità dei restanti motivi, il ricorso può trovare accoglimento entro tali limiti e la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto; non occorrendo ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, primo comma, ultima parte, cod. proc. civ., con la riliquidazione delle spese giudiziali per il giudizio di appello in favore dell’ente impositore ed a carico del contribuente nella misura complessiva di € 500,00 (con i relativi accessori).
La soccombenza della parte ricorrente sulle questioni di gran lunga prevalenti giustifica la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il settimo motivo; rigetta il primo motivo, il secondo motivo, il quarto motivo ed il sesto motivo; dichiara l’inammissibilità del quinto motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, liquida le spese del giudizio di appello in favore del l’ente impositore ed a carico del contribuente nella misura di € 500,00, oltre a rimborso forfettario nella misura del 15% sui compensi e ad altri accessori di legge; compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso a Roma nella camera di consiglio del 4 dicembre