Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18777 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 18777 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 09/07/2025
SANZIONI
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 27884/2017 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME in forza di procura in calce al ricorso, elettivamente domiciliata in Roma alla INDIRIZZO
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ;
-controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania n. 3724/2017 depositata in data 24/04/2017; udita la relazione della causa tenuta nella pubblica udienza del 23/05/2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME udito il sostituto Procuratore generale, dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; uditi l’Avv. COGNOME e l’Avv. COGNOME per l’Avvocatura Generale dello Stato.
FATTI DI CAUSA
L’ Agenzia delle entrate, Direzione provinciale di Benevento, emetteva atto di irrogazione sanzioni (art. 6, comma 8, d.lgs. n.471 del 1997), per l ‘ anno di imposta 2015, nei confronti di RAGIONE_SOCIALE per omessa fatturazione nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE
La Commissione tributaria provinciale di Benevento (CTP) accoglieva il ricorso.
La Commissione tributaria regionale della Campania (CTR), in contumacia della società contribuente, accoglieva l’appello erariale e, riformando la sentenza di primo grado, rigettava il ricorso introduttivo, condannando la società al pagamento delle spese di lite.
In particolare, riteneva insussistente il dedotto vizio di firma dell’atto impugnato, essendo presente in atti , fin dal primo grado di giudizio, la disposizione di servizio recante la delega di firma, con indicata peraltro la decorrenza e le motivazioni; quanto al dedotto vizio di notifica, evidenziava la sua sanatoria in conseguenza della impugnazione dell’atto medesimo ; quanto al vizio di motivazione, evidenziava che vi era un p.v.c. della Guardia di finanza di cui il legale rappresentante della società aveva preso visione, per cui il dettaglio delle motivazioni della contestazione doveva considerarsi già legalmente conosciuto; evidenziava infine che il contribuente, non costituitosi, non aveva riproposto ulteriori domande e eccezioni sulle quali il giudice non si era pronunciato, ex art. 346 c.p.c.
Contro tale sentenza la società propone ricorso affidato a otto motivi.
L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
La causa è stata rimessa alla pubblica udienza del 23/05/2025.
Il PM, in persona del sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME ha rassegnato conclusioni scritte per l’inammissibilità o in subordine il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Occorre premettere che l’avviso di fissazione di udienza è stato comunicato dalla cancelleria personalmente alla società ricorrente, in persona del suo amministratore p.t., NOME COGNOME in data 26 febbraio 2025, sul presupposto della cancellazione dal l’albo del difensore avv. NOME COGNOME (cancellazione che non determina interruzione del giudizio di legittimità: Cass. 28/04/2023, n. 11300).
1.1. I motivi da esaminare sono esposti da pagina 12 in poi del ricorso, per tali non potendosi ritenere il generico richiamo alle deduzioni dei gradi di merito e la sintesi contenuta alle pagine 10 e 11.
Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5) c.p.c., si deduce insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
2.1. Il motivo è inammissibile per plurime concorrenti ragioni.
In primo luogo, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto
irriducibile tra affermazioni inconciliabili, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass., Sez. U., 7/04/2014, n. 8053; Cass. 3/03/2022, n. 7090).
In secondo luogo, il motivo è inammissibile perché, anche a voler prescindere dalla rubrica, espone critiche in fatto ed in diritto, queste ultime sia di carattere sostanziale che processuale, contemporaneamente e senza alcuna gradazione o distinzione tra loro, dando luogo ad una sostanziale mescolanza e sovrapposizione di censure, con l’inammissibile prospettazione della medesima questione sotto profili incompatibili (Cass. 23/10/2018, n. 26874; Cass. 23/09/2011, n. 19443; Cass. 11/04/2008, n. 9470), non risultando specificamente separata la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie e dei profili attinenti alla ricostruzione del fatto (Cass. 11/04/2018, n. 8915; Cass. 23/04/2013, n. 9793).
Si tratta di censure non ontologicamente distinte dalla stessa ricorrente e quindi non autonomamente individuabili, senza un inammissibile intervento di selezione e ricostruzione del mezzo d’impugnazione da parte di questa Corte.
Deve comunque certamente escludersi un vizio di nullità per motivazione apparente, avendo la CTR esaurientemente e chiaramente espresso la ratio decidendi , con motivazione che soddisfa il cd. minimo costituzionale (Cass. Sez. U. n. 8053/2014 cit.).
Anche a voler ritenere che il motivo deduca un omesso esame di fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., nel testo vigente ratione temporis , la censura rimane inammissibile.
La deduzione del vizio motivazionale di cui al n. 5 dell’art. 360, primo comma, c.p.c. deve avere ad oggetto l’omesso esame di un fatto
storico, principale o secondario, inteso nel senso di circostanza fattuale o un preciso accadimento in senso storico naturalistico Cass. 06/09/2019, n. 22397; Cass. 03/10/2018, n. 24035; Cass. 08/09/2016, n. 17761; Cass., Sez. U., 23/03/2015, n. 5745; Cass. 08/10/2014, n. 21152; Cass. 04/04/2014, n. 7983; Cass. 05/03/2014, n. 5133), la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia e postula la sua concreta e specifica indicazione, anche in relazione alla sede processuale ove sia stata dedotta.
Ebbene, la ricorrente sembra dedurre che l’ufficio nelle motivazioni dell’atto opposto facesse riferimento al p.v.c. redatto dalla Guardia di Finanza di Salerno, nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, ma non al p.v.c. redato dalla Guardia di finanza di Montesarchio, nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, ma non indica alcun elemento fattuale specifico, che risulterebbe non esaminato, né coglie l’effettiva ratio decidendi sul punto, in quanto la CTR ha fondato la propria decisione non sul fatto ch e l’atto richiamato n el provvedimento fosse il p.v.c. della Guardia di finanza ma sulla legale conoscenza delle motivazioni della contestazione e sulla inesistenza della violazione del diritto di difesa, desumibile anche dalle argomentate prospettazioni difensive.
Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3) c.p.c., si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 53, 57 e 58 del d.lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 342 c.p.c.
3.1. La società ricorrente espone quattro censure, tutte di ordine processuale.
Con la prima si duole dell’errore dei giudici che non hanno ritenuto inammissibile l’appello erariale per l ‘ assoluta genericità delle censure essendosi l’Agenzia limitata a riprodurre i motivi dell’accertamento
senza sottoporre a vaglio critico la sentenza della Commissione tributaria provinciale.
La censura è inammissibile in quanto la CTR dà atto degli specifici motivi di appello volti a contrastare la decisione di primo grado.
Comunque, in diritto, la censura è anche infondata, poiché per costante orientamento di questa Corte, nel processo tributario, ove l’Amministrazione finanziaria si limiti a ribadire e riproporre in appello le stesse ragioni ed argomentazioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato, come già dedotto in primo grado, in quanto considerate dalla stessa idonee a sosten ere la legittimità dell’avviso di accertamento annullato (come affermato dalla stessa odierna ricorrente), è da ritenersi assolto l’onere d’impugnazione specifica previsto dall’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992 (Cass. 25/02/2022, n. 6309; Cass. 22/03/2017, n. 7369; Cass. 29/02/2012, n. 3064).
Con la seconda censura si deduce che l’appello era inammissibile non avendo l’ufficio impugnato tutte le ragioni che avevano indotto la CTP ad accogliere il ricorso originario.
La censura è inammissibile, poiché a fronte della chiara esposizione della CTR dalla quale emerge che i primi giudici avevano annullato l’avviso per difetto di motivazione, statuizione censurata dalla difesa erariale con la produzione in appello del prodromico p.v.c. notificato alla società presso il suo rappresentante, la stessa ricorrente non indica alcuna altra concorrente ratio decidendi della sentenza di primo grado.
Con la terza censura si deduce che l’appello era inammissibile anche ai sensi dell’art. 57, comma 1, d.lgs. n. 546 del 1992 in quanto in sede di appello l’Agenzia non può proporre per la prima volta eccezioni processuali e di merito mai proposte durante il processo di primo grado.
La censura è inammissibile, perché formulata in modo del tutto astratto e senza neanche indicare quali siano le doglianze nuove evidenziate dall’ufficio nel proprio atto di appello.
Con un ‘ultima censura si deduce la violazione dell’art. 58, comma 1, d. lgs. n. 546 del 1992, che prevede il divieto di nuove prove disposte dal giudice, come ritenuto dalla stessa CTR in altro contenzioso relativo all’atto di irrogazione di sanzioni per l’anno 2010 .
La censura è inammissibile poiché la parte non indica a quali documenti intenda fare riferimento.
Comunque la censura è infondata in diritto, in quanto per costante giurisprudenza di questa Corte, alla luce del principio di specialità espresso dall’art. 1, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992 in forza del quale, nel rapporto fra norma processuale civile ordinaria e norma processuale tributaria, prevale quest’ulti ma-, nel grado di appello del giudizio tributario non opera la preclusione di cui all’art. 345, terzo comma, c.p.c., essendo la materia regolata dall’art. 58, comma 2, del citato d.lgs., che consente alle parti di produrre liberamente nuovi documenti in sede di gravame, persino se preesistenti al giudizio di prime cure, senza richiedere che la mancata produzione nel grado pregresso sia stata determinata da causa ad esse non imputabile (cfr. Cass. 8/05/2024, n. 12498; Cass. 28/06/2022, n. 20613; Cass. 21/10/2021, n. 29470; Cass. 24/06/2021 n. 18103).
Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3) c.p.c., si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 42 d.P.R. n. 600 del 1973, dell’art. 56 d.P.R. n. 633 del 1973, dell’art. 7 della legge n. 212 del 2000, dolendosi che i giudici della CTR non abbiano esaminato né si siano pronunciati sulla nullità dell’atto di accertamento in quanto del tutto carente di motivazione mancando, nel caso di specie, l’indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche della pretesa.
4.1. Il motivo è inammissibile in quanto si risolve in una generica esposizione in diritto delle disposizioni che regolano la motivazione dell’ avviso di accertamento ma senza alcun riferimento al caso concreto, mancando una specifica censura riconducibile all’atto impugnato, costituito peraltro da un atto di irrogazione delle sanzioni, il cui unico vizio di motivazione che esplicitamente si evince come dedotto (la mancata conoscenza del p.v.c. della Guardia di finanza) risulta espressamente valutato e deciso dalla CTR.
Inoltre, la CTR ha espressamente evidenziato che non essendosi la società costituita in appello, tutte le ulteriori eccezioni dovevano ritenersi rinunciate in quanto non riproposte, con statuizione non censurata.
Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3) c.p.c., si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in quanto l’ufficio non avrebbe prodotto alcuna prova a sostegno della propria pretesa tributaria, e nel corpo del motivo si evidenzia altresì la violazione dell’art. 115 c.p.c. , in quanto i giudici della CTR non avrebbero esaminato la documentazione probatoria prodotta dal contribuente che aveva condotto all’accoglimento del ricorso da parte della CTP.
5.1. Il motivo è inammissibile in quanto in tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni mentre, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi
riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass. 23/10/2018, n. 26769; Cass. 15/10/2024, n. 26739).
Il motivo, del tutto generico e senza alcun riferimento agli atti processuali, non risponde a tali paradigmi.
Con il quinto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3) c.p.c., si deduce violazione e falsa applicazione della legge n. 241 del 1990, della legge n. 212 del 2000, dell’art. 97 della Costituzione, in quanto i giudici della CTR non hanno rilevato che nessun atto citato nelle motivazioni dell’accertamento è stato allegato allo stesso ne è stato prodotto nel corso del giudizio di primo grado.
6.1. Il motivo è inammissibile mancando del tutto in esso un utile riferimento normativo, tale non potendosi considerare l’indicazione di interi plessi legislativi.
Inoltre, come già evidenziato nello scrutinio del secondo motivo, la CTR non avrebbe comunque errato nel prendere in considerazione i documenti prodotti in appello dalla difesa erariale; nel merito ha ritenuto che il p.v.c. richiamato integrasse validamente la motivazione dell’atto impugnato in quanto previamente conosciuto dal legale rappresentante della società, dando atto che nel processo verbale erano indicati gli allegati dai quali risultavano le somme corrisposte dalla RAGIONE_SOCIALE per ciascun anno per gli acquisti dalla Nuova Santa Rosa.
Con il sesto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4) c.p.c., si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 167 c.p.c. e dell’art. 23 d.lgs. n. 546 del 1992 , in quanto i giudici non hanno rilevato che le prove ed i fatti prodotti dal contribuente non erano stati contestati specificamente dall’ufficio.
7.1. Il motivo è radicalmente inammissibile per la mancata indicazione dei fatti allegati al contribuente e che dovrebbero ritenersi
provati alla luce della mancata contestazione della difesa erariale che peraltro nel giudizio in questione era appellante e aveva aggredito l’esplicita ratio decidendi della CTP.
Con il settimo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3) c.p.c., si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 42 d.P.R. n. 600 del 1973, in quanto i giudici non hanno rilevato che solo nell’atto di appello la difesa erariale aveva prodotto la delega di firma, l’estratto ruolo dei dirigenti dell’Agenzia delle entrate e l’estratto ruolo dei dipendenti dell’Agenzia delle entrate, documenti nuovi e quindi inammissibili, eccependo quindi che l’ atto sia stato sottoscritto da un soggetto privo di potere di firma. Deduce altresì che comunque non era possibile sanare il vizio producendo la delega nella fase contenziosa.
8.1. Il motivo è inammissibile ed infondato.
In primo luogo, in fatto, la CTR esplicitamente dà atto che la disposizione di servizio recante la delega di firma era in atti fin dal giudizio di primo grado e la censura sul punto è del tutto generica ed astratta.
Quanto alla ulteriore censura, più radicale, secondo la quale l’amministrazione non potrebbe produrre la delega in corso di giudizio e comunque nel grado di appello, l’assunto è contrario al costante orientamento di legittimità che ritiene che i n tema di avviso di accertamento, se il contribuente contesta la legittimazione del soggetto, diverso dal dirigente, alla sottoscrizione dell’atto, l’Amministrazione finanziaria ha l’onere di dimostrare, in omaggio al principio di cd. vicinanza della prova, il corretto esercizio del potere e che però ciò può avvenire producendo, anche nel corso del secondo grado di giudizio, la relativa delega, che pure è solo di firma e non di funzioni (Cass. 17/07/2019, n.19190; Cass. 01/04/2025, n. 8505).
9 . Con l’ottavo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4) c.p.c., si deduce nullità della sentenza ex artt. 36, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992, 112 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c.
9.1. Il motivo è inammissibile in quanto è contraddittoria la denuncia, in un unico motivo, dei due distinti vizi di omessa pronuncia e di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia. Il primo, infatti, implica la completa omissione del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto e si traduce in una violazione dell’art. 112 c.p.c., che deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell’art. 360, n. 4, c.p.c. e non con la denuncia della violazione di norme di diritto sostanziale, ovvero del vizio di motivazione ex art. 360, n. 5, c.p.c., mentre il secondo presuppone l’esame della questione oggetto di doglianza da parte del giudice di merito, seppure se ne lamenti la soluzione in modo giuridicamente non corretto ovvero senza adeguata giustificazione, e va denunciato ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c. (Cass. 05/03/2021 n. 6150; Cass. 18/06/2014 n. 13866).
In secondo luogo, la sentenza risulta compiutamente motivata ben al di là del cosiddetto minimo costituzionale entro il quale è possibile dedurre il vizio di motivazione ai sensi di Cass., Sez. U., 07/04/2014, n. 8053.
Infine, è del tutto generica la deduzione dell’omessa pronuncia, mancando la parte di specificare quali siano «le eccezioni e la documentazione probatoria presentata dal contribuente» sulle quali i giudici d’appello non si sarebbero pronunciati nonché per quali ragioni essi sarebbero incorsi in ultrapetizione
10. Il ricorso va quindi complessivamente respinto.
Alla soccombenza segue condanna al pagamento delle spese di lite in favore dell’Agenzia delle entrate .
La Corte rigetta il ricorso; condanna RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle spese di lite in favore dell’Agenzia delle entrate, spese che liquida in euro 1.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
A i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, in data 23 maggio 2025.