Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8748 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 8748 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al n. 3103/2020 R.G.) proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliata presso gli uffici di quest’ultima, siti in Roma, alla INDIRIZZO (indirizzo p.e.c.: EMAIL) ;
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME nato a Reggio Calabria il 3 settembre 1963 (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE
-intimato – avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Calabria – Sezione di Reggio Calabria – n. 3212/05/2018, pubblicata il 10 ottobre 2018;
n. 3103/2020 R.G.
COGNOME
Rep.
C.C. 28 gennaio 2025
–
Tributi – Avviso di
accertamento IVA,
IRPEF e IRAP
Studi di settore.
udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 28 gennaio 2025, dal Consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.- A seguito del controllo della posizione fiscale di COGNOME NOME, titolare della omonima impresa individuale, esercente l’attività di lavori generali costruzioni edifici, l’Agenzia delle Entrate procedeva alla riqualificazione dei costi ai sensi dell’art. 109 del TUIR.
In particolare, l ‘amministrazione finanziaria , al fine di verificare la veridicità dei costi ed il rispetto dei principi previsti dall ‘ art.109 TUIR, con invito n. 101436 emesso ai sensi degli artt. 51 d.P.R. n. 633 del 1972 e 32 d.P.R. n. 600 del 1973, richiedeva alla parte l’esibizione della documentazione fiscale ed extrafiscale dalla quale sarebbe emerso che i costi per acquisto di materie prime non erano stati inseriti correttamente, alterando per difetto i risultati dello studio di settore.
Quindi, con l’avviso di accertamento n. TD 7010603158-2015, l ‘Agenzia delle Entrate procedeva a rideterminare lo studio di settore in base all’art. 39, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973.
A seguito di attivazione del procedimento di adesione in sede di contraddittorio, il contribuente, in data 10 marzo 2016, produceva una memoria nella quale evidenziava, oltre ad un generico riferimento alla crisi del settore, di aver concentrato la propria attività nella partecipazione agli appalti pubblici.
Inoltre, il contribuente proponeva ricorso avverso il suddetto atto impositivo, chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi: 1) valenza puramente presuntiva dell’accertamento basato sugli studi di settore (difetto di motivazione ed insufficienza probatoria dello scostamento); 2) infondatezza, nel merito dell’accertamento basato sugli studi di settore.
La Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Calabria, nella resistenza dell’amministrazione finanziaria, con la sentenza n. 3016/07/17 depositata il 26 giugno 2017, rigettava il ricorso del contribuente con la seguente motivazione: « L’opposizione si appalesa infondata e va pertanto
disattesa. Ed invero dalla documentazione versata in atti emerge chiaramente che l’avviso impugnato è scaturito dal corretto riassetto dei dati relativi a costi e ricavi del contribuente, che ha portato a riferire la somma di € 403.610,00, dal Gattuso inserita come acquisto di materiale di consumo, in quella relativa alle materie prime, con conseguente ricalcolo dello studio di settore, al quale l’Ente impositore è stato autorizzato secondo il disposto dell’art. 39, I comma lett. D), D.P.R. n. 600 del 1973. Di contro, il ricorrente non ha contestato la legittimità di essa riqualificazione dei dati fiscali e non ha neanche giustificato le ragioni per le quali ha effettuato quella distribuzione in quei termini, né ha fornito la benché minima prova delle crisi aziendale e dei pretesi ritardi della P. A. nei pagamenti. ».
2.- La Commissione Tributaria Regionale, investita da ll’impugnazione proposta dal medesimo contribuente, con la sentenza oggetto dell’odierna impugnazione, accoglieva l’appello .
In particolare, l’ufficio, si costituiva nel giudizio d’appello eccependo l’inammissibilità di tale gravame per violazione dell’art. 53 d.lgs. n. 546 del 92, stante l’omessa indicazione di motivi specifici di impugnazione.
In via subordinata, chiedeva il rigetto nel merito dell’appello, in quanto il contribuente non aveva dedotto alcunché circa la riqualificazione dei costi operata, soffermandosi esclusivamente sulla illegittimità e incongruenza dello studio di settore.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Commissione Tributaria Regionale rilevava, per quanto di interesse in questa sede, che: « I primi giudici avevano rigettato il ricorso accogliendo le deduzioni dell’Ufficio, secondo cui l’Atto era scaturito dal riassetto dei dati relativi a costi e ricavi, col conseguente ricalcolo dello studio di settore e che il contribuente non aveva contestato la citata riqualificazione dei dati fiscali. L’appellante afferma che in sede di contraddittorio intercorso con l’Ufficio, questi si limitava a non riconoscere neppure l’applicazione dello studio evoluto 2012 e senza prendere in considerazione una serie di eccezioni mosse dalla
parte. Sostiene, pertanto, che l’accertamento basato sugli studi di settore non può fondarsi sul solo scostamento di che trattasi e che, invece, deve essere suffragato da elementi di prova emergenti nella fase di contraddittorio ove, invece, non vi è stata alcuna doverosa replica alle deduzioni e giustificazioni avanzate dallo stesso, per cui non sussistono quelle gravi, precise e concordanti presunzioni alla base della pretesa tributaria. La Commissione Osserva: l’appello è fondato e, quindi, è meritevole di accoglimento per cui la Sentenza di primo grado va riformata. Le ragioni esposte dal contribuente hanno valido fondamento, atteso che l’Ufficio non ha posto in essere la corretta procedura in sede di avvenuto contraddittorio, né ha ritenuto applicabile al caso specifico lo studio evoluto 2012. Ricorrono tuttavia giusti motivi per compensare le spese di giudizio ».
3.- Avverso la menzionata sentenza d’appello , l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
4.- Il contribuente COGNOME NOME è rimasto intimato.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo, l ‘amministrazione finanziaria ricorrente denuncia , ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c.
Sostiene, in particolare, di aver eccepito l’inammissibilità dell’appello del contribuente, in quanto consistente nella mera riproposizione del ricorso di primo grado senza alcuna critica alla decisione della commissione tributaria provinciale ed evidenzia come, nelle due righe e mezzo di motivazione relative alla sentenza d’appello, non vi sia traccia dell’esame di tale eccezione, con conseguente erroneità della decisione, che avrebbe violato il principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c..
2.- Con il secondo motivo, l’amministrazione finanziaria ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per omessa e/o apparente motivazione, in violazione degli artt. 132 c.p.c. e 36 d.lgs. n. 546 del 1992.
Sostiene, in particolare, che, ove si ritenga che la Commissione Tributaria Regionale, avendo deciso il merito dell’appello, abbia implicitamente rigettato l’eccezione di inammissibilità, tale decisione risulterebbe ex se priva di motivazione, cosicché non sarebbe possibile comprendere per quale ragione e su quali basi i giudici di appello abbiano ritenuto infondata la predetta eccezione di inammissibilità del gravame di controparte.
3.Con il terzo motivo, l’amministrazione finanziaria ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 53 d.lgs. n. 546 del 1992.
Sostiene, in particolare, che i motivi specifici dell’impugnazione costituiscono un requisito essenziale d ell’ appello, posto che la loro funzione è proprio quella di determinare esattamente il quantum appellatum. Ciò comporterebbe la necessaria inammissibilità di un ricorso in appello che contenga non una specifica richiesta di riforma della sentenza impugnata, ma un mero rinvio tout court alle difese approntate in primo grado. Occorrerebbe, invece, che le censure siano espresse ed esposte con sufficiente chiarezza, atteso che non sarebbe ammissibile nemmeno l’integrazione successiva dei motivi di appello.
Ancora, con riguardo alla sufficienza o meno dei motivi di appello, evidenzia che, in analogia al disposto dell’art. 342 c.p.c., l ‘art. 53 d.lgs. n. 546 del 1992 prevede, in maniera inequivocabile, che l’appello deve contenere i motivi specifici d’impugnazione.
Nella specie, invece, con l’appello il contribuente si sarebbe limitato a trascrivere le eccezioni e le difese proposte in primo grado, senza esplicare alcuna reale diretta censura alla sentenza impugnata.
Nell’atto di gravame, infatti, oltre alla trascrizione del ricorso di primo grado e alla riproposizione dei motivi di impugnazione dell’atto impositivo, quali motivi di impugnazione della sentenza di primo grado, non sarebbe presente alcuna specifica censura diretta nei confronti di tale pronuncia.
4.- Le predette censure risultano le prime due inammissibili e la terza infondata.
Ed invero, avendo il giudice di merito accolto l’ appello, in relazione al quale era stata sollevata , dall’amministrazione finanziaria odierna ricorrente, l ‘ eccezione di inammissibilità, giammai potrebbe configurarsi un vizio di omessa pronuncia, dovendo considerarsi implicito il rigetto di quella eccezione .
Aggiungasi che quando viene denunciata la violazione di una norma processuale che comporti invalidità, il giudizio di legittimità non ha per oggetto la giustificazione della decisione impugnata, ma ha sempre per oggetto direttamente l’invalidità denunciata, cosicché se il giudice del merito ometta di pronunciarsi su un’eccezione di inammissibilità, la sentenza di merito non è impugnabile per l’omessa pronuncia o per la carente motivazione, ma solo per l’invalidità già vanamente eccepita, in quanto ciò che rileva non è il tenore della pronuncia impugnata bensì l’eventuale esistenza della invalidità dedotta (cfr., in tal senso, Cass. civ., Sez. 1, sentenza n. 13425 del 30 giugno 2016, Rv. 640949-01, secondo cui « In sede di impugnazione, non rileva né l’omessa pronuncia su di un’eccezione di inammissibilità, né l’omessa motivazione su tale eccezione, atteso che solo l’effettiva esistenza dell’inammissibilità denunciata sarebbe idonea a determinare la decisione del giudice del gravame che, accogliendo le richieste in relazione alle quali l’eccezione è stata formulata, l’ha implicitamente rigettata. »; cfr., altresì, Cass. civ.,
Sez. 1, sentenza n. 15843 del 28 luglio 2015, Rv. 636550-01, secondo cui « L’inammissibilità è una invalidità specifica delle domande e delle eccezioni delle parti ed è pronunciata nel caso in cui manchino dei requisiti necessari a renderle ritualmente acquisite al tema del dibattito processuale. Pertanto, se il giudice di merito omette di pronunciarsi su un’eccezione di inammissibilità, la sentenza di merito non è impugnabile per l’omessa pronuncia o per la carenza di motivazione, ma unicamente per l’invalidità già vanamente eccepita, in quanto ciò che rileva non è il tenore della pronuncia impugnata, bensì l’eventuale esistenza appunto di tale invalidità. »; conf. Cass. civ., Sez. 3, ordinanza n. 15100 del 29 maggio 2024, Rv. 671180-01).
Peraltro, anche con specifico riferimento all’invalidità denunciata dalla ricorrente (e, dunque, con riguardo al terzo motivo di ricorso), le censure risultano palesemente destituita di fondamento, in ragione del consolidato orientamento di questa Corte regolatrice secondo cui « In tema di contenzioso tributario, la riproposizione in appello delle ragioni poste a fondamento dell’originaria impugnazione del provvedimento impositivo da parte del contribuente ovvero della legittimità dell’accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria, in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado, assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dall’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, quando il dissenso investa la decisione nella sua interezza e, comunque, ove dall’atto di gravame, interpretato nel suo complesso, siano ricavabili in modo inequivoco, seppur per implicito, i motivi di censura. » (Cass. civ., Sez. T, sentenza n. 1030 del 10 gennaio 2024, Rv. 670205-01; cfr., altresì, in senso sostanzialmente analogo, Cass. civ., Sez. 6-5, ordinanza n. 6302 del 25 febbraio 2022, Rv. 663885-01, nonché Cass. civ., Sez. 6-5, ordinanza n. 7369 del 22 marzo 2017, Rv. 643485-01).
Del resto, anche in epoca più recente si è chiarito che « In tema di contenzioso tributario, la mancanza o l’assoluta incertezza dei motivi specifici dell’impugnazione, le quali, ai sensi dell’art. 53, comma 1, del
d.lgs. n. 546 del 1992, determinano l’inammissibilità dell’appello, non sono ravvisabili qualora il gravame, benché formulato in modo sintetico, contenga una motivazione interpretabile in modo inequivoco, potendo gli elementi di specificità dei motivi ricavarsi, anche per implicito, dall’intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusioni; ciò in quanto l’articolo cit. deve essere interpretato restrittivamente, in conformità all’art. 14 disp. prel. c.c., trattandosi di disposizione eccezionale che limita l’accesso alla giustizia, dovendosi pertanto consentire, ogni qual volta nell’atto sia comunque espressa la volontà di contestare la decisione di primo grado, l’effettività del sindacato sul merito dell’impugnazione. » (Cass. civ., Sez. 5, ordinanza n. 15519 del 21 luglio 2020, Rv. 65840001).
5.- Con il quarto motivo, la ricorrente amministrazione finanziaria denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., la nullità della sentenza per omessa e/o apparente motivazione, in violazione degli artt. 132 c.p.c. e 36 d.lgs. n. 546 del 1992.
Sostiene, in particolare, che l’ unica affermazione che dovrebbe integrare il fondamento della decisione assunta sarebbe quella dal seguente tenore: « Le ragioni esposte dal contribuente hanno valido fondamento, atteso che l’Ufficio non ha posto in essere la corretta procedura in sede di avvenuto contraddittorio, né ha ritenuto applicabile al caso specifico lo studio evoluto 2012 ».
Si tratterebbe, dunque, di affermazione apodittica inidonea a rappresentare il percorso logico argomentativo sulla base del quale i giudici di appello avrebbero fondato la propria decisione.
Inoltre, la motivazione risulterebbe meramente apparente, non avendo fatto alcun riferimento con la fattispecie concreta sottoposta all’attenzione della commissione tributaria regionale.
Se, infatti, i giudici d ‘ appello avessero letto le difese dell ‘amministrazione finanziaria , avrebbero dovuto affrontare il diverso
problema del fondamento dell’avviso di accertamento, completamente travisato nei motivi d ‘ appello, e messo ben in evidenza dalle controdeduzioni dell’Ufficio.
Ancora, la ricorrente evidenzia che la pretesa tributaria non era basata su un accertamento derivante dall’applicazione degli studi di settore, cosicché la motivazione secondo cui « l’Ufficio non ha posto in essere la corretta procedura in sede di avvenuto contraddittorio, né ha ritenuto applicabile al caso specifico lo studio evoluto 2012 », risulterebbe “fuori fuoco” rispetto al contenzioso.
Invero, come desumibile dalle motivazioni dell’accertamento nonché dalle difese dell’Ufficio, l’avviso era scaturito dalla verifica dei costi dichiarati dal contribuente e dalla conseguente riqualificazione degli stessi ai sensi dell’art. 109 TUIR.
Dal controllo della documentazione fiscale esibita, infatti, era emersa la reale natura di costi erroneamente qualificati come oneri diversi di gestione (per un importo pari ad € . 414.783,00) invece riferibili a materie prime. Su tale riqualificazione nulla sarebbe mai stato eccepito dal contribuente.
L ‘amministrazione finanziaria , dopo opportuna correzione e rielaborazione dello studio di settore presentato, aveva rideterminato ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973 i maggiori ricavi conseguiti.
In particolare, infatti, nell’analizzare il sottoconto 75.01.05, aveva riscontrato che i beni acquistati dal contribuente (per € . 403.610,00), sia per natura e caratteristiche sia per l’attività svolta dalle società emittenti le fatture, fossero riconducibili a materie prime (beni per l’edilizia) senza le quali il contribuente non avrebbe potuto operare.
L’apparenza della motivazione, peraltro, emergerebbe chiaramente dalla semplice circostanza che lo studio di settore presentato, con l’errata qualificazione dei costi, risultava congruo e coerente, e pertanto nessuna
attività di controllo poteva mai emergere dai risultati dell’elaborazione dei dati dichiarati dal contribuente.
Peraltro, il contribuente nulla aveva eccepito sulla riqualificazione dei costi operata dall’ufficio, ma aveva contestato esclusivamente l’illegittimità e l ‘in congruenza dell’applicazione dello studio di settore.
Pertanto, poiché l’amministrazione finanziaria non aveva applicato lo studio di settore in via diretta, ma aveva fondato l’accertamento sui dettami dell’art. 39, comma 1, lett. d) d.P.R. n. 600 del 1973, la decisione impugnata risulterebbe priva di reale motivazione e quindi nulla.
6.- Anche tale censura è infondata.
Ed invero, con essa la ricorrente censura la motivazione della sentenza impugnata, sostanzialmente lamentandone l’insufficienza.
Nondimeno, come chiarito da questa Corte regolatrice, « In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. » [Cass. civ., Sez. 1, ordinanza n. 7090 del 3 marzo 2022, Rv. 664120-01; cfr., altresì, in senso sostanzialmente conforme Cass. civ., Sez. 6-3, ordinanza n. 22598 del 25 settembre 2018, Rv. 650880-01, secondo cui « In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i
provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111, sesto comma, Cost. e, nel processo civile, dall’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.. »].
In particolare, giova rammentare che questa Corte, a sezioni unite, ha chiarito che, dopo la riforma dell’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., operata dalla l. n. 134 del 2012, il sindacato sulla motivazione da parte della cassazione è consentito solo quando l’anomalia motivazionale si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; in tale prospettiva detta anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass. civ., Sez. U., sentenza n. 8053 del 7 aprile 2014, Rv. 629830-01).
Tale sindacato, dunque, risulta oggi suscettibile di essere ammesso esclusivamente ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c. (come, peraltro, richiesto dalla ricorrente) e, quindi, in termini di nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, com ma 2, n. 4), c.p.c., che, del resto, prescrivendo la necessità della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, si salda con il precetto costituzionale di cui all’art. 111, comma 6, Cost. Tuttavia, come già detto, esso resta
circoscritto alla sola verifica del rispetto del cd. « minimo costituzionale » richiesto dalla disposizione costituzionale menzionata, che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (cfr., in tal senso, la già citata Cass. civ., Sez. 1, ordinanza n. 7090 del 3 marzo 2022, Rv. 664120-01).
Nel caso di specie, alcuna delle gravi anomalie motivazionali sopra indicate risulta ravvisabile, perché la Commissione Tributaria Regionale della Calabria ha motivato, sia pure in maniera alquanto sintetica, in relazione alle ragioni che avevano fondato il proprio convincimento dirigendolo verso l’accoglimento dell’impugnazione .
Aggiungasi, peraltro, come la sentenza impugnata risulti conforme alla giurisprudenza di questa Corte regolatrice secondo cui « La procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente.
L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte, nel qual caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli “standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito. » (Cass. civ., Sez. 5, ordinanza n. 24931 del 18 agosto 2022, Rv. 665598-01).
Analogamente, si è affermato che « In tema di “accertamento standardizzato” mediante parametri o studi di settore, il contraddittorio con il contribuente costituisce elemento essenziale e imprescindibile del giusto procedimento che legittima l’azione amministrativa, in ispecie quando si faccia riferimento ad una elaborazione statistica su specifici parametri, di per sé soggetta alle approssimazioni proprie dello strumento statistico, e sia necessario adeguarle alla realtà reddituale del singolo contribuente, potendo solo così emergere gli elementi idonei a commisurare la “presunzione” alla concreta realtà economica dell’impresa. Ne consegue che la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel mero rilievo dello scostamento dai parametri ma deve essere integrata (anche sotto il profilo probatorio) con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente in sede di contraddittorio, solo così emergendo la gravità, precisione e concordanza attribuibile alla presunzione basata sui suddetti parametri e la giustificabilità di un onere della prova contraria (ma senza alcuna
limitazione di mezzi e di contenuto) a carico del contribuente. » (Cass. civ., Sez. 6-5, ordinanza n. 30370 del 18 dicembre 2017, Rv. 646985-01).
In conclusione, la motivazione della sentenza d’appello, da leggersi unitamente alla parte relativa allo svolgimento del processo, risulta, sia pur sinteticamente, dare conto delle ragioni relative alla fondatezza dell’impugnazione, sicché dalla lettura di essa si ricava senz’altro un percorso argomentativo, pur sintetico, esaustivo e coerente, scevro da vizi risultanti dal testo della pronuncia medesima.
Da ultimo, la censura, nella parte in cui si concentra sull’accertamento delle circostanze di fatto valevoli ad integrare gli elementi idonei a ritenere corretta la riqualificazione del costi operata dall’amministrazione finanziaria, finisce con il risolversi nella prospettazione di una ricostruzione alternativa della vicenda fattuale e, dunque, nella richiesta di una nuova valutazione del compendio istruttorio, notoriamente preclusa in sede di giudizio di legittimità (cfr., al riguardo, Cass., Sez. 2, ordinanza n. 10927 del 23 aprile 2024, Rv. 670888-01, secondo cui « In tema di ricorso per cassazione, deve ritenersi inammissibile il motivo di impugnazione con cui la parte ricorrente sostenga un’alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, pur ove risultino allegati al ricorso gli atti processuali sui quali fonda la propria diversa interpretazione, essendo precluso nel giudizio di legittimità un vaglio che riporti a un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio nel suo insieme. »).
7.- In conclusione, alla stregua delle considerazioni finora sviluppate, il ricorso deve essere respinto.
Non è luogo a provvedere in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità, non avendo l’intimato svolto alcuna attività difensiva.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. n. 115 del 2002, stante la soccombenza della parte ammessa alla prenotazione a debito, non ricorrono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1bis .
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria,