Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21479 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21479 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19251/2020 R.G. proposto da:
D’NOME rappresentato da se (DTRRRT53R12D643H;
EMAIL);
-ricorrente-
contro
AGENZIA
DELLE
ENTRATE
–
RISCOSSIONE;
-intimata- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. del Lazio, n. 245/2020 depositata il 16/01/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.Il 26 marzo 2018, il contribuente riceveva un preavviso di fermo amministrativo per tributi riportati in cartelle esattoriali che, a suo dire, non erano mai state notificate. Impugnava sia le cartelle sia il preavviso, eccependo la prescrizione dei crediti (quinquennale per tributi erariali, triennale per tassa automobilistica), nonché l’omessa notifica delle cartelle e degli atti presupposti.
I giudici di prossimità dichiaravano inammissibile il ricorso, ritenendo che le cartelle fossero state notificate via PEC e quindi il contribuente avesse tardato nell’impugnazione. Sull’appello del contribuente, la Commissione Tributaria Regionale confermava la sentenza di primo grado, affermando che l’Agenzia delle Entrate Riscossione aveva notificato regolarmente le cartelle e che, quindi, la pretesa fiscale era definitiva, non essendo state impugnate le cartelle nei termini, infine la regolare costituzione dell’esattore.
Avverso la sentenza indicata in epigrafe, ricorre l’avv. COGNOME svolgendo tre motivi, per la sua cassazione.
Replica con controricorso l’Agenzia – Riscossione.
MOTIVI DI DIRITTO
1.Con il primo motivo di ricorso si deduce .
Il ricorrente denuncia un’anomalia motivazionale nella sentenza d’appello, che si traduce in una violazione di legge costituzionalmente rilevante. La motivazione è ritenuta inesistente, apparente, contraddittoria e incomprensibile, non rispettando i criteri minimi di chiarezza e completezza richiesti dalla giurisprudenza della Cassazione. Ciò, in quanto il giudice d’appello ha riprodotto la decisione di primo grado senza spiegare le ragioni per le quali ha respinto i motivi di gravame. In particolare, si assume che in primo grado, l’esattore non ha depositato le
notifiche delle cartelle, ma i giudici di prossimità hanno comunque ritenuto provata la loro regolarità, confermata dai giudici di appello. Si afferma che sono state impugnate undici cartelle, ma in motivazione (della sentenza di primo grado) se ne esaminano solo tre. Si Obietta che l’Agenzia delle Entrate Riscossione ha depositato quaranta relate di notifica vie PEC, senza correlazione con le cartelle notificate. Nella illustrazione del motivo si denuncia, inoltre, l’omessa valutazione delle eccezioni di prescrizione e le contestazioni sulla notifica.
2.Il secondo mezzo di impugnazione reca il vizio di .
Il ricorrente insiste nella declaratoria di prescrizione dei tributi relativi alle undici cartelle impugnate, evidenziando che la Riscossione ha depositato solo in sede di appello le , riferite a tre cartelle, ignorando le altre perché non aventi natura tributaria.
Il Collegio d’appello non avrebbe esaminato le censure relative alla omessa indicazione della natura dei tributi indicati nel preavviso di fermo.
3.Con il terzo motivo di ricorso si prospetta la .
Si deduce che i giudici di primo e secondo grado non hanno esaminato la tardiva e inesistente costituzione in giudizio dell’esattoria e la violazione del Processo Tributario Telematico
(PTT), che impone il deposito telematico degli atti, vietando il deposito cartaceo. Difatti, in appello, le notifiche via PEC sono state depositate senza attestazione di conformità, prive di correlazione con le cartelle esattoriali, rendendo impossibile provare la regolarità delle notificazioni.
Si lamenta che la sentenza impugnata ha omesso di pronunciarsi sulla nullità della costituzione per mancanza della procura notarile del funzionario delegante, violando l’art. 112 c.p.c..
In via preliminare, si osserva che l’avv. COGNOME ha notificato un successivo ricorso iscritto dalla Riscossione al numero di R.G. 5190/2021, deciso con ordinanza n. 29501/2021 da questa Corte, che ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso non depositato dal ricorrente.
4.1. Non trova qui applicazione la disciplina in materia di consumazione del potere di impugnazione ex art. 327 c.p.c.; secondo detto principio la parte che abbia esercitato tale potere esaurisce la facoltà di critica della decisione che lo pregiudica, senza poter proporre una successiva impugnazione, salvo che la prima impugnazione sia invalida, non sia stata ancora dichiarata inammissibile o improcedibile e venga rispettato il termine di decadenza previsto dalla legge. Pertanto, ove la stessa sentenza di appello venga impugnata tempestivamente con due identici ricorsi per cassazione, proposti l’uno di seguito all’altro, si pongono due sole alternative, a seconda che il primo di essi abbia, o meno, validamente introdotto il giudizio di legittimità: nell’un caso, il ricorso successivamente proposto va dichiarato inammissibile; nell’altro, invece, deve essere esaminato in ragione dell’inammissibilità del primo (Sez. 6 -1, n. 24332 del 29/11/2016; Cass. n. 21145 del 19/10/2016; Cass. n. 25437 del 11 novembre 2020).
Nella fattispecie sub iudice, il ricorso in esame è stato notificato tempestivamente ed iscritto a ruolo nell’anno 2020, prima della
notifica del ricorso successivamente iscritto a ruolo dalla Riscossione e dichiarato improcedibile da questa Corte; in guisa che deve ritenersi l’ammissibilità del presente ricorso in quanto tempestivamente notificato e depositato dal contribuente.
La prima censura è fondata, assorbita le altre.
In tema di motivazione meramente apparente della sentenza, questa Corte ha più volte affermato che il vizio ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (Cost., art. 111, sesto comma), e cioè dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. (in materia di processo civile ordinario) e dell’omologo art. 36, comma 2, n. 4, d.lgs. n. 546 del 1992 (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata ; l’obbligo del giudice «di specificare le ragioni del suo convincimento», quale «elemento essenziale di ogni decisione di carattere giurisdizionale» è affermazione che ha origine lontane nella giurisprudenza di questa Corte e precisamente alla sentenza delle Sezioni Unite n. 1093 del 1947, in cui la Corte precisò che «l’omissione di qualsiasi motivazione in fatto e in diritto costituisce una violazione di legge di particolare gravità» e che «le decisioni di carattere giurisdizionale senza motivazione alcuna sono da considerarsi come non esistenti» (in termini, Cass. n. 2876 del 2017; v. anche Cass., Sez. U., n. 16599 e n. 22232 del 2016 e n. 7667 del 2017 nonché la giurisprudenza ivi richiamata).
Alla stregua di tali principi consegue che la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico (che sembra potersi ritenere
mera ipotesi di scuola) o quelle che presentano un «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e che presentano una «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile» (cfr. Cass. S.U. n. 8053 del 2014; conf. Cass. n. 21257 del 2014), ma anche quelle che contengono motivazione meramente apparente, del tutto equiparabile alla prima più grave forma di vizio, perché dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire «di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato» (cfr. Cass. n. 4448 del 2014), venendo quindi meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare un «ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo», logico e consequenziale, «a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi» (Cass. cit.; v. anche Cass., Sez. Un., n. 22232 del 2016 e la giurisprudenza ivi richiamata). Deve quindi ribadirsi il principio più volte affermato da questa Corte secondo cui la motivazione è solo apparente – e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo – quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. U, n. 22232 del 2016; conf. Cass. n. 14927 del 2017).
In tale grave forma di vizio incorre la sentenza impugnata laddove i giudici di appello, dopo aver affermato la regolarità della costituzione della Riscossione, hanno apoditticamente affermato che la società aveva dimostrato la regolarità della notifica delle cartelle, in guisa che il preavviso era impugnabile solo per vizi propri.
Il motivo va dunque accolto; la sentenza deve essere cassata e la causa rinviata alla CGT di secondo grado del Lazio in diversa composizione.
P.Q.M.
La Corte, accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla CGT di secondo grado del Lazio in diversa composizione, alla quale si demanda anche la regolamentazione delle spese del presente giudizio.
Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria della