Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14931 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14931 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 04/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14134/2021 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. del VENETO-VENEZIA n. 658/2020 depositata il 12/11/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
In punto di fatto, dagli atti di causa ed in specie dal ricorso per cassazione, cui appartengono le citazioni a seguire, si apprende quanto segue:
In data 04/02/2013, l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate -Direzione Provinciale di Padova ha effettuato una verifica fiscale generale, per il periodo d’imposta 1/7/2009 -30/06/2010, nei confronti della Società RAGIONE_SOCIALE che svolge l’attività di ”produzione, commercializzazione (ingrosso e minuto), nonché l’assunzione di rappresentanze di articoli per il campeggio, il giardino e la casa’. L’accesso è stato effettuato presso la sede dell’odierna ricorrente che, in tale occasione, ha messo a disposizione tutta la documentazione contabile ed extracontabile richiesta.
In data 15/03/2013, l’Ufficio accertatore, dopo avere esaminato la summenzionata documentazione, ha emesso e notificato Processo Verbale di Constatazione.
In data 27/09/2013, a seguito del predetto PVC, l’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Padova emetteva nei confronti dell’attuale appellante i seguenti avvisi di accertamento:
n. T6S060102592 (imposta sul valore aggiunto) per l’anno solare 2008 in rettifica in diminuzione dell’Iva detratta per l’importo di euro 80.000,00 (art. 19 del DPR 633/1972);
n. T6S030102570 (lres e lrap) per il periodo d’imposta 1.7.2008 -30.6.2009 che ha operato una rettifica per minori componenti negativi per l’importo di euro 80.000,00 (art. 109, comma 5, del DPR 917/86);
n. T6S030102490 (Ires e Irap) per il periodo d’imposta 1.7.2009 -30.06.2010, che ha operato una rettifica per minori componenti negativi per l’importo di euro 123.812,00. Tali componenti risultano cosi composti: euro 30.000 per costi di pubblicità non documentati (ex art. 109 c. l); euro 80.000,00 relativi a costi non documentati (art. 109 co. 5); euro
13.302,74 per costi non di competenza (ex art. 109 co. l e 2) ed euro 508,00 sempre per costi non inerenti (ex art. 109 co. 5).
n. T6S030102594 (lres e Irap) per il periodo d’imposta 1.7.2010 -30.06.2011, che ha operato una rettifica per costi non documentati per l’importo di euro 80.000,000 e costi non inerenti per euro 240,00 (ex art. 109 co. 5).
La CTP di Padova, con sentenza n. 277/3/2018, pronunciata 1’1/3/2017 e depositata il 16/04/2018, respingeva i ricorsi riuniti.
La contribuente proponeva appello, rigettato dalla CTR del Veneto, con la sentenza in epigrafe, sulla base della seguente motivazione:
rattasi essenzialmente di tre questioni: la prima riguarda la validità del contratto con IGAP per l’utilizzo del marchio COGNOME che l’Ufficio nega non avendo rilevato né gli elementi formali necessari per l’esistenza del contratto stesso né soprattutto la possibilità di collegare il corrispettivo all’utilizzo del marchio; la seconda il disconoscimento della fattura di 30.000 riguardante il contratto di pubblicità; la terza il recupero dell’importo di euro 13.302,74 a causa dell’imputazione delle fatture sull’esercizio successivo.
Relativamente alla prima questione il contratto stipulato tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE per l’utilizzo del marchio NOMECOGNOME non è firmato; la documentazione presentata dalla Ditta RAGIONE_SOCIALE non solo non è sufficiente a dimostrare la pertinenza della spesa ma anche inserisce, nelle argomentazioni, altri elementi, come la citazione di marchi diversi da quello de quo, che non depongono per la chiarezza di un rapporto contrattuale che, anzi, appare equivoco. Nei fatti la presenza di più marchi dimostra il mancato
collegamento della spesa. Né in questa situazione, è possibile accedere all’ipotesi del contribuente secondo cui l’emissione della fattura e la registrazione dei costi relativi è sufficiente a superare le incongruenze rilevate.
Non si può, neanche, accogliere la lagnanza per il disconoscimento della fattura di 30.000 euro. Il dubbio teorico che i due contratti potessero avere obbiettivi diversi, e quindi compatibili, viene risolto negativamente sia perché il contribuente non contesta credibilmente l’affermazione dell’Ufficio secondo cui a fronte del pagamento della fattura viene pubblicato solo un manifesto, sia perché il contribuente ha aderito al recupero dell’iva.
Relativamente all’importo di euro 13.302,74, dato che le fatture n. 913 e 1127 non sono state contestate in primo grado devono considerarsi passate in giudicato, mentre per le altre l’imputazione adottata dall’Ufficio è corretta.
La contribuente propone ricorso per cassazione con sei motivi, ulteriormente insistito con ampia memoria del 14 marzo 2025, mediante la quale, in particolare, si chiede l”applicazione delle nuove misure sanzionatorie stabilite dal D.Lgs. 14 giugno 2024, n. 87′, quale disciplina più favorevole; resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Primo motivo: ‘Ex art. 360, comma 1, n. 4 per nullità della sentenza per mancanza della motivazione, perché non contiene né l’indicazione dei motivi specifici per cui ritiene corretta la decisione di primo grado che conferma, né una valutazione specifica dei motivi di appello’.
1.1. ‘a motivazione della sentenza qui impugnata risulta meramente apparente in quanto omette qualunque valutazione
critica delle emergenze processuali, indicando come motivi della decisione adottata delle mere affermazioni apodittiche’. ‘Non vengono chiariti i motivi di fatto e di diritto che sorreggono le conclusioni e rimane oscuro il motivo per cui la sentenza di primo grado sia stata confermata’. ‘Inoltre, non vengono esaminati i motivi posti alla base dell’appello da parte dell’attuale ricorrente’. ‘In particolare, l’omissione più significativa in cui sono incorsi i giudici della CTR riguarda l’omessa pronuncia in relazione all’eccezione sollevata dall’attuale ricorrente in ordine alla nullità della sentenza di primo grado per vizio di motivazione, che, di seguito, si trascrive ‘.
1.2. Il motivo è manifestamente infondato.
La sentenza impugnata esibisce una motivazione effettiva sia dal punto di vista grafico che dal punto di vista contenutistico, superando sicuramente la soglia del cd. minimo costituzionale (Cass. Sez. U n. 8053 del 2014).
Secondo motivo: ‘Ex art 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ. omessa pronuncia ai sensi dell’art. 112 cod. proc. civ.’.
2.1. ‘Nei ricorsi introduttivi notificati dalla società avverso gli atti impositivi, è stato rilevato/eccepito come l’Ufficio, a sostegno delle proprie contestazioni sull’inerenza di talune spese sostenute dalla società ricorrente, abbia richiamato esplicitamente una norma, quale appunto l’articolo 109, comma 5, del Tuir, che in realtà, come ampiamente dedotto dalla ricorrente, non disciplina affatto l’inerenza. Si trascrive l’eccezione introdotta con i ricorsi ‘. ‘Nel ricorso in appello la società, odierna ricorrente, ha così eccepito ‘. ‘Orbene, i giudici di seconde cure non hanno, in alcun modo, tenuto conto delle osservazioni/deduzioni dell’odierna ricorrente, omettendo di pronunciarsi in merito alla specifica eccezione sollevata, considerando solo degli elementi che nulla hanno a che vedere con il giudizio dell’inerenza delle spese
sostenute’. ‘La ‘decisività’ della censura è incidente sul contenuto della decisione e. dunque. Arrecante un effettivo pregiudizio alla ricorrente. Infatti, non risulta per nulla ininfluente che l’ufficio faccia riferimento all’articolo 109, comma 5, del Tuir per supportare le proprie contestazioni relative alla presunta insussistenza dell’inerenza di talune spese sostenute dalla società ricorrente, in quanto il rilievo dell’ufficio si fonda su presupposti di diritto del tutto errati e contrari all’ indirizzo ormai consolidato della Suprema Corte’.
2.2. Il motivo è manifestamente infondato.
Non corrisponde al vero che la CTR abbia tenuto in non cale la doglianza della contribuente in esso rappresentata. Ne offre conferma il riassunto delle prospettazioni difensive della medesima contenuto nella parte della sentenza impugnata dedicata allo svolgimento del processo, ove, tra l’altro, si legge: ‘Peraltro il principio dell’inerenza non risulta riconducibile a nessuna norma -e men che meno alla previsione del citato art. 109, comma 5, del Tuir -in quanto si tratta di un principio immanente nella determinazione del reddito d’impresa ‘.
Ne deriva che, nella parte ‘funditus’ motiva della sentenza impugnata, la CTR ha, in un passaggio argomentativo, neppure implicitamente, ma finanche esplicitamente (‘ la documentazione presentata dalla Ditta RAGIONE_SOCIALE non solo non è sufficiente a dimostrare la pertinenza della spesa ma anche inserisce, nelle argomentazioni, altri elementi . Nei fatti la presenza di più marchi dimostra il mancato collegamento della spesa’), disatteso le prospettazioni della contribuente riguardo all’inerenza. Ciò è tanto vero che, nel terzo motivo, che si esaminerà subito in appresso, si afferma espressamente che ‘i giudici di prime (per effetto della sentenza palesemente ‘immotivata’) e di seconde cure poi, hanno considerato
l’accordo commerciale relativo all’utilizzo del predetto marchio non idoneo a documentare i costi ivi espressi ‘in quanto privi del requisito di inerenza’ sulla base dell’art. 109, comma 5, del Dpr 917/1986 (e dell’articolo 19 del Dpr 633/1972 per quanto concerne l’Iva)’.
D’altronde, a prescindere dal riferimento normativo cui si faccia risalire il requisito dell’inerenza dei costi, pacifico è che essi debbano essere concretamente riferibili all’attività d’impresa, con onere della prova a carico di chi si avvale della relativa contabilizzazione (cfr., recentissimamente, tra le innumerevoli, Cass. n. 1239 del 2025): onere – secondo la CTR – rimasto dalla contribuente inadempiuto.
Terzo motivo: ‘Ex articolo 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. per violazione e falsa applicazione del principio di inerenza’.
3.1. ‘La presente controversia trae origine dal disconoscimento della deduzione dei costi per ‘l’utilizzo di marchi da terzi’ in relazione al compenso pattuito per l’uso del marchio ‘G. COGNOME‘ per il periodo dall’1/7/2008 al 30/6/2013’. ‘Orbene, l’ufficio prima, e, di fatto, i giudici di prime (per effetto della sentenza palesemente ‘immotivata’) e di seconde cure poi, hanno considerato l’accordo commerciale relativo all’utilizzo del predetto marchio non idoneo a documentare i costi ivi espressi ‘in quanto privi del requisito di inerenza’ sulla base dell’art. 109, comma 5, del Dpr 917/1986 (e dell’articolo 19 del Dpr 633/1972 per quanto concerne l’Iva). Addirittura, la CTR -motivando la propria decisione -ha erroneamente argomentato che ‘la presenza di più marchi dimostra il mancato collegamento della spesa’, ignorando però -fatto decisivo -che la società ricorrente sia in sede di attività istruttoria che nel ricorso introduttivo e nel ricorso in appello ha rappresentato l’evidente e specifico collegamento delle spese per l’utilizzo del marchio ‘RAGIONE_SOCIALE COGNOME” con l’attività esercitata dalla
stessa’. ‘Ebbene, con riferimento al caso che ci occupa, occorre ribadire che già in sede di attività istruttoria e poi durante i successivi giudizi di merito (sia in primo che in secondo grado), è stato rappresentato (e documentato) l’evidente collegamento delle spese per l’utilizzo del marchio ‘RAGIONE_SOCIALE COGNOME‘ con l’attività esercitata. Addirittura, già in sede di attività istruttoria (come peraltro riconosciuto dall’ufficio) sono state indicate le vendite effettuate dalla società appellata con il suddetto marchio (già risultante dall’allegato 16 del citato in premessa (Doc. 3 -F.C.). Tutto questo nonostante il fondamentale principio dell’inerenza non abbia alcun collegamento con i ricavi conseguiti, bensì, come si è più volte rappresentato, con l’attività più in generale svolta dalla società. Quindi, già in sede di ricorso introduttivo è stato specificato come l’accordo commerciale stipulato con la società RAGIONE_SOCIALE riguardasse senza ombra di dubbio l’attività svolta da parte appellata. L’accordo prevedeva l’utilizzo del marchio ‘GRAGIONE_SOCIALE COGNOME‘ (confluito, per la produzione di mobili e arredi da giardino, nel marchio ‘RAGIONE_SOCIALE‘, come si può evincere dall’allegata (Doc. 3 -F.C.) locandina (allegato 3 delle controdeduzioni secondo grado) al fine di sviluppare la produzione e la commercializzazione di articoli da giardino e campeggio. La società RAGIONE_SOCIALE, fin dall’anno 1967, svolge l’attività di produzione, lavorazione e commercio di articoli per il campeggio, il giardino e la casa ‘.
3.2. Il motivo è inammissibile.
Non riproducendo testualmente ed interamente la motivazione dell’avviso di accertamento, compie insistiti riferimenti ad atti e documenti del procedimento amministrativo e dei giudizi di merito senza puntualmente localizzarli nei fascicoli riguardanti questi ultimi, senza contestualizzarli e soprattutto senza trascriverli, viepiù dimostrandone la decisività ai fini del sovvertimento delle conclusioni attinte dalla CTR nella sentenza impugnata.
Inoltre, non illustra la ragione per cui in concreto (al di là di lunghe teorizzazioni meramente astratte) la CTR avrebbe violato il ‘principio di inerenza’ (di cui oltretutto in rubrica non è finanche indicato il riferimento normativo), scivolando nella sollecitazione a questa S.C. di una più favorevole, per la contribuente, riedizione del giudizio di merito, già compiutamente e motivatamente effettuato dalla CTR e, prima ancora, con identico esito, dalla CTP: ciò in patente violazione di natura e limiti del giudizio di cassazione, quale momento di mero controllo della legalità, e quindi legittimità, delle pronunce ricorse.
Infine, non si confronta minimamente con l’articolata motivazione della sentenza impugnata, laddove la CTR evidenzia plurimi convergenti profili volti, ciascuno di per sé ed ‘a fortiori’ unitamente agli altri, a dimostrare il difetto di inerenza, pur in un’accezione qualitativa patrocinata ancora in questa sede (anche con la memoria) dalla difesa della contribuente: a partire dal fatto che ‘il contratto stipulato tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE per l’utilizzo del marchio GCOGNOME non è firmato’ per poi procedere alla disamina della ‘documentazione presentata dalla Ditta Bica’, che ‘non solo non è sufficiente a dimostrare la pertinenza della spesa ma anche inserisce, nelle argomentazioni, altri elementi, come la citazione di marchi diversi da quello de quo’, sicché ‘nei fatti la presenza di più marchi dimostra il mancato collegamento della spesa’, senza che sia ‘possibile accedere all’ipotesi del contribuente secondo cui l’emissione della fattura e la registrazione dei costi relativi è sufficiente a superare le incongruenze rilevate’.
Quarto motivo: ‘Ex art. 360, comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione dell’art. 90 comma 8, Legge 289/2002 e del principio di inerenza’.
4.1. Il motivo riguarda ‘il disconoscimento della fattura di 30.000,00 euro’. ‘È pacifico che la RAGIONE_SOCIALE abbia stipulato due
contratti di pubblicità/propaganda (Doc. 10 -F.C.) con la AC Pontecorr, associazione sportiva dilettantistica ed è, altresì, pacifico che la società ricorrente abbia effettuato i pagamenti prescritti al di sotto della soglia dei 200.000,00 euro (e, specificatamente, per € 10.000,00 e per € 30.000,00 = € 40.000,00)]. Inoltre, come è documentato e riconosciuto dallo stesso ufficio, nel proprio atto accertativo (pag. 4 dell’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO (Doc. 8 -F.C.) la società sportiva dilettantistica (a cui era spettante il compito di porre in essere la specifica attività promozionale) ha provveduto a pubblicizzare il marchio della società ricorrente con il manifesto di tutte le squadre della associazione sportiva dilettantistica (Doc. 5 -F.C.)’. ‘La Commissione tributaria regionale, nella soluzione della controversia in diritto, non ha in alcun modo tenuto conto del contenuto precettivo della disposizione dell’art. 90, comma 8 Legge 289/92 e non ha quindi considerato che nel caso di specie ne ricorressero i presupposti applicativi, con specifico riguardo al limite annuale della spesa ed alla natura soggettiva delle sue beneficiarie nonché più in generale dell’effettiva attività di sponsorizzazione compiuta dallo sponsee’. ‘Occorre inoltre considerare che, a differenza rispetto a quanto sostenuto dall’ufficio, la spesa relativa alla seconda prestazione pubblicitaria, pari a 30.000/00 euro, non risulta affatto una duplicazione della spesa riferita alla precedente prestazione pubblicitaria, pari a 10.000/00 euro. Si rileva infatti che le due sponsorizzazioni risultano ben distinte tra loro. Occorre in particolare notare -circostanza che i giudici della CTR del Veneto non hanno considerato -che nel primo contratto stipulato con l’ASD Pontecorr prevedeva delle prestazioni pubblicitarie alternative tra loro, da realizzarsi a scelta. Come si legge dal primo contratto stipulato in data 25/06/2009, l’oggetto della sponsorizzazione riguardava infatti, a scelta, o l’esposizione di uno striscione pubblicitario durante le manifestazioni sportive, o la stampa del
marchio nei manifesti pubblicitari da esporre negli spazi pubblici o, infine, la stampa del marchio nei calendari degli incontri di calcio ‘.
4.2. Il motivo è inammissibile per ragioni in larga parte sovrapponibili a quelle espresse con riferimento al precedente: non riproduce l’avviso; non localizza e non riproduce gli atti e documenti del procedimento amministrativo e dei giudizi di merito cui si riferisce; non ne dimostra la decisività ai fini del sovvertimento delle conclusioni della CTR; non illustra in cosa consisterebbe, in concreto, la dedotta violazione di legge e, deducendo temi esclusivamente meritali, sollecita una riedizione del giudizio fattuale.
Neppure si confronta con l’effettiva ‘ratio decidendi’ della sentenza impugnata, a misura che la CTR – onde escludere ‘il dubbio teorico che i due contratti potessero avere obbiettivi diversi’ – evidenzia che ‘il contribuente’, per un verso, ‘non contesta credibilmente l’affermazione dell’Ufficio secondo cui a fronte del pagamento della fattura viene pubblicato solo un manifesto’ e, per altro verso, ‘ha aderito al recupero dell’iva’: argomentazioni di per sé non confutate.
Infine, sotto altro profilo (donde comunque l’infondatezza del motivo), ‘in tema di detrazioni fiscali, le spese di sponsorizzazione di cui all’art. 90, comma 8, della l. n. 289 del 2002, sono assistite da una ‘presunzione legale assoluta’ circa la loro natura pubblicitaria, e non di rappresentanza, a condizione che: a) il soggetto sponsorizzato sia una compagine sportiva dilettantistica; b) sia rispettato il limite quantitativo di spesa; c) la sponsorizzazione miri a promuovere l’immagine ed i prodotti dello sponsor; d) il soggetto sponsorizzato abbia effettivamente posto in essere una specifica attività promozionale’ (Cass. n. 14232 del 2017). Siffatte condizioni devono essere dimostrate da chi pretende
di avvalersi della presunzione: ciò che la CTR – alla stregua della veduta motivazione – ha escluso aver la contribuente fatto.
Quinto motivo: ‘Ex art. 360, comma 1, n. 4, nullità della sentenza per violazione degli artt. 132, comma 2, n. 4 cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ., e con riferimento specifico al processo tributario, dell’art. 36 comma 2, n. 4 del d.lgs. 546/92’.
5.1. La CTR ha così statuito: ‘Osserva: Trattasi sostanzialmente di tre questioni: … omissis … la terza l recupero dell’importo di euro 13.302,74 a causa dell’imputazione delle fatture sull’esercizio successivo; … omissis … Relativamente all’importo di euro 13.302,74, dato che le fatture n. 913 e 1127 non sono state contestate in primo grado devono considerarsi passate in giudicato, mentre per le altre l’imputazione dell’Ufficio è corretta’. Nel caso in esame, la motivazione della sentenza è meramente apparente, perché omette qualunque valutazione critica delle emergenze processuali, indicando come motivi della decisione adottata delle mere affermazioni apodittiche, quali: ‘Relativamente all’importo di euro 13.302,74, dato che le fatture n. 913 e 1127 non sono state contestate in primo grado devono considerarsi passate in giudicato, mentre per le altre l’imputazione adottata dall’Ufficio è corretta’. Tale generica affermazione non dà conto del ragionamento cui il giudicante perviene alla decisione adottata. Non vengono chiariti infatti i motivi di fatto e di diritto che sorreggono le conclusioni, e rimane oscuro il motivo per cui l’imputazione adottata dall’Ufficio è corretta; il cui contenuto, per altro, non viene neanche riportato, rendendo così impossibile verificare la congruità di questa affermazione . Ulteriormente occorre rilevare che non vengono nemmeno esaminati i motivi dell’appello presentato dall’attuale ricorrente; nessuno delle questioni in fatto ed in diritto prospettate dalle parti costituisce oggetto di specifica valutazione da parte della sentenza impugnata, per cui non è possibile cogliere quali siano le fonti di prova
utilizzate, quali i motivi di diritto ritenuti prevalenti ai fini della decisione e quali recessivi ‘.
5.2. Il motivo è fondato, ai sensi della motivazione a seguire.
In riferimento alla questione -che la CTR individua come terza ed ultima tra quelle vertite in causa -riguardante il ‘recupero dell’importo di euro 13.302,74 a causa dell’imputazione delle fatture sull’esercizio successivo’, la motivazione della sentenza -eccezion fatta per le fatture nn. 913 e 1127, che la CTR assume non esser state contestate, con conseguente non ulteriore loro controvertibilità senza che la contribuente eccepisca il contrario -è meramente assertiva, aderendo immotivatamente (ossia ingiustificatamente) alla posizione agenziale, senza render conto, in confronto critico con le doglianze della contribuente, delle ragioni per le quali il criterio imputativo dell’Ufficio sarebbe corretto.
Sesto motivo: ‘Ex articolo 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. per violazione e falsa applicazione dell’articolo 109, commi 1 e 2, del Tuir’.
6.1. Il motivo ha nuovamente ad oggetto ‘talune spese di importo pari a euro 13.302,74’. ‘Fermo restando quanto più sopra osservato in relazione alla motivazione della sentenza, occorre ulteriormente rilevare che le conclusioni a cui sono giunti i giudici della CTR del Veneto -che confermano il rilievo dell’ufficio -risultano in ogni caso errate. La ricorrente non ha infatti violato il principio di competenza, ma ha portato in deduzione le sopra citate spese solo nel periodo d’imposta in cui si sono effettivamente manifestati i requisiti di certezza e determinabilità delle spese stesse, ossia nel periodo d’imposta 01/07/2009 -30/06/2010 ‘.
6.2. Il motivo resta assorbito dall’accoglimento del precedente.
In definitiva, in accoglimento del quinto motivo la sentenza impugnata va cassata con rinvio per nuovo esame.
Conseguentemente spetterà al giudice del rinvio valutare l’eventuale applicabilità delle sanzioni, secondo i principi dello ius superveniens, e tenendo presente le prescrizioni limitative emergenti dalla medesima disciplina invocata. Il medesimo dovrà infine regolare tra le parti delle spese di lite, comprese quelle di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie, ai sensi e nei limiti di cui in motivazione, il quinto motivo di ricorso, assorbito il sesto e rigettati tutti gli altri; per l’effetto cassa ‘in parte qua’ la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia di secondo grado del Veneto, in diversa composizione, per nuovo esame e per le spese.
Così deciso a Roma, lì 27 marzo 2025.