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Motivazione apparente: sentenza tributaria annullata

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza della Commissione Tributaria Regionale a causa di una motivazione apparente. La corte d’appello si era limitata a condividere genericamente la decisione di primo grado senza esporre un proprio percorso logico-giuridico. La Suprema Corte ha ribadito che una sentenza deve sempre rendere percepibile il fondamento della decisione, altrimenti è nulla per vizio di procedura. Il caso è stato rinviato per un nuovo esame.

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Pubblicato il 18 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Motivazione Apparente: Quando il Silenzio del Giudice Annulla la Sentenza

Una sentenza deve parlare chiaro. Il cittadino, e in particolare la parte processuale, ha il diritto di comprendere perché un giudice ha deciso in un certo modo. Quando questo non accade, e la decisione si nasconde dietro formule generiche, ci troviamo di fronte a una motivazione apparente, un vizio grave che può portare all’annullamento della sentenza. L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione offre un’analisi precisa di questo principio fondamentale del nostro ordinamento.

I Fatti del Caso: una controversia sull’ICI

Una fondazione si è opposta a due avvisi di accertamento relativi all’Imposta Comunale sugli Immobili (ICI) per gli anni 2010 e 2011, emessi da un’importante municipalità italiana. La fondazione riteneva di avere diritto a esenzioni e agevolazioni fiscali. Tuttavia, sia il giudice di primo grado sia la Commissione Tributaria Regionale (CTR) in appello hanno respinto le sue ragioni.

Contro la decisione d’appello, la fondazione ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando, tra le altre cose, un vizio procedurale fondamentale: la sentenza della CTR era viziata da una motivazione apparente.

La decisione della Commissione Tributaria Regionale

I giudici d’appello avevano liquidato le doglianze della fondazione in modo sbrigativo. Nella loro sentenza, si legge che l’appellante non aveva fornito “alcun nuovo elemento diverso da quanto già depositato in primo grado” e che “le conclusioni del primo giudice e le relative motivazioni possono essere integralmente condivise, così come le deduzioni difensive dell’appellata”.

Questa formula, sebbene formalmente presente, non costituisce una vera motivazione. È un mero rinvio acritico alla sentenza precedente e alle difese della controparte, senza spiegare perché quelle conclusioni fossero condivisibili e perché gli argomenti dell’appellante non fossero meritevoli di accoglimento.

L’analisi della Cassazione sulla motivazione apparente

La Corte di Cassazione ha accolto il motivo di ricorso della fondazione, ritenendolo fondato e assorbente rispetto agli altri. Gli Ermellini hanno ricordato, citando una fondamentale sentenza delle Sezioni Unite (n. 22232/2016), che la motivazione è solo apparente quando, “benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice”.

In altre parole, una motivazione non può essere una scatola vuota o una formula di stile. Deve essere la narrazione trasparente del percorso logico-giuridico che ha portato il giudice a quella specifica conclusione. Non basta affermare di condividere la decisione di un altro giudice; è necessario spiegare le ragioni di tale condivisione, dimostrando di aver vagliato criticamente sia il provvedimento impugnato sia le censure mosse dall’appellante.

le motivazioni

La Suprema Corte ha chiarito che il comportamento dei giudici d’appello non configurava una legittima motivazione per relationem. Quest’ultima è ammissibile solo se il giudice fa proprio il contenuto dell’atto richiamato, riproducendolo o indicando con precisione le ragioni fattuali e giuridiche che giustificano il rinvio. Nel caso di specie, invece, la CTR si è limitata a un’allusione generica alla “mancata allegazione di ‘nuovi elementi'” e alla “condivisibilità delle deduzioni” della controparte. Questo modo di procedere lascia l’interprete nel dubbio, costringendolo a “ipotetiche congetture” per ricostruire il pensiero del giudice, compito che non gli spetta.

La motivazione è risultata quindi “materialmente carente”, un vizio che rende la sentenza nulla per violazione delle norme processuali (art. 360, n. 4, c.p.c.). Il giudice ha l’obbligo di rendere conto del proprio convincimento, e un rinvio acritico e generico non assolve a tale dovere.

le conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza impugnata e ha rinviato la causa alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, in diversa composizione. Il nuovo collegio dovrà riesaminare nel merito la controversia, questa volta fornendo una motivazione completa ed effettiva che dia conto delle ragioni della decisione. Questa pronuncia ribadisce un principio cardine dello Stato di diritto: ogni provvedimento giurisdizionale deve essere motivato in modo trasparente, a garanzia del diritto di difesa e della corretta amministrazione della giustizia.

Che cos’è una motivazione apparente e perché rende nulla una sentenza?
Una motivazione è apparente quando, pur essendo presente nel testo della sentenza, è talmente generica, tautologica o contraddittoria da non permettere di comprendere il percorso logico-giuridico seguito dal giudice. Rende la sentenza nulla perché viola il principio fondamentale secondo cui ogni decisione giurisdizionale deve essere motivata, costituendo un vizio di procedura (error in procedendo).

È possibile per un giudice d’appello motivare la sua sentenza semplicemente confermando quella di primo grado?
No, non è sufficiente. Il giudice d’appello può richiamarsi alla sentenza di primo grado (motivazione per relationem), ma deve dimostrare di aver valutato criticamente sia il provvedimento impugnato sia i motivi di appello. Deve quindi esplicitare le ragioni per cui condivide le conclusioni del primo giudice, non potendosi limitare a una generica adesione.

Cosa succede quando la Corte di Cassazione accoglie un ricorso per motivazione apparente?
La Corte di Cassazione annulla (cassa) la sentenza impugnata e rinvia il caso a un altro giudice dello stesso grado di quello che ha emesso la sentenza annullata (in questo caso, un’altra sezione della Commissione Tributaria Regionale). Questo nuovo giudice dovrà riesaminare la controversia e decidere nuovamente, attenendosi ai principi di diritto affermati dalla Cassazione e fornendo una motivazione completa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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