Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14099 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14099 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 12872/2023 proposto da:
Agenzia delle EntrateRAGIONE_SOCIALE, nella persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, nella persona del liquidatore e legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME in forza di procura in calce al ricorso per cassazione, con domicilio eletto presso il suo recapito nello studio legale dell’Avv. NOME COGNOME, in Roma, INDIRIZZO/A.
(PEC: EMAIL
contro
ricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del LAZIO n. 6181/2022, depositata in data 22 dicembre 2022, non notificata; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26 marzo 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria regionale ha rigetta il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione, avverso la sentenza di primo grado avente ad oggetto l’intimazione di pagamento n. 097 2018 9071 669962/000, relativa al mancato pagamento di sette cartelle di pagamento.
I giudici di secondo grado, in particolare, hanno affermato che:
-) l’eccezione relativa all’inammissibilità del gravame proposto dall’Agenzia delle Entrate era infondata in quanto la stessa ben p oteva avvalersi di avvocati del libero foro;
-) anche la censura relativa all’incompletezza e illogicità della motivazione era infondata poiché il giudice di primo grado aveva ben motivato la sentenza ritenendo decorso il termine prescrizionale rispetto alla notificazione della cartella esattoriale, non risultando neppure atti interruttivi di tale decorrenza;
-) era infondato il motivo relativo all’impugnabilità dell’intimazione della cartella esattoriale in quanto era ammessa la possibilità di impugnare un’intimazione di pagamento, eccependo la decorrenza del termine prescrizionale della notificazione della cartella esattoriale;
-) il termine prescrizionale decennale non era decorso, dal momento che la rituale notificazione delle cartelle esattoriali aveva interrotto la prescrizione;
-) la parte appellante non aveva indicato specificamente la documentazione che provava l’interruzione della decorrenza del termine prescrizionale.
L’Agenzia delle Entrate -Riscossione ha impugnato la sentenza con ricorso per cassazione affidato a due motivi e successiva memoria.
La società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, resiste con controricorso.
CONSIDERATO CHE
In via preliminare va rilevato che l’Agenzia delle Entrate -Riscossione ha precisato, nel ricorso per cassazione, che la cartella n. NUMERO_CARTA è stata oggetto di annullamento ai sensi dell’art. 4, comma 1, del decreto legge n. 119 del 2018, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 136 del 136/2018, secondo cui « I debiti di importo residuo, alla data di entrata in vigore del presente decreto, fino a mille euro, comprensivo di capitale, interessi per ritardata iscrizione a ruolo e sanzioni, risultanti dai singoli carichi affidati agli agenti della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2010, ancorché riferiti alle cartelle per le quali è già intervenuta la richiesta di cui all’articolo 3, sono automaticamente annullati. L’annullamento è effettuato alla data del 31 dicembre 2018 per consentire il regolare svolgimento dei necessari adempimenti tecnici e contabili ».
1.1 Con riferimento alla precisata cartella, deve, dunque, essere dichiarata la cessazione della materia del contendere.
Il primo mezzo deduce, in relazione a ll’art. 360, comma primo, n. 4, c.p.c., la n ullità della sentenza per violazione dell’art. 111, comma 6, Cost., degli artt. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, e 118 disp. att. c.p.c., nonché dell’art. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992. Si censura la sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado per motivazione apparente, laddove, nel respingere il primo motivo di appello dell’Agenzia (pag. 2 -4 atto di appello), facendo integrale ed acritico rinvio alla pronuncia di primo grado, si era limitata ad asserire che la
sentenza della CTP aveva una motivazione «completa» e «logica». La sentenza era affetta da apparenza logico-motivazionale in quanto le affermazioni ivi contenute non erano idonee a descrivere e a far comprendere i tratti elementari della vicenda in fatto, né le singole questioni giuridiche sottoposte al suo esame e, sotto l’apparenza di una ratio decidendi , finiva per risolvere la propria decisione in una giustapposizione di proposizioni che tautologicamente e apoditticamente esprimevano la decisione, ma non le ragioni della decisione. Invero, il Giudice di appello non aveva minimamente considerato che la Commissione tributaria provinciale aveva immotivatamente preso in considerazione una sola cartella di pagamento (la n. NUMERO_CARTA, mentre le cartelle di pagamento erano sette e tutte notificate in date diverse. Di conseguenza la decisione di appello nemmeno poteva ritenersi correttamente motivata per relationem alla, analogamente immotivata, sentenza di primo grado che i Giudici di appello affermavano di condividere.
2.1 Il motivo è fondato.
2.2 E’ orientamento consolidato di questa Corte ritenere che gli estremi della dedotta doglianza di nullità processuale della sentenza, per motivazione totalmente mancante o motivazione apparente, siano integrati nell’ipotesi di « assenza » della motivazione, quando cioè « non sia possibile individuare il percorso argomentativo della pronuncia giudiziale, funzionale alla sua comprensione e alla sua eventuale verifica in sede di impugnazione », non configurabile nel caso di « una pur succinta esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione impugnata » (cfr. Cass., 15 novembre 2019, n. 29721) ovvero nel caso di « motivazione solo apparente, che non costituisce espressione di un autonomo processo deliberativo, quale la sentenza di appello motivata “per relationem” alla sentenza di primo grado » (cfr. Cass., 25 ottobre 2018, n. 27112) ovvero (è quello che rileva in
questa sede) qualora la motivazione « risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione » (Cass., 25 settembre 2018, n. 22598; ipotesi ravvisata anche in caso di « contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, che rendono incomprensibili le ragioni poste a base della decisione », Cass., 25 giugno 2018, n. 16611).
2.3 Questa Corte ha, inoltre, affermato che « costituisce ius receptum il principio secondo cui il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111 Cost., comma 6), e cioè dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 (in materia di processo civile ordinario) e dell’omologo D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4 (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata » (Cass., 8 settembre 2022, n. 26477, in motivazione).
2.4 E’ stato , poi, precisato, con orientamento condiviso, che la sentenza d’appello può essere motivata per relationem , purché il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicché dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente (cfr. Cass., 5 novembre 2018, n. 28139; Cass., 5 agosto 2019, n. 20883; Cass., 3 febbraio 2021, n. 2397; Cass., 2 agosto 2022, n. 23997, in motivazione).
2.5 In altre parole, la motivazione per relationem non è inesistente e la sentenza d’appello può essere motivata per relationem , purché il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicché dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente, mentre va cassata la decisione con cui la corte territoriale si sia limitata ad aderire alla pronunzia di primo grado in modo acritico senza alcuna valutazione di infondatezza dei motivi di gravame.
2.6 Nel caso di specie, si è verificata proprio questa evenienza, poiché la Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate -Riscossione, facendo rinvio alla pronuncia di primo grado, senza spiegare le ragioni poste a fondamento del convincimento di infondatezza dei motivi di appello ed affermando che il giudice di primo grado aveva ben motivato la sentenza ritenendo decorso il termine prescrizionale rispetto alla notificazione della cartella esattoriale, non risultando neppure atti interruttivi di tale decorrenza e che il termine prescrizionale decennale non era decorso, dal momento che la rituale notificazione delle cartelle esattoriali aveva interrotto la prescrizione; peraltro, i giudici di appello, così come i giudici di primo grado, avevano preso in considerazione una sola cartella di pagamento (la n. NUMERO_CARTA, mentre le cartelle di pagamento, atti presupposti dell’intimazione di pagamento oggetto di impugnazione, erano sette ed erano state tutte notificate in date diverse.
2.7 Si tratta, dunque, di una motivazione del tutto astratta, con la quale la Commissione tributaria regionale si è limitata ad esprimere la propria adesione alla sentenza di primo grado prescindendo da qualsiasi riferimento ai fatti allegati dall’Agenzia appellante, tanto da adottare una motivazione priva di ogni intelligibile aggancio con la
fattispecie concreta portata alla sua cognizione. Né, del resto, una siffatta motivazione può ritenersi legittimamente resa per relationem , in assenza, come già detto, di un comprensibile richiamo ai contenuti degli atti cui si rinvia, ai fatti allegati dall’appellante e alle ragioni del gravame, così da risolversi in una acritica adesione alla sentenza richiamata, senza che emerga una effettiva valutazione, propria del giudice di appello, della infondatezza dei motivi di gravame.
3. Il secondo mezzo deduce , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per violazione degli artt. 53 e 58 del d.lgs. n. 546 del 1992 in relazione agli artt. 50 del d.P.R. n. 602 del 1973, 1219 e 2943 c.c. nonché, in via consequenziale, dell’art. 39 del d.lgs. n. 546 del 1992. Il Giudice di appello aveva violato il principio giurisprudenziale di c.d. «non dispersione (o di acquisizione) della prova». Nella specie, infatti, non solo l’Agenzia appellante non aveva prodotto, come pure avrebbe potuto ex art. 58 del d.lgs. n. 546 del 1992, nuovi documenti in appello, essendosi limitata a ridepositare documenti già prodotti in primo grado, ma aveva espressamente precisato in sede di gravame il rilievo da riconoscere, ai fini della interruzione della prescrizione, a ciascun documento. In particolare, già nel giudizio di primo grado l’Agente della ri scossione aveva provveduto al deposito della documentazione attestante l’avvenuta interruzione dei termini di prescrizione dei crediti erariali portati dalle cartelle di pagamento e ne aveva dato atto nelle proprie controdeduzioni e lo aveva nuovamente evidenziato nel ricorso in appello. Diversamente da quanto assumeva il Giudice di appello, nella specie non difettava affatto la specificazione degli atti interruttivi da parte dell’ente di riscossione, con la conseguenza che, avuto riguardo alla data di notifica (7 maggio 2009) delle intimazioni e quella (27 agosto 2018) dell’intimazione impugnata dalla contribuente, non risultava affatto maturato il termine prescrizionale decennale. In conclusione, ADER aveva ritualmente provato la notifica delle intimazioni e che la prescrizione era stata
interrotta dalla notifica delle cartelle -non contestata -nonché dalla successiva notifica delle intimazioni in data 7 maggio 2009 e, da ultimo, dalla notifica dell’intimazione oggetto del presente giudizio in data 27 agosto 2018.
3.1 Anche il secondo motivo è fondato.
3.2 I giudici di secondo grado hanno affermato che la parte appellante non aveva indicato specificamente la documentazione che provava l’interruzione della decorrenza del termine prescrizionale, mentre l’Agenzia delle Entrate -Riscossione aveva prodotto la documentazione portata a riscontro dell’interruzione del termine di prescrizione già in primo grado e tale documentazione era stata riprodotta nel giudizio di secondo grado; si tratta, dunque, di documentazione prodotta dall’Ente di riscossione fin dal primo grado di giudizio che doveva essere presa in considerazione al fine di verificare la regolarità delle notifiche delle cartelle di pagamento e degli avvisi di intimazione di pagamento, questi ultimi anche ai fini interruttivi della prescrizione.
3.3 Ciò senza prescindere dal principio pure statuito da questa Corte secondo cui, in tema di contenzioso tributario, l’art. 58 del decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 546 fa salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti anche al di fuori degli stretti limiti consentiti dall’art. 345 cod. proc. civ. e tale attività processuale va esercitata stante il richiamo operato dall’art. 61 del decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 546 alle norme relative al giudizio di primo grado entro il termine previsto dall’art. 32, comma 1, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, ossia fino a venti giorni liberi prima dell’udienza con l’osservanza delle formalità di cui all’art. 24, comma 1, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Cass., 24 giugno 2021, n. 18103; Cass., 4 gennaio 2022, n. 14; Cass., 27 gennaio 2022, n. 2377).
3.4 Inoltre, questa Corte ha pure precisato che, nel processo tributario, ai sensi dell’art. 58, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, la parte può
produrre in appello prove documentali, anche se preesistenti al giudizio di primo grado e pure se, in quest’ultimo giudizio, era rimasta contumace (Cass., 23 giugno 2021, n. 17921; Cass., 16 novembre 2018, n. 29568).
3.5 La sentenza impugnata, dunque, non è conforme ai principi suesposti,
Per quanto esposto, il ricorso va accolto; la sentenza impugnata va cassata e la causa va rinviata alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, dovendosi rilevare, inoltre, che, dalla memoria depositata dall’Agenzia ricorrente, con modalità informatiche, in data 14 marzo 2025, risulta che la querela di falso avente ad oggetto le sottoscrizioni apposte sugli avvisi di ricevimento delle raccomandate A/R nn. 67166720823-6, 67166720824-7, 67166720827-1, 67166720828-2 e 67166720829-3, è stata dichiarata inammissibile con sentenza del Tribunale di Roma n. 14995 del 2024 e dovendo sul punto la CTR compiere le valutazioni necessarie in ordine alla rilevanza della querela di falso e alla sua pertinenza in relazione ai documenti contestati e specificamente indicati (cfr. Cass, 21 aprile 2023, n. 10766 e Cass., 28 dicembre 2012, n. 24107, secondo cui « In tema di contenzioso tributario, il disposto dell’art. 39 del d.lgs. n. 546 del 1992, secondo il quale ‘il processo è sospeso quando è presentata querela di falso o deve essere decisa in via pregiudiziale una questione sullo stato o la capacità delle persone’, impone di sospendere il giudizio dinanzi alle commissioni tributarie fino al passaggio in giudicato o della decisione in ordine ad una querela di falso o quando deve essere decisa in via pregiudiziale una questione sullo stato o la capacità delle persone (salvo che si tratti della capacità di stare in giudizio), trattandosi di accertamento pregiudiziale riservato ad altra giurisdizione, del quale il giudice tributario non può conoscere neppure “incidenter tantum”. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza con la quale la commissione tributaria, in presenza di una
querela di falso che aveva messo in discussione la veridicità della “relata” di notifica degli avvisi di accertamento, ha ritenuto di poter prescindere dalla decisione in ordine alla querela per il solo fatto di non avere avuto ancora notizie circa la definizione del relativo giudizio) ».
P.Q.M.
La Corte dichiara cessata la materia del contendere con riferimento alla cartella n. NUMERO_CARTA per il resto, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, in data 26 marzo 2025.