Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24704 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24704 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5186-2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (pec: EMAIL), presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore ;
– intimata –
Oggetto:
TRIBUTI –
avverso la sentenza n. 3448/28/2015 della Commissione tributaria regionale della LOMBARDIA, depositata in data 22 luglio 2015;
nonché
sul ricorso iscritto al n. 15478-2017 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (pec: EMAIL), presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore ;
– intimata – avverso la sentenza n. 6567/29/2016 della Commissione tributaria regionale della LOMBARDIA, depositata in data 9 dicembre 2016; udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 10 luglio 2025 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L ‘Agenzia delle entrate, riscontrata l’omessa presentazione da parte della RAGIONE_SOCIALE della dichiarazione dei redditi Modello Unico 2010, relativa all’anno d’imposta 2009, in quanto presentata ultratardivamente (oltre il termine di 90 giorni di cui all’art. 2, comma 7, del d.P.R. n. 322 del 1998), emetteva nei confronti della predetta società una cartella di pagamento ex artt. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54bis del d.P.R. n. 633 del 1972 disconoscendo il credito IVA maturato con riferime nto al precedente anno d’imposta 2008 e rettifica ndo il rigo VL009 della predetta dichiarazione per avere la società contribuente utilizzato in compensazione un credito maggiore (euro 25.819,00) rispetto a quello dichiarato (euro 310,00).
La CTP di Milano accoglieva il ricorso della società contribuente e la CTR della Lombardia con la sentenza in epigrafe indicata (n. 3448/28/2015) rigettava l’appello proposto dall’Ufficio rilevando «il difetto assoluto di attribuzione, atteso che l’avviso di accertamento notificato alla società porta la firma di NOME COGNOME Capo Ufficio Legale, su delega del Direttore Provinciale NOME COGNOME che non risulta avere la qualifica di dirigente dell’Agenzia delle Entrate di prima o di seconda fascia»; vizio inv alidante dell’atto impositivo impugnato, in quanto sottoscritto da soggetto non legittimato», che i giudici di appello ritenevano «preliminare e dirimente».
Avverso tale statuizione l’Agenzia delle entrate proponeva sia ricorso per cassazione che ricorso per revocazione dinanzi alla medesima CTR che lo rigettava con sentenza n. 6567/29/2016.
3.1. Con il ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 3448/28/2015, iscritto al n. 5186/2016 del registro generale, l’Agenzia deduce tre motivi, cui non replica la società contribuente che resta intimata.
3.2. Avverso la seconda sentenza della CTR lombarda (n. 6567/29/2016) l’Agenzia delle entrate propone altro ricorso per cassazione , iscritto al n. 15478/2017 del registro generale, con cui deduce un unico motivo, cui non replica l’intimata.
In entrambi i ricorsi il Procuratore generale deposita conclusioni scritte chiedendo, con riferimento al primo ricorso, che questa Corte «accolga il terzo motivo con assorbimento degli altri, in subordine, sospenda il presente procedimento ove la Corte ritenesse di accogliere il ricorso nel giudizio n. 15478 del 2017, avente natura pregiudiziale rispetto a quello ora all’esame». Con riferimento al secondo ricorso ne chiede l’accoglimento.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente premesso che l’Agenzia delle entrate ha impugnato per cassazione sia la sentenza d’appello che aveva pronunciato
sul merito della vicenda processuale (n. 3448/28/2015), sia la sentenza d’appello resa sul ricorso per revocazione pure proposto dall’Agenzia delle entrate al giudice d’appello , iscritti rispettivamente ai nn. 15478/2017 e 5186/2016, pendenti dinanzi a questa Corte e fissati per la trattazione all’odierna camera di consiglio.
Ne consegue la necessità di provvedere alla riunione dei due ricorsi in ossequio al principio giurisprudenziale affermato da Cass. n. 21315/2022 (conf. Cass. n. 30184/2024 e n. 977472025, in motivazione) secondo cui «I ricorsi per cassazione contro la decisione di appello e contro quella che decide l’impugnazione per revocazione avverso la prima vanno riuniti in caso di contemporanea pendenza in sede di legittimità nonostante si tratti di due gravami aventi ad oggetto distinti provvedimenti, atteso che la connessione esistente tra le due pronunce giustifica l’applicazione analogica dell’art. 335 c.p.c., potendo risultare determinante sul ricorso per cassazione contro la sentenza di appello l’esito di quello riguardante la sentenza di revocazione», o viceversa (arg. da Cass. n. 9774/2025, citata).
Da quanto detto, riuniti i ricorsi, ritiene il Collegio di esaminare preliminarmente quello per cassazione.
Con il primo motivo di tale ricorso la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 112, 115, 116, 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ., 118, disp. att. cod. proc. civ., nonché 18, 36, comma 2, n. 4, 53, 54 e 61 del d.lgs. n. 546 del 1992, per assoluta inesistenza e, comunque, per apparenza della motivazione, avendo rilevato l’illegittimità di un avviso di accertamento per carenza di attribuzione del funzionario che l’aveva sottoscritto, sebbene nessun avviso di accertamento risultasse essere stato impugnato e nemmeno prodotto in giudizio, il cui oggetto riguardava, invece, una cartella di pagamento e l’eccezione non era stata comunque neppure proposta con il ricorso introduttivo.
Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 24, 97, 111 e 136 Cost., 101, 112, 115 e 116 cod. proc. civ. nonché 1, 2, 10, 11, 52, 53 e 54 del d.lgs. n. 546 del 1992, per avere i giudici di appello rilevato il difetto della necessaria qualifica dirigenziale in capo al soggetto dipendente che aveva sottoscritto l’avviso di accertamento senza avere previamente instaurato il contraddittorio con le parti processuali, trattandosi di questione che involgeva apprezzamenti di fatto e di diritto che assumevano rilevanza anche agli effetti di quanto previsto dall’art. 101, comma 2, cod. proc. civ.
5.1. Sostiene, altresì, che gli unici atti sottoscritti dal funzionario NOME COGNOME erano la memoria ex art. 32 del d.lgs. n. 546 del 1992, depositata nel giudizio di primo grado, nonché l’atto di appello. Con riferimento a tale atto, la ricorrente richiama diversi principi giurisprudenziali di legittimità, ed in particolare il principio affermato da Cass. n. 10933/2015.
6. Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 24, 53, 97, 111 e 136 Cost., 15 delle preleggi, 115 e 116 cod. proc. civ., 2697 cod. civ., 30, della legge n. 87 del 1953, 1, 2, 10, 11, 52, 53 e 54 del d.lgs. n. 546 del 1992, 21septies, 21opties e 21nonies della legge n. 241 del 1990, 24 e 25 del d.P.R. n. 602 del 1973, 17 e 18 del d.lgs. n. 46 del 1999, 54, 54bis, 56 e 60, comma 6, del d.P.R. n. 633 del 1972, 6 e 7 della legge n. 212 del 2000, 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, conv, con modif., dalla legge n. 44 del 2012, 66 e 69 della legge n. 300 del 1999, nonché 5 del regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle entrate.
6.1. Sostiene la ricorrente che:
-nel caso di specie era pacifico tra le parti che l’atto impugnato era una cartella di pagamento che non necessitava di alcuna sottoscrizione, non essendo previsto dal modello ministeriale (Cass. n. 20984/2015) e che, in
ogni caso, poteva essere sottoscritto dall’agente della riscossione ma non da un funzionario dell’Agenzia delle entrate;
-l’atto di appello firmato da NOME COGNOME, diversamente da quanto ritenuto dalla CTR, doveva ritenersi legittimamente sottoscritto dal medesimo alla stregua del principio affermato da questa Corte in Cass. n. 16436/2015, secondo cui «nel processo tributario disciplinato dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, gli art. 10 e art. 11, comma 2, riconoscono la qualità di parte processuale e conferiscono la capacità di stare in giudizio all’ufficio del Ministero delle finanze (oggi ufficio locale dell’Agenzia delle entrate) nei cui confronti è proposto il ricorso, organicamente rappresentato dal direttore o da altra persona preposta al reparto competente, da intendersi con ciò stesso delegata in via generale a sostituire il direttore nelle specifiche competenze, senza necessità di speciale procura», e ciò «finché non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio appellante o, comunque, l’usurpazione del potere d’impugnare la sentenza di primo grado, dovendosi altrimenti presumere che l’atto provenga dall’ufficio e ne esprima la volontà»;
in ogni caso, ai fini della validità degli atti impositivi i funzionari sottoscrittori non devono possedere la qualifica dirigenziale, essendo sufficiente che il capo dell’ufficio o altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato rivestano la qualifica di funzionari di area direttiva non dirigenziale;
essendosi in presenza di una cartella di pagamento e non già di un avviso di accertamento, non erano applicabili gli artt. 42, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 56 del d.P.R. n. 633 del 1972 e che la relativa violazione non era comunque rilevabile d’ ufficio, come invece erroneamente avevano fatto i giudici di appello in mancanza di eccezione sollevata al riguardo dalla società contribuente.
I primo e terzo motivo di ricorso, che censurano sotto diversi profili l’unica statuizione contenuta nella sentenza impugnata, devono essere esaminati congiuntamente e devono essere accolti in quanto manifestamente fondati, restando assorbito il secondo.
Occorre preliminarmente precisare, in fatto, che nella specie l’atto impugnato è una cartella di pagamento e non un avviso di accertamento (come in più parti si legge nella sentenza d’appello), che la società contribuente nell’originario ricorso non aveva formulato alcuna eccezione con riferimento alla sottoscrizione della predetta cartella e che nessuna eccezione aveva sollevato con le controdeduzioni d’appello con riferimento alla sottoscrizione dell’atto di impugnazione dell’Agenzia delle entrate , come si desume dagli atti dei gradi di merito riprodotti nel ricorso in esame.
Ciò posto, osserva il Collegio che nella motivazione della sentenza impugnata si fa riferimento ad un atto (avviso di accertamento) del tutto diverso da quello (cartella di pagamento) oggetto del giudizio di merito. In buona sostanza, la sentenza della CTR, pur se correttamente riferita alle parti processuali, così come indicati nell’epigrafe, e con riguardo alla decisione resa su appello -poi rigettato -dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della CTP di Milano, 4403/29/2014 contro l’appellata RAGIONE_SOCIALE reca una motivazione che ha ad oggetto un diverso atto impositivo (avviso di accertamento) e una questione (quella del difetto di sottoscrizione dell’avviso di accertamento perché effettuato da soggetto non legittimato) che la società ricorrente non aveva mai dedotto in giudizio, sicché la stessa è sostanzialmente priva degli elementi necessari per la formazione del giudicato sul rapporto controverso ed è, quindi, affetta da nullità insanabile, che, nel corso del processo può essere rilevata d’ufficio dal giudice dell’impugnazione, determinando in sede di legittimità, la cassazione con rinvio affinché si possa procedere alla sua rinnovazione» (arg. da Cass. n. 15002/2015, Cass. n. 6162/2014; Cass. n. 30067/2011).
10. Deve, in ogni caso, osservarsi che nella decisione impugnata non vi è traccia alcuna delle questioni poste dall’Agenzia delle entrate con l’atto di impugnazione («illegittimità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 54 -bis del D.P.R. 633/72» e «per violazione e falsa applicazione degli artt. 30 e 54 bis del D.P.R. 633/72»), che non sono state prese nella benché minima considerazione dai giudici di appello, che hanno omesso di pronunciarsi sugli stessi, e, come detto, pronunciato su un diverso atto (avviso di accertamento anziché cartella di pagamento) e su questione che la società contribuente non aveva mai proposto, in tal modo assumendo una decisione su fatti e circostanze estranei alla materia del contendere, che non formavano oggetto del giudizio e che non erano neppure rilevabili d’ufficio, in evidente violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato fissato dall’art. 112 cod. proc. civ. (cfr. Cass., Sez. 2, sent. n. 26598 del 17/12/2009) che, come questa Corte ha più volte chiarito, «sussiste quando il giudice attribuisca, o neghi, ad alcuno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno virtualmente, nella domanda; oppure ponga a fondamento della decisione fatti e situazioni estranei alla materia del contendere, introducendo nel processo un titolo nuovo e diverso da quello enunciato dalla parte a sostegno della domanda» (cfr., ex multis , Cass, Sez. 2, sent. n. 3604 del 27/03/1995; Cass., Sez. 3, sent. n. 919 del 03/02/1999; Cass., Sez. L, sent. n. 25140 del 13/12/2010; Cass., Sez. 3, ord. n. 906 del 17/01/2018).
11. Ritiene il Collegio che a non diversa soluzione, di fondatezza del ricorso in esame, deve pervenirsi anche ove si voglia ritenere che il riferimento fatto dai giudici di appello nella motivazione della sentenza impugnata ad un avviso di accertamento sia frutto di un errore, e che gli stessi volessero invece riferirsi all’atto di appello, ciò potendo presumersi sulla base del fatto che proprio l’atto di appello, riprodotto nel ricorso, è stato sottoscritto dal dott. NOME COGNOME qualificatosi Capo ufficio
legale dell’Agenzia delle entrate di Milano, su delega del Direttore provinciale dott. NOME COGNOME.
Al riguardo deve però ricordarsi il principio in base al quale «In tema di processo tributario, il difetto di legittimazione della sottoscrizione dell’atto di appello da parte del funzionario di un ufficio periferico dell’Agenzia delle entrate, anche ove non sia esibita in giudizio una specifica delega, non è rilevabile d’ufficio, trattandosi di circostanza che deve essere eccepita dal contribuente, dovendosi in mancanza presumere che l’atto provenga dal soggetto legittimato e ne esprima la volontà» (Cass. n. 2901/2019). Nella specie, come già detto al precedente par. 8, la questione non era stata posta dalla società contribuente nelle controdeduzioni depositate in grado di appello e, pertanto, sulla stessa la CTR non poteva pronunciare. Tanto esimerebbe questa Corte dal rilevare che la statuizione d’appello si pone comunque in netta contrapposizione ai principi giurisprudenziali in materia di legittimazione alla sottoscrizione degli atti di appello dell’amministrazione finanziaria ed in particolare con il principio affermato da Cass. n. 15470/2016 e, più recentemente ribadito da Cass. n. 694/2025), in base al quale «In tema di contenzioso tributario, la provenienza di un atto di appello dall’Ufficio periferico dell’Agenzia delle Entrate e la sua idoneità a rappresentarne la volontà si presumono anche ove non sia esibita in giudizio una corrispondente specifica delega, salvo che non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio appellante o, comunque l’usurpazione del potere di impugnare la sentenza».
Dall’accoglimento del ricorso per cassazione discende l’inammissibilità, per sopravvenuto difetto di interesse, del ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza resa dalla CTR sul ricorso per revocazione pure proposto dall’Agenzia delle entrate, con cui è stato dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della predetta sentenza d’appello per violazione dell’art. 64, comma 1, del
d.lgs. n. 546 del 1992 come modificato dall’art. 9, comma 1, lett. cc), del d.lgs. n. 156 del 2015, per avere la CTR erroneamente ritenuto inammissibile il ricorso per revocazione una volta proposto, come nel caso in esame, ricorso per cassazione, con ciò facendo applicazione di una disposizione non applicabile ratione temporis .
14. In estrema sintesi, vanno accolti il primo e terzo motivo del ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza d’appello n. 3448/28/2015, assorbito il secondo e dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello n. 6567/29/ 2016. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia che provvederà anche alla regolamentazione delle spese processuali del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo e terzo motivo del ricorso iscritto al n. 5186/2016 R.G., assorbito il secondo, e dichiara inammissibile il ricorso iscritto al n. 15478/2017 R.G.
Cassa la sentenza impugnata n. 3448/28/2015 in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 10 luglio 2025