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Motivazione apparente: sentenza fiscale nulla

Un comune contesta l’esenzione IMU a un istituto scolastico religioso. La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza d’appello a causa di una motivazione apparente, poiché i giudici di secondo grado si erano limitati a confermare la decisione precedente senza analizzare le specifiche obiezioni del comune sulla natura commerciale dell’attività. Il caso è stato rinviato per un nuovo esame.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Motivazione Apparente: Quando una Sentenza non Spiega Abbastanza

Il diritto a una decisione giusta passa anche attraverso il diritto a una decisione comprensibile. Una sentenza deve spiegare in modo chiaro e logico perché il giudice ha deciso in un certo modo. Quando questa spiegazione manca o è solo una facciata, ci troviamo di fronte a una motivazione apparente, un vizio grave che può portare all’annullamento della pronuncia. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre un esempio lampante di questo principio, in un caso relativo all’esenzione IMU per un istituto scolastico.

I Fatti di Causa

La controversia nasce da un avviso di accertamento IMU emesso da un Comune nei confronti di un ente religioso che gestiva una scuola materna paritaria. L’ente riteneva di aver diritto all’esenzione fiscale prevista per gli immobili utilizzati per attività didattiche senza scopo di lucro. Il Comune, al contrario, sosteneva che l’attività avesse natura commerciale, poiché l’istituto richiedeva il pagamento di rette a totale carico delle famiglie degli alunni, generando così degli introiti.

Il caso è approdato prima alla Commissione Tributaria Provinciale e successivamente alla Commissione Tributaria Regionale. Quest’ultima ha respinto l’appello del Comune con una motivazione estremamente sintetica, affermando che l’ente locale si era limitato a ripetere le stesse argomentazioni del primo grado, senza portare nuovi elementi, e che pertanto la sentenza precedente andava confermata.

La Decisione della Corte di Cassazione sulla Motivazione Apparente

Insoddisfatto, il Comune ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando, tra le altre cose, la nullità della sentenza d’appello per motivazione apparente. La Suprema Corte ha accolto proprio questo motivo, ritenendolo assorbente rispetto agli altri.

La Corte ha ribadito un principio consolidato nella sua giurisprudenza: una motivazione è “apparente” quando, pur essendo graficamente presente nel testo della sentenza, risulta composta da argomentazioni talmente generiche, stereotipate o tautologiche da non permettere di comprendere l’iter logico-giuridico seguito dal giudice per arrivare alla sua decisione. In pratica, è una motivazione che non motiva nulla, impedendo qualsiasi controllo sulla correttezza del ragionamento.

Le Motivazioni

Nel caso specifico, i giudici di legittimità hanno evidenziato come la Commissione Tributaria Regionale avesse fallito nel suo compito di giudice d’appello. Non è sufficiente affermare che l’appellante ha riproposto le stesse difese del primo grado per rigettare un appello. Il giudice di secondo grado ha il dovere di esaminare nel merito i motivi di gravame e spiegare perché li ritiene infondati.

La Corte regionale non ha speso una sola parola sulla questione centrale sollevata dal Comune: la presunta natura commerciale dell’attività didattica a causa del pagamento delle rette. Aderendo acriticamente e genericamente alla decisione di primo grado, senza nemmeno riassumerne le ragioni e senza confutare le critiche dell’appellante, la Commissione ha di fatto eluso il proprio dovere di motivazione. Questo comportamento, secondo la Cassazione, rende impossibile l’individuazione del “thema decidendum” e delle ragioni della decisione, trasformando la motivazione in un guscio vuoto.

Conclusioni

La Corte di Cassazione ha cassato la sentenza impugnata e ha rinviato la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado, in diversa composizione, affinché decida nuovamente la controversia, questa volta fornendo una motivazione effettiva e non apparente.

Questa pronuncia rafforza un principio fondamentale dello Stato di diritto: ogni parte processuale ha diritto non solo a una decisione, ma anche a una spiegazione logica e coerente di tale decisione. Una sentenza senza una vera motivazione è un atto arbitrario che viola il diritto di difesa e il principio del giusto processo. I giudici non possono limitarsi a formule di stile o a rimandi generici, ma devono confrontarsi con le argomentazioni delle parti, accogliendole o respingendole con un ragionamento comprensibile e verificabile.

Quando una motivazione di una sentenza può essere considerata “apparente”?
Si definisce “apparente” una motivazione che, sebbene esistente nel testo, è talmente generica, contraddittoria o tautologica da non rendere comprensibile il percorso logico-giuridico seguito dal giudice, impedendo così di verificarne la correttezza.

È sufficiente per un giudice d’appello confermare la sentenza di primo grado senza esaminare i motivi dell’appello?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il giudice d’appello ha l’obbligo di esaminare specificamente i motivi di gravame proposti. Limitarsi ad aderire alla decisione precedente senza spiegare perché le argomentazioni dell’appellante sono infondate integra il vizio di motivazione apparente.

Qual è la conseguenza di una sentenza con motivazione apparente?
Una sentenza con motivazione apparente è nulla. Di conseguenza, viene annullata (cassata) e il processo deve essere nuovamente celebrato davanti a un altro giudice, che dovrà emettere una nuova decisione dotata di una motivazione completa ed effettiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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