Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4369 Anno 2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 27206/2016, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in ROMA, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
COLLALTI NOME
-intimato –
Civile Ord. Sez. 5 Num. 4369 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 19/02/2025
avverso la sentenza n. 2269/14/2016 della Commissione tributaria regionale del Lazio, depositata il 21 aprile 2016; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21 gennaio 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
Il 26 luglio 2012 l’Agenzia delle Entrate notificò ad NOME COGNOME, dottore commercialista, un avviso di accertamento contenente ripresa a tassazione di un maggiore reddito ai fini Irpef, Irap e Iva per l’anno 2009.
La pretesa erariale traeva origine dal mancato riconoscimento, in seno alla dichiarazione del Modello Unico 2010 predisposta dal contribuente, di costi per prestazioni professionali e spese per viaggi e trasferte.
Nel primo caso, infatti, i costi inerivano a un contratto per prestazione di servizi amministrativi e contabili -intervenuto con una società della quale lo stesso COGNOME era amministratore unico -in cui l’attività commissionata era descritta in termini assolutamente generici e per un corrispettivo incongruo rispetto alle dimensioni del fatturato e dei costi complessivi dell’attività; nel secondo caso, le spese non erano sufficientemente documentate.
Il COGNOME impugnò l’atto impositivo innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma, che ne riconobbe parzialmente le ragioni, ritenendo la deducibilità dei costi per prestazione di servizi.
Il successivo appello dell’Ufficio venne respinto dalla C.T.R. del Lazio con la sentenza indicata in epigrafe.
Per quanto in questa sede ancora di interesse, i giudici regionali, dopo aver ritenuto che la sentenza di primo grado fosse sorretta da motivazione sufficiente, affermarono che i costi in questione, dei quali era documentato l’affronto da parte del contribuente, fossero
muniti dei requisiti di idoneità, certezza e congruità necessari alla loro deduzione e che, per il resto, le doglianze dell’Ufficio fossero inammissibili in quanto «questioni nuove».
La sentenza d’appello è stata impugnata dall’amministrazione finanziaria con ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
L’intimato non ha svolto difese.
Considerato che:
Con il primo motivo, denunziando nullità della sentenza in relazione agli artt. 132 cod. proc. civ. e 36 del d.lgs. n. 546/1992, l’Agenzia ricorrente censura la decisione impugnata per assoluto difetto, o comunque apparenza, di motivazione; osserva, al riguardo, che i giudici d’appello non hanno svolto alcuna disamina circa l’idoneità del costo come documentato in fattura, quantunque in presenza di specifiche contestazioni, essendosi limitati ad affermare, in modo del tutto apodittico, che detto costo era provvisto dei requisiti di certezza, inerenza e congruità.
Il secondo motivo denunzia violazione o falsa applicazione dell’art. 57 del d.lgs. n. 546/1992.
L’Agenzia delle Entrate critica la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che i motivi di appello da lei proposti fossero «inammissibili in riferimento alle questioni nuove»; osserva, in proposito, di aver contestato l’assenza del requisito di certezza del costo attraverso mere difese, come tali non soggette ad alcuna preclusione processuale.
Il terzo motivo denunzia violazione degli artt. 21 del d.P.R. n. 633/1972, 109, comma 5, TUIR e 2697 cod. civ.
Secondo la ricorrente, i giudici d’appello avrebbero in ogni caso errato nell’affermare il principio regolatore dell’onere probatorio applicabile nel caso di specie, attribuendo rilevanza alla circostanza
dell’avvenuto affronto del costo benché tale ultima non fornisse alcuna prova dell’idoneità e dell’inerenza del medesimo.
Il primo motivo è fondato.
4.1. Questa Corte ha ripetutamente affermato che il difetto di motivazione della sentenza ricorre allorquando il giudice -in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (Art. 111, comma sesto, Cost.) e cristallizzato nell’art. 132, secondo comma, n. 4), cod. proc. civ. e nell’omologa previsione contenuta nell’ art. 36, comma 2, n. 4), d.lgs. n. 546/1992 per il processo tributario -omette di esporre (anche concisamente) i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata , e senza che a tal fine l’interprete debba integrare la decisione con le più varie, ipotetiche congetture (v. Cass. n. 30178/2023; Cass. n. 5335/2018; Cass. n. 2876/2017).
È poi noto, in tal senso, che la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico o quelle che presentano un «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» ovvero una «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile» (cfr. Cass. Sez. U, n. 8053/2014), ma anche quelle sorrette da una motivazione che, dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, è tuttavia tale da non consentire «di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l ‘ iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato» (così Cass. n. 4448/2014).
In tal caso, la mera apparenza della motivazione inficia di nullità la sentenza, in quanto ne comporta il venir meno della finalità sua propria, che è quella di esternare un «ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo», logico e consequenziale, «a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi » (così Cass., Sez. U, n. 22232/2016).
4.2. Nel caso di specie, l’amministrazione finanziaria pose a base dell’avviso poi impugnato il rilievo dell’avvenuta deduzione di un costo che, in relazione ad una serie di profili compiutamente evidenziati nel corpo dell’atto impositivo, non appariva provvisto dei requisiti di congruità e inerenza necessari alla sua deduzione.
Tali profili -che l’odierna ricorrente aveva specificamente dedotto anche nei motivi di appello, come riporta la sentenza impugnata in apertura delle «ragioni giuridiche della decisione» (pagg. 1 e 2) -afferivano alla genericità delle prestazioni descritte nella fattura e nel contratto di riferimento, nonché alla sproporzione del costo rispetto all’entità complessiva dei compensi e dei costi dichiarati (questi ultimi superiori ai primi).
Sugli stessi profili -che costituivano, all’evidenza, il punto nodale della controversia -la sentenza impugnata non ha svolto alcuna considerazione, poiché si è limitata ad affermare in astratto quali sono i requisiti per la deducibilità del costo, con richiamo alle sole previsioni normative e senza riferimenti al caso concreto, concludendo poi per l’apodittico rilievo della sussistenza di tali requisiti.
4.3. Nel caso di specie, pertanto, la sentenza non contiene, rispetto ai fatti di causa, alcuna indicazione autosufficiente; né, tantomeno, essa realizza alcuna forma virtuosa di rinvio per relationem che, secondo quanto affermato da questa Corte (v. ad es.
Cass. n. 22022/2017 con riferimento alla sentenza di primo grado), può essere idonea a far ritenere assolto l’obbligo di motivazione delle decisioni.
In altri termini, la sentenza d’appello non è supportata da argomenti che consentano di comprendere quale sia stato il percorso logico-giuridico seguito per giungere alla conferma della decisione di primo grado; e siffatta impossibilità di individuare l’effettiva ratio decidendi rende meramente apparente la motivazione della decisione impugnata, alla stregua della nozione di apparenza più sopra tratteggiata.
Il ricorso va dunque accolto in relazione al primo, dirimente motivo; le restanti censure restano assorbite.
L a sentenza d’appello è cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, la quale, decidendo in diversa composizione e uniformandosi all’indicato principio, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso in relazione al primo motivo, assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio.
Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2025.