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Motivazione apparente: sentenza fiscale annullata

Una società in fallimento ha impugnato un avviso di rettifica fiscale. La Commissione Tributaria Regionale ha respinto l’appello con una motivazione generica. La Corte di Cassazione ha annullato tale sentenza, qualificando la giustificazione come “motivazione apparente”, poiché il giudice d’appello si era limitato ad aderire acriticamente alla decisione di primo grado senza analizzare i motivi specifici del gravame. Il caso è stato rinviato per un nuovo esame.

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Pubblicato il 27 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Motivazione apparente: perché una sentenza può essere annullata se il giudice non spiega?

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale del nostro ordinamento: ogni decisione giudiziaria deve essere supportata da una motivazione reale e comprensibile. Il caso in esame, relativo a un contenzioso fiscale, dimostra come una motivazione apparente, cioè una giustificazione puramente formale e priva di contenuto logico, equivalga a un’assenza totale di motivazione, portando all’annullamento della sentenza. Vediamo nel dettaglio la vicenda e i principi affermati dalla Suprema Corte.

Il caso: dall’avviso di rettifica al ricorso in Cassazione

Tutto ha origine da un processo verbale di constatazione del 1995 nei confronti di una società, a cui l’Amministrazione Finanziaria contestava diverse violazioni in materia di IVA per l’anno d’imposta 1993. Le violazioni spaziavano dall’omessa annotazione di fatture all’inesatta compilazione delle dichiarazioni e degli elenchi intracomunitari.

La società, successivamente dichiarata fallita, impugnava l’avviso di rettifica. La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva parzialmente il ricorso. Contro questa decisione, la società proponeva appello, ma la Commissione Tributaria Regionale lo respingeva, confermando la sentenza di primo grado.

È a questo punto che la vicenda approda in Cassazione. La curatela fallimentare lamentava, tra i vari motivi, che la sentenza d’appello fosse viziata da una motivazione inesistente, perplessa e incomprensibile.

La motivazione apparente nel mirino della Cassazione

I primi tre motivi di ricorso, esaminati congiuntamente dalla Corte, si concentravano tutti sulla radicale insufficienza della motivazione della sentenza d’appello. La Corte di Cassazione ha ritenuto questi motivi fondati. I giudici di legittimità hanno osservato che la sentenza regionale si era limitata ad affermare, in modo del tutto generico, che i rilievi mossi alla sentenza di primo grado erano “destituiti di fondamento perché i primi giudici hanno spiegato, chiaramente, le ragioni per le quali l’avviso opposto deve ritenersi legittimo”.

Questa formula è stata giudicata dalla Cassazione come un esempio emblematico di motivazione apparente. Si tratta di una motivazione che, pur essendo materialmente presente nel testo della sentenza, non permette di comprendere il percorso logico-giuridico che ha condotto il giudice a quella decisione. In pratica, è una frase vuota che non risponde in alcun modo alle specifiche censure sollevate dalla parte appellante.

Le motivazioni

La Corte Suprema ha colto l’occasione per ribadire i limiti della cosiddetta motivazione per relationem, ovvero per riferimento a un altro atto (in questo caso, la sentenza di primo grado). Sebbene sia ammissibile, il giudice d’appello non può limitarsi a un’adesione acritica e passiva. Deve, al contrario, dare conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni per cui i motivi di impugnazione non sono meritevoli di accoglimento, dimostrando di averli esaminati e confutati.

Nel caso di specie, la sentenza d’appello violava il “minimo costituzionale” della motivazione. Mancava un percorso argomentativo esaustivo e coerente che emergesse dalla lettura congiunta delle due sentenze di merito. Il giudice di secondo grado non aveva svolto alcuna valutazione sull’infondatezza dei motivi di gravame, limitandosi a un generico rinvio alla decisione precedente. Questo vizio, secondo la Cassazione, non è un semplice difetto di “sufficienza” motivazionale (irrilevante dopo la riforma del 2012), ma una vera e propria “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico” o una “motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile”, che conduce alla nullità della sentenza.

Le conclusioni

In conclusione, l’ordinanza stabilisce un principio di garanzia per il contribuente e per qualsiasi parte processuale. Un giudice non può eludere il proprio dovere di motivare semplicemente “sposando” la tesi del giudice precedente. Deve confrontarsi con i motivi di appello e spiegare perché li ritiene infondati. L’accoglimento dei motivi sulla motivazione ha determinato l’assorbimento delle altre censure. Di conseguenza, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza impugnata e ha rinviato la causa alla Commissione Tributaria Regionale in diversa composizione, che dovrà riesaminare il merito della questione, questa volta fornendo una motivazione completa ed effettiva, e decidere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Che cos’è una “motivazione apparente” secondo la Cassazione?
È una motivazione che esiste solo formalmente ma che, per la sua genericità, contraddittorietà o tautologia, non fa comprendere il ragionamento logico-giuridico del giudice, risultando di fatto inesistente e violando il “minimo costituzionale” richiesto per ogni sentenza.

Un giudice d’appello può confermare la sentenza di primo grado senza fornire proprie argomentazioni?
No. Anche se motiva “per relationem” (cioè richiamando la sentenza di primo grado), il giudice d’appello deve comunque dar conto delle ragioni per cui i motivi di impugnazione sono infondati, dimostrando di averli esaminati criticamente. Non può limitarsi a un’adesione passiva e acritica.

Qual è stato l’esito finale deciso dalla Corte di Cassazione in questo caso?
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando (“cassando”) la sentenza della Commissione Tributaria Regionale per vizio di motivazione apparente. Ha quindi rinviato il caso allo stesso organo giudiziario, ma in diversa composizione, affinché la causa venga decisa nuovamente con una motivazione effettiva e completa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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