Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6747 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 6747 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 14/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 8392/2021, proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso, per procura in calce al ricorso, dall’ Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato al suo indirizzo di posta elettronica certificata
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale è domiciliata a ROMA, in INDIRIZZO
-controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 1282/2020 della Commissione tributaria regionale dell’Emilia -Romagna, depositata il 16 novembre 2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6 marzo 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
L’Amministrazione finanziaria accertò a carico di NOME COGNOME un maggior reddito ai fini Irpef per l’anno 2012, in conseguenza del rilievo di utili occulti in capo alla società a ristretta base partecipativa RAGIONE_SOCIALE (‘RAGIONE_SOCIALE‘), emerso all’esito di un procedimento penale radicato innanzi alla Procura della Repubblica di Ferrara.
Dalle verifiche svolte era infatti emerso che la società in questione era partecipata da quattro soggetti -uno dei quali titolare del 51% delle quote -ma sostanzialmente gestita in modo paritario dal COGNOME e da altro socio.
Conseguì la notifica al contribuente di un avviso di accertamento, che questi impugnò innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Ferrara; il giudizio si concluse con il riconoscimento delle sue ragioni, sul rilievo dell’erronea esclusione degli altri due partecipi e della conseguente, ritenuta insussistenza di una ristretta base sociale.
Il successivo appello erariale fu parzialmente accolto con la sentenza indicata in epigrafe.
I giudici regionali, premesso il rilievo in base al quale gli utili occulti di CTI erano stati accertati con sentenza definitiva, osservarono, quanto al presupposto della ristretta base, che i partecipi effettivi erano quattro anziché due; ritennero tuttavia irrilevante il dato numerico, essendo invece decisivo il fatto che tutti i soci risultavano legati da «solidarietà e complicità nelle decisioni», poiché tale
circostanza era idonea a fondare la presunzione relativa di distribuzione degli utili, che il contribuente non aveva superato.
La pretesa erariale fu dunque rideterminata in misura corrispondente alle quote nominali di pertinenza del contribuente (22%, anziché 50% come ritenuto dall’Ufficio).
La sentenza d’appello è stata impugnata da NOME COGNOME con ricorso per cassazione affidato a un unico motivo.
L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso e proposto ricorso incidentale affidato a due motivi.
Il ricorrente ha depositato controricorso al ricorso incidentale.
Considerato che:
L’unico motivo del ricorso principale è rubricato «omessa, contraddittoria o insufficiente motivazione in ordine alla presunzione di distribuzione degli utili occulti -omesso esame di fatti decisivi per il giudizio -nullità della decisione ai sensi degli art.li 360 n. 4 e 5 c.p.c.».
Il contribuente assume che la sentenza impugnata avrebbe trascurato di considerare che egli aveva offerto la prova della propria «sostanziale estraneità alla gestione e conduzione della RAGIONE_SOCIALE all’epoca dei fatti», poiché i soci effettivi erano quattro , e non due come sostenuto dall’Ufficio, e il socio di maggioranza Cui Yong Jun esercitava il controllo sul sodalizio.
Rileva, in particolare, di aver offerto prova documentale del contrasto insorto con tale socio, dal quale era derivata la sua estromissione da qualunque scelta gestionale.
Osserva, in ogni caso, che i giudici d’appello non avevano indicato gli elementi dai quali avevano tratto il loro convincimento, rendendo così impossibile un controllo sulla sua esattezza e logicità, con conseguente nullità della sentenza per motivazione apparente.
Con il primo motivo del ricorso incidentale, l’Agenzia delle entrate, denunziando nullità della sentenza per violazione degli artt. 132 cod. proc. civ. e 36, numm. 3) e 4), del d.lgs. 28 dicembre 1992, n. 546, assume che la sentenza impugnata avrebbe omesso di esplicitare le ragioni per le quali la base partecipativa della società era stata estesa a tutti e quattro i soci apparenti.
Con il secondo motivo denunzia poi, in relazione alla medesima circostanza, violazione e falsa applicazione degli artt. 2727, 2729 e 2697 cod. civ. e degli artt. 38, 41 e 47 del d.P.R. 31 dicembre 1986, n. 917 (TUIR).
In tal senso assume che la C.T.R., una volta ritenuta dimostrata la percezione di utili extracontabili da parte della società e la ristretta base partecipativa di quest’ultima, avrebbe dovuto condurre l’indagine circa l’effettiva partecipazione dei soci ne l rispetto del criterio presuntivo di legge e delle regole di riparto dell’onere probatorio , esaminando le circostanze documentate, quali, fra tutte, le numerose vicende societarie che denotavano il pieno coinvolgimento del COGNOME nella gestione del sodalizio.
L’unico motivo del ricorso principale nella parte in cui deduce la nullità della sentenza d’appello per motivazione apparente e il primo motivo del ricorso incidentale si appuntano sulla medesima parte della decisione, alla quale rivolgono identica critica, seppur con opposta prospettiva.
Entrambe le censure, infatti, ineriscono alla motivazione della decisione in punto al coinvolgimento del COGNOME nella gestione effettiva della società, propedeutico all’imputazione al medesimo di un maggior reddito conseguente alla distribuzione degli utili extracontabili e all’individuazione della misura dello stesso.
4.1. I motivi, che per tale ragione possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che il difetto di motivazione della sentenza ricorre allorquando il giudice -in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111, comma sesto, Cost.) e fissato dall’art. 132, secondo comma, num. 4), cod. proc. civ. e dall’omologa previsione contenuta nell’art. 36, comma 2, n. 4), del d.lgs. n. 546/1992 per il processo tributario -omette di esporre (anche concisamente) i motivi in fatto e diritto della decisione.
Ciò si verifica quando il giudice non illustra le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, ovvero non chiarisce su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata , e senza che a tal fine l’interprete debba integrare la decisione con le più varie, ipotetiche congetture (v. Cass. n. 30178/2023; Cass. n. 5335/2018; Cass. n. 2876/2017).
4.2. È poi noto, in tal senso, che la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico o quelle che presentano un «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» ovvero una «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile» (cfr. Cass. Sez. U, n. 8053/2014), ma anche quelle sorrette da una motivazione che, dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, è tuttavia tale da non consentire «di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato» (così Cass. n. 4448/2014).
In tale caso, la mera apparenza della motivazione è causa di nullità della sentenza, in quanto ne comporta il venir meno della finalità sua
propria, che è quella di esternare un «ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo», logico e consequenziale, «a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi » (così Cass., Sez. U, n. 22232/2016).
4.3. Nell’ipotesi di specie, l’amministrazione finanziaria pose a base dell’avviso poi impugnato la presunzione semplice di cui all’art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, documentando poi, in base alle emergenze delle indagini condotte in sede penale, il fatto che solo due dei partecipi erano gli effettivi gestori della società.
Il contribuente, per contro, fornì documentazione che, a suo dire, supportava l’assunto della propria estraneità ad ogni attività gestoria.
A fronte di tali contrapposte posizioni, e fermo il rilievo dell’intervenuto accertamento a carico della società, la sentenza impugnata si è limitata ad affermare: « nella fattispecie in esame, in ordine alla valutazione del numero dei soci, si condividono le argomentazioni dei giudici di ‘prime cure’. I documenti presentati avvalorano tale tesi se si considera che i medesimi sono di produzione giudiziale ».
4.4. Una tale asserzione non è minimamente idonea a far comprendere la ragioni del convincimento manifestato; rispetto ai fatti di causa, infatti, non vi si rinviene alcuna indicazione autosufficiente, in particolare quanto ai documenti che sono stati ritenuti persuasivi e alla ragione di ciò.
Né, tantomeno, al riguardo soccorre il generico richiamo alla pronunzia di primo grado, posto che, secondo quanto affermato da questa Corte (v. ad es. Cass. n. 22022/2017), sarebbe stato necessario un rinvio «virtuoso», che consentisse «di appurare che alla condivisione della decisione di prime cure il giudice d’appello sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei
motivi di gravame, previa specifica ed adeguata considerazione delle allegazioni difensive, degli elementi di prova e dei motivi di appello».
In altri termini, la sentenza d’appello non è supportata da argomenti che consentano di comprendere quale sia stato il percorso logico-giuridico seguito per giungere alla conferma della decisione di primo grado; e siffatta impossibilità di individuare l’effettiva ratio decidendi , avuto riguardo tanto alla pretesa erariale quanto all’opposta tesi difensiva del contribuente, rende meramente apparente la motivazione della decisione impugnata, alla stregua della nozione di ‘ apparenza ‘ più sopra delineata.
5. L’accoglimento dei due motivi congiuntamente esaminati rende superfluo lo scrutinio del secondo motivo di ricorso incidentale, che si pone su un piano di consequenzialità logica rispetto a tali censure.
La sentenza d’appello è cassata con rinvio al giudice a quo , il quale, decidendo in diversa composizione, provvederà al riesame della vicenda e procederà, altresì, a liquidare le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso principale e il primo motivo di ricorso incidentale, assorbito il restante, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Emilia -Romagna.
Così deciso in Roma, il 6 marzo 2025.